Bambole rotte, Pannella e crociate. Un’infanzia trascorsa con genitori “difficili” che spesso la lasciavano sola, la militanza pro-aborto. Poi vira verso gli ultrà cattolici: il feeling con Formigoni e l’approdo in FdI […]

(DI PINO CORRIAS – ilfattoquotidiano.it) – Eugenia Roccella, ministro della Famiglia, è molto più di un caso politico. E molto meno. È prima di tutto un caso umano di raro tormento esistenziale. E specialmente un caso psichiatrico in purezza. Le ragazze del Salone del Libro hanno fatto benissimo a contestarla in qualità di esponente politico della destra conservatrice, male a non lasciarla parlare, malissimo a non leggere prima il libro che avrebbe dovuto presentare: Una famiglia radicale, che non è “romanzo”, come recita il sottotitolo, ma autobiografia della propria addolorata storia familiare, segnata dall’abbandono, dal disordine, dall’amore sempre frustrato, tra lei figlia, la madre Wanda Raheli, che fu pittrice, cantante, attrice, e il padre, Franco Roccella, tra i fondatori del Partito radicale, deputato, viaggiatore, affabulatore, il più fraterno tra gli amici di Marco Pannella, e poi il più misconosciuto, tradito dai debiti, dalle amanti, dal narcisismo, che è la figura centrale del suo commovente disastro familiare. Una storia che è l’esatto contrario della famiglia perfettissima, “naturale”, quel “nucleo forte di spontaneità e corporeità, connesso alla maternità” che così tanto le è mancato nella sua prima vita, da averlo trasformato nel suo intero orizzonte politico. Nella sua ossessione non più solo interiore. Ma universale, prescrittiva, che ha finito per imprigionarla in quello sguardo che contiene dolore, frustrazione e insieme vendetta.
Una storia che sarebbe piaciuta ad Arthur Miller, il drammaturgo, se raccontata dall’alto. E contemporaneamente piacerà a Maria De Filippi e ai suoi autori, fabbricanti di cibo per casalinghe, se guardata dal basso, con lacrime, applausi e colonna sonora.
È tutta lì la sua mappa interiore, il labirinto da cui non è più uscita.
Eugenia Maria Roccella nasce il 15 novembre 1953. Viene al mondo come interferenza alla vita libera di padre e madre che hanno troppo da fare per occuparsene. E dunque la scaricano, dai sei mesi ai sei anni, alle cure della zia siciliana, Sara, detta Sarina, la zia nubile, di quelle che abitano i racconti di Luigi Capuana e Verga, nella Sicilia ancestrale, a Riesi, minuscolo paese in provincia di Caltanissetta. Eugenia cresce in un Eden agricolo, un altrove fiabesco, pieno di giochi tra i vicoli, animali, tramonti e la cucina di casa, il gineceo di nonne, cugine, zie, domestiche che insieme alle chiacchiere e alle superstizioni, cucinano le melanzane e la vita, un giorno alla volta.
Da laggiù arriverà a Roma per frequentare nientemeno che la scuola americana, altra lingua, altri paesaggi. Con la nuova infanzia, gli incubi: “I miei spesso uscivano e mi lasciavano dalla portiera”. Dunque “solitudine e vuoto riempivano le mie notti romane”. Sogna “creature spaventose e aguzzini”. Si addormenta “circondata da bambole rotte”. In pieni anni Settanta le tocca una adolescenza spaesata e anoressica. Del liceo Tasso ricorda assemblee e botte. Della casa, la confusione delle eterne cene politiche tra “gli amici di papà e mamma”, gli adulti infervorati dalle comuni battaglie, dalle carriere, dai congressi, dalle riviste, ognuno preso dalla propria “libertà senza limiti”. “Da noi venivano tutti”, racconta, Marco, naturalmente, “il pupillo di mio padre”, di bellezza speciale, furori ideologici, omosessualità “sempre segreta” esercitata da padre padrone. E poi Sergio Stanzani, Stefano Rodotà, Gino Giugni, Tullio De Mauro, Giuliano Amato, Lino Jannuzzi. A 17 anni, “era fatale”, tocca a lei farsi radicale, diventare militante agguerrita, femminista con la rosa nel pugno, e nel cuore le battaglie per il divorzio e l’aborto. A 22 anni pubblica il pamphlet Aborto, facciamo da noi, 1975. E alla giornalista Paola Fallaci che le chiede se davvero ammette l’uso delle pompe per biciclette come strumento d’intervento, Eugenia risponde: “Non c’è niente di stregonesco. È soltanto lo strumento che può utilizzare chi non ha l’aspiratore elettrico, difficile da procurarsi, costoso”.
