L’incontro con Carminati, da come lo hanno ricostruito i pm, nel rispetto della sentenza, ha una strana connotazione che impatta sull’esempio sociale negativo e sulla scelta di campo per chi deve dirigere il principale tg della televisione pubblica

(di Lirio Abbate – repubblica.it) – L’uomo che sussurrava ai potenti, Luigi Bisignani, indicava il giornalista Gian Marco Chiocci agli amici come uno di cui fidarsi, “utilizzato”, a detta dello stesso faccendiere, come “informatore giudiziario”. All’epoca era un cronista del Giornale e ruotava nella sfera di Bisignani dove è stato presentato a diversi esponenti degli apparati di sicurezza e della politica. L’ex carabiniere Giuliano Tavaroli, coinvolto nel caso Telecom-Sismi, ha ricordato ai magistrati che lo interrogavano di aver conosciuto Chiocci proprio attraverso Bisignani, e quest’ultimo non ha fatto mistero dei loro rapporti, sostenendo che il giornalista “veniva spesso da me, soprattutto perché voleva cambiare, mio tramite, testata”.
Il tramite è sempre lui, il faccendiere, colui che Silvio Berlusconi ha definito dieci anni fa come l’uomo più potente d’Italia. Chissà se Vittorio Feltri che lo assunse al Giornale su segnalazione del padre, Francobaldo Chiocci, un grande inviato, era a conoscenza della smania del cronista di cambiare testata. Nel quotidiano fondato da Montanelli è rimasto a lungo, pubblicando notizie e scoop che hanno riguardato anche il caso Telekom Serbia. Su questo argomento e su un dossier che riguardava una spia nei Balcani, Chiocci ha scritto insieme a Mario Sechi che oggi è il capo dell’ufficio stampa di Palazzo Chigi.
La formazione personale e professionale di questo cronista è costellata da apparati legati alla destra. È stimato da Giorgia Meloni che lo ha imposto alla direzione del Tg1. Qualche anno fa i magistrati dell’antimafia di Roma lo hanno sospettato di favorire il leader del clan autoctono della Capitale: Massimo Carminati. C’è una conversazione in cui Salvatore Buzzi racconta a Carminati di aver appreso da Chiocci che era preoccupato per lui perché era sotto intercettazione, rivelando l’esistenza dell’inchiesta. E c’è pure un incontro segreto fra Chiocci e Carminati, in cui il “cecato” si premura di lasciare i telefoni lontano dal cortile di un palazzo in cui stanno parlando, per paura di essere intercettati.
Per il giornalista si è trattato della richiesta di una intervista. Per gli inquirenti, invece, ci sarebbe stato il favoreggiamento. Carminati dopo quelle conversazioni “metteva in atto condotte elusive di eventuali attività di intercettazione e di pedinamento, mostrando di versare in un chiaro stato di agitazione”. Accusa dalla quale il giudice ha dichiarato il non luogo a procedere perché il fatto non sussiste. L’incontro, da come lo hanno ricostruito i pm, nel rispetto della sentenza, ha una strana connotazione che impatta sull’esempio sociale negativo e sulla scelta di campo per chi deve dirigere il principale tg della televisione pubblica.