Gli allarmi ignorati. La Guardia costiera è rimasta a guardare

(di Alessia Candito, Dario del Porto, Alessandra Ziniti – repubblica.it) – La direttiva sulla difesa dei confini, in acque internazionali e in mancanza di una emergenza acclarata, prevale sul dovere di soccorso. Così pure la chiamata della Guardia di finanza è caduta nel vuoto. L’autorità marittima non ha avviato la procedura di ricerca del barcone, ma si difende: “Una tragedia imprevedibile”

Un tragico errore di valutazione, un intervento ipotizzato troppo tardi. Non è vero, come ha sostenuto ancora ieri Matteo Salvini, che la Guardia costiera è stata informata quando il barcone partito dalla Turchia era già naufragato sulla secca di Cutro. L’Imrcc di Roma, il centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo, informato prima da Frontex di quel barcone individuato a 40 miglia dalle coste calabresi e poi dalla Guardia di finanza dell’impossibilità di raggiungerlo per le cattive condizioni meteo, non ha ritenuto di aprire un evento Sar. Non ha ritenuto, dunque, che quello che – come si evinceva dalla segnalazione di Frontex – era in tutta evidenza un barcone che trasportava migranti dalla rotta turca fosse di per sè, con un mare forza 4 e con la conclamata presenza di numerose persone, in condizioni di rischio. Era in acque internazionali e navigava senza problemi. È la direttiva della difesa dei confini che, in acque internazionali, in mancanza di un’emergenza dichiarata, prevale sul dovere di soccorso come da “regole di ingaggio” riviste dal governo Conte I. Ecco perchè le motovedette classe 300 della Guardia costiera che avrebbero potuto agevolmente raggiungere quel barcone sono rimaste in porto.

La difesa della Guardia costiera

Così ha ammesso ieri sera a Porta a Porta il portavoce della Guardia costiera Cosimo Nicastro mettendo fine all’imbarazzante rimpallo di responsabilità nel risalire alla catena di comando che la sera del 25 febbraio ha deciso che nel mare Ionio dovesse aver corso un’operazione di polizia (prerogativa della Guardia di finanza) e non di soccorso ( in capo alla Guardia costiera). «È stata una tragedia non prevedibile alla luce delle informazioni che pervenivano. Gli elementi di cui eravamo a conoscenza noi e la Guardia di Finanza non facevano presupporre che ci fosse una situazione di pericolo per gli occupanti. Non erano arrivate segnalazioni telefoniche né da bordo né dai familiari». Sottolinea Nicastro che la segnalazione di Frontex «è stata trasmessa all’International coordination center, che è il punto di contatto non per le operazioni di ricerca e soccorso ma per le operazioni di polizia in mare» e ammette che quando le motovedette della Finanza rientrano in porto avviene una «conversazione» tra i colleghi della Capitaneria di Porto di Reggio Calabria e quelli della Guardia di Finanza e «non vengono segnalate situazioni critiche che facciano pensare che l’operazione di polizia si stia trasformando in un’operazione di emergenza». Tuttavia, «la Guardia Costiera incomincia ad attivare tutta la sua catena affinché fosse predisposto il dispositivo Sar». Ma intanto il barcone naufraga.

La versione della Finanza 

La ricostruzione degli eventi che filtra dalla Guardia di Finanza aggiunge ulteriori interrogativi sulla gestione dei soccorsi durante quella notte. Alle 2.30 del mattino di domenica 26 febbraio, dopo la segnalazione di Frontex, i finanzieri escono in mare con una motovedetta e un pattugliatore. Un’ora dopo, alle 3.30, sono costretti a rientrare al porto di Crotone a causa delle pessime condizioni meteo marine. Alle 3.40, dalla centrale operativa di Vibo Valentia della Finanza contattano la direzione marittima di Reggio Calabria, da cui dipende la capitaneria di Crotone. Si fa presente che gli equipaggi sono stati costretti a interrompere la navigazione e si chiede di far intervenire le imbarcazioni della Guardia Costiera, meglio attrezzate per affrontare le onde. Ma la sollecitazione cade nel vuoto. Venti minuti più tardi, il caicco con circa 180 persone a bordo si schianta sulla secca di Cutro facendo 67 vittime.

