
(di Michele Serra – repubblica.it) – Il difetto (mortale) della politica fatta per strappare applausi, o per piacere ai social, è che i contenuti, uno dopo l’altro, spariscono. Finiscono ingoiati dal tono e dal volume, come quando hai ascoltato una canzone ma non sapresti dire di che cosa parlava.
Il discorso di Meloni in Parlamento conteneva un sacco di argomenti: il Mes, i migranti, il viaggio in Tunisia, le spese militari italiane ed europee, più varie ed eventuali.
Su almeno uno dei temi trattati (la necessità di una maggiore autonomia militare dell’Europa) mi è sembrato, per un momento, di potere perfino essere d’accordo.
Non fosse che un profluvio di retorica nazionalista, di inopinate accuse ai «comunisti» (??!!), e un tono quasi sempre sopra le righe — aumentando la vis polemica aumentava tragicamente l’accento romanesco — travolgevano ogni concetto. La cornice che si mangia il quadro.
Esiste una collaudatissima retorica da comiziante: ma perfino nei comizi è irritante, suona vecchia, declamatoria, e comunque può appellarsi all’alibi degli altoparlanti che non funzionano.
Ma in Parlamento l’audio è perfetto, non c’è nessun bisogno di alzare la voce. E dunque il tono da comiziante in Parlamento disturba tre volte di più, perché il Parlamento non è una piazza e non è neanche una pagina Facebook.
Così alla fine, del discorso di Meloni, rimarrà il pittoresco urletto contro «i comunisti» e poco altro. Sui social qualcuno risponderà: taci tu che sei fascista. I contenuti rischiano di essere solo un pretesto per animare il solito vecchio match a chi strilla più forte. È faticoso seguire. Si passa volentieri ad altra occupazione.
Alla fine è solo un governo di gargarozzoni niente di più e niente di meno e ci buttano fumo negli occhi con il pattriottismo da quattro soldi come se di questo paese agli italiani importasse qualcosa al di fuori del proprio giardino sempre per chi c’è l’ha avviamente un giardino.
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