I governatori hanno finalmente portato la stabilità, almeno in periferia. Ma non mancano i dubbi sulle loro strategie per rimanere al vertice

(di Marco Demarco – corriere.it) – «Fino a quando ci sarò, non lascerò un euro di debito a chi verrà dopo. Quindi per i prossimi 20 anni potete stare tranquilli…». Vincenzo De Luca ha ritrovato la verve polemica dei tempi migliori (o peggiori, dipende dai punti di vista) e dunque eccolo annunciare in Consiglio regionale l’ultima versione del suo vasto programma. Che non consiste in ciò che il bilancio, appena approvato a maggioranza, gli consentirà di fare, quanto piuttosto nel rimanere ad libitum al suo posto di governatore: del resto, perché porre limiti ventennali alla provvidenza? La sua è stata certamente una battuta provocata dalle critiche dell’opposizione, secondo cui «mentre Draghi riduce l’Irpef, in Campania il prelievo aumenta attraverso le addizionali». Ma tutto si può dire tranne che sia stata una battuta improvvisata, visto il progetto, più volte illustrato, di riformare il limite del doppio mandato. De Luca sfida la norma che quel divieto introdusse nel 2004, in attuazione della revisione costituzionale di cinque anni prima. Ma anche un famoso motto di Oscar Luigi Scalfaro. Il quale, parlando dei democristiani come espressione dell’élite politica, diceva che ne esistono di tre specie: gli interni, gli esterni e gli eterni. Sbagliato, sembra ora dirgli il presidente campano. Qui di politici eterni ci sono solo i governatori. E infatti il suo proposito di moltiplicare i mandati è lo stesso già attuato da Zaia in Veneto e, prima ancora, da Formigoni in Lombardia e da Errani in Emilia-Romagna.
I governatori, tuttavia, non sono solo eterni. Sono anche onnipotenti. Come Emiliano in Puglia, che sul fronte delle alleanze politiche continua a fare come gli pare. Anticipò tutti, nel Pd, offrendo posti di assessori ai grillini. Poi, durante le ultime Regionali, è riuscito a flirtare con un sindaco dell’estrema destra e a elogiare la «visione politica» di Salvini. Ora aspira a superare se stesso proponendosi di portare in giunta, al posto dell’epidemiologo Pier Luigi Lopalco, l’ex candidato governatore del centrodestra Rocco Palese. Lopalco si è dimesso perché, a detta dello stesso Emiliano, «trasformare in politico un accademico non è facile». Ma neanche la soluzione alternativa sarà una passeggiata, se l’opposizione già grida al «mercato delle vacche». Sullo sfondo resta così un problema molto più generale: quello di un governo locale del tutto «separato», con Zaia che rivendica il regionalismo differenziato e De Luca e Emiliano che spingono invece per quello ad personam. Il paradosso è che l’elezione diretta avrebbe dovuto correggere un doppio difetto della Prima Repubblica, l’instabilità dei governi e la continuità del ceto politico. Ora, almeno in periferia, la stabilità c’è. Ma che ne sarà delle ragioni del ricambio?
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La sua è stata certamente una battuta provocata dalle critiche dell’opposizione, secondo cui «mentre Draghi riduce l’Irpef, in Campania il prelievo aumenta attraverso le addizionali».
Grazie sempre a tutti i concittadini campani di averlo votato. E togliamo il secondo cui,perché è vero
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