Le “regole di ingaggio” 

Per giorni, la Guardia Costiera aveva mantenuto il silenzio limitandosi ad affermare che la presenza di un’imbarcazione in pericolo era arrivata solo alle 4.30 e da cittadini presenti sulla spiaggia. Ieri mattina, però, davanti al Palazzetto dello sport trasformato in camera ardente, il comandante della Capitaneria di porto di Crotone, Vittorio Aloi, allunga la catena dello scaribarile. «Per le regole di ingaggio – dice – le operazioni le conduce la Finanza fin quando non diventa un evento Sar» E poi, piccato, sottolinea: «Il mare era forza quattro, le motovedette possono uscire anche se è forza 8». Non ha intenzione di essere quello che resta con il cerino in mano il comandante Aloi e per spiegare perché i suoi uomini non siano stati chiamati in causa si trincera dietro regole e procedure. «Le regole d’ingaggio – sostiene – sono complesse non si può fare una sintesi e i piani operativi non dipendono solo dal nostro ministero di competenza, Infrastrutture e Trasporti, ma anche dal Viminale».
Bisogna provare a orientarsi in una selva di sigle e di centri di coordinamento nazionali ed europei per capire chi, quella notte del 25 febbraio, davanti alla segnalazione di Frontex, con tanto di foto e di coordinate, ha deciso che quell’imbarcazione proveniente dalla Turchia, ancora in acque internazionali, ma diretta verso l’Italia, non era a rischio. Funziona, o meglio dovrebbe funzionare, così: se un assetto impiegato nell’operazione europea Themis ( come è l’aereo Eagle 1) avvista un obiettivo lo segnala all’Icc, il Centro di coordinamento internazionale di stanza nella sede del Comando aeronavale della Guardia di finanza all’aeroporto di Pratica di Mare. L’Icc è però coordinato dal Centro di coordinamento nazionale (Ncc), una cabina di regia istituita al Viminale. Che entra in campo, come autorità di pubblica sicurezza, a soccorso effettuato.


Nessun evento Sar

Chi, dunque,dopo la segnalazione di Frontex, ha deciso che toccava alla Finanza scendere in mare? Semplicemente: all’autorità marittima spetta decretare “l’evento Sar”, l’operazione di salvataggio con i mezzi della guardia costiera. In caso contrario si attiva il dispositivo di polizia. E dunque, la notte del naufragio, l’”evento Sar” per il caicco non è mai stato dichiarato. Nonostante 23 ore prima del disastro, alle 4.57 di sabato, lo stesso centro di coordinamento e soccorso di Roma ne avesse aperto uno segnalando alle navi in transito una barca “in distress” nel mare Jonio. Quantomeno singolare che, 18 ore dopo, quando Frontex avvista la barca, presumibilmente piena di migranti ma in condizioni di “buona galleggiabilità”, l’informazione non venga collegata all’allarme precedente. La situazione non cambia neppure dopo la telefonata della Finanza all’autorità marittima di Reggio Calabria. Se non si fosse trattato della stessa barca bisognerebbe cercarne ancora un’altra.

4 replies

  1. Quindi fatemi capire: adesso lo stato del mare da 7 è stato declassato a 4 quella notte? Perché con un mare in stato 4 le imbarcazioni a disposizione di GdF e Guardia Costiera potevano benissimo uscire ed intervenire. Bisogna capire a questo punto, visto che le condimeteo non erano poi così avverse – come in un primo momento sembrava dalle dichiarazioni fake di Piantedosi – chi ha deciso di non far partire l’operazione di salvataggio. Una cosa a questo punto è certa, al di la delle inchieste che la magistratura farà (se le farà): il sinistro dell’Interno Piantedosi dovrebbe fare un passo indietro…

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  2. Povera Itaglia. Sparano contro il migliore ministro Italiano dalla notte dei tempi, Piantedosi , che è un gigante rispetto ai derelitti sinistroidi da ztl, e da salotti radical chic, miliardari come Oliver Toscani, quello delle pubblicità Benettone.( quelli di autostrade per l’italia) Povera Itaglia.

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