Come nella più classica delle conversioni, è dalla cima di quelle certezze, che Roccella cambierà il suo intero emisfero politico. E dalla conturbante setta di Marco Pannella, che lascia nel 1990, rinascerà in quella degli ultracattolici, prima in segreto, commossa dal crocefisso “che guardavo per ore”, trafitta dalla sua immagine “di sacrificio e morte, ma anche di amore estremo”.
Conversione sofferta, disturbante, che impiegherà anni a diventare pubblica, ma che le spalanca un intero mondo di nuove opportunità, finalmente deputata del centrodestra, poi sottosegretaria alle Politiche sociali, infine ministra.
Si rivela al mondo nel 1997, elogiando Forza Italia, Silvio Berlusconi, la sua leadership, il suo Family Day che officia ogni anno con tutti i divorziati al seguito. Famiglia e sessualità restano la sua ossessione e da quel momento la sua azione politica. Disprezzando la sessualità nascosta di Pannella, si sottomette senza turbamenti a quella esibita di Berlusconi. Con il suo nuovo alleato, Roberto Formigoni, Comunione e Liberazione in purezza, processi e ipocrisia compresi, firma una lettera pubblica, anno 2011, per chiedere di “sospendere il giudizio sul caso Ruby” e assicurare “una vera presunzione di innocenza a Berlusconi”, vittima “dell’offensiva della magistratura iniziata con Tangentopoli”.
La sua marcia procede a destra. E sempre dichiarandosi conservatrice, cambia tutte le caselle a sua disposizione. Dopo Silvio B. si smarca nel Gruppo misto di Gaetano Quagliariello, altro pentitissimo ex radicale. Fonda il comitato “Di mamma ce n’è una sola”. Entra ed esce dall’Udc. Raccoglie le firme contro le unioni civili. Contro i Dico. Contro “l’aborto facile” della pillola Ru486. Entra finalmente in Fratelli d’Italia, per sedersi accanto alla nuova sorella, Giorgia Meloni, che a risarcimento dei suoi turbamenti, la nomina ministra della Famiglia, 13 ottobre 2022, il programma in una frase: “Vogliamo ripartire dal senso del materno”, che suscita l’entusiasmo dalla Nazione nascente, in battaglia contro l’inverno demografico e il minaccioso complotto della sostituzione etnica. Peccato per Torino che poteva essere una luce sulla sua tenebrosa storia. E peccato per lei, che da vittima sacrificale, “mi chiamano bigotta, reazionaria, mi tirano le freccette appuntite”, ha continuato ad assaporare la sua insonne penitenza, il suo filiale martirio che in nome della famiglia l’ha resa una macchina celibe anche da sposata.
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Non c’è peggior moralista che una radicale redenta (diceva, più o meno , un certo Baudelaire).
Il gattolico.
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Solo una sana e consapevole libidine la salverà dal radicali e da Fratelli d’Italia. Preghiamo per lei. Fantastico Corrias
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Il giornalista si è dimenticato le sue battaglie contro l’eutanasia.
Personalmente non la sopporto.
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Va bene ragionarci un po su .. ma cambiare totalmente idea , come un illuminata sulla via di Damasco.. sa tanto di ottima opportunità politica e relativo stipendio! E così che si riscattano tutti i voltagabbana.”.scrivendo libri e percorsi di consapevolezza ‘
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La politica è piena di chi ha “cambiato totalmente idea”: gli “eroi” di tanta “sinistra” (Bocca, Moravia, Scalfari…) da fasacisti a comunisti in un attimo… E anche ai nostri giorni, in quanto a… “pentiti”…
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Ma il suo libro di psicanalisi un po’ fai da te, in conclusione tra sé e sé, l’antibortista confessa alla pro abortista… Era meglio morire da piccoli?
Di ex radicali purtroppo ce ne sono tanti che si sono spostati
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I Radicali erano i Renziani di un tempo: annusavano ben bene l’ aria e la cavalcavano. Poi se ne prendevano il merito, magari dopo opportuni… scioperi della fame stile Cospito.
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