Decreto Lavoro, nulla di esaltante. Ma il governo infligge una Caporetto a sinistra e sindacati

(di Savino Balzano – ilfattoquotidiano.it) – La discussione attorno al decreto Lavoro del Governo probabilmente trascura elementi radicali che a mio avviso non possiamo permetterci di ignorare. Smarchiamo subito un elemento, che paradossalmente è il meno significativo, e rapidamente entriamo nel merito della misura: nulla di esaltante. La destrutturazione parziale del decreto dignità non è una buona cosa: la precarietà nel nostro Paese è ai massimi storici e riconoscere ulteriori margini per ricorrere ai contratti a termine non è una bene, soprattutto in una fase che vede lievemente migliorare i dati sull’occupazione: molto meglio sarebbe investire in stabilità. Anche il taglio al cuneo fiscale non appassiona: vero che alcuni si ritroveranno qualche soldino in più in busta paga e c’è da esserne contenti, ma un sistema ossessionato (per colpa dell’Unione Europea e dei ciecoeuropeisti) dal pareggio di bilancio non può permettersi un taglio al finanziamento del sistema previdenziale perché a cascata potrebbe comportare ulteriore erosione dello stato sociale e questo non possiamo sostenerlo (sanità, università, scuola, etc., versano già in condizioni miserrime).

Nemmeno la destrutturazione del reddito di cittadinanza è condivisibile: un miliardo di euro in meno nel nuovo strumento e stanziamento per 7 miliardi basato anche sul ricorso volontario alla formazione professionale che non si sa neppure se ci sarà davvero. La formazione è difatti importante, ma il problema principale riguarda la mancanza di lavoro. Ottimo invece l’intervento in materia di sicurezza per coloro i quali sono coinvolti da alternanza scuola-lavoro (quest’ultima andrebbe abolita, ma meglio di niente).

Tutto questo è ciò che paradossalmente conta di meno: quel che più conta è l’assoluta abilità di Giorgia Meloni nel sottrarre il tema, quello del lavoro, alla sedicente sinistra e al sindacato. È qui la rivoluzione.

Oggi il Pd si straccia le vesti per l’indebolimento del decreto dignità, ma il decreto Lavoro di Meloni contiene previsioni sui contratti a termine assai meno liberatorie del Jobs act del Partito Democratico. Peraltro, spulciando tra le dichiarazioni degli esponenti dem rilasciate a cavallo tra il 2018 e il 2019, si rimane di stucco: ovviamente loro il decreto dignità non lo votarono (come non votarono meschinamente il reddito di cittadinanza), ma soprattutto attaccarono con ferocia quella misura descrivendola come foriera di precarizzazione nel mercato del lavoro. Che credibilità possono esprimere è facile da intuire: nessuna. Quegli stessi esponenti sono ancora tutti nel Pd e nemmeno il pentimento espresso da Elly Schlein è rassicurante: dall’opposizione sono buoni tutti e, soprattutto, gli effetti delle scelte scellerate del suo partito sono patiti ancora oggi sui luoghi di lavoro.

Anche il sindacato, che ora curiosamente azzanna le calcagna dell’esecutivo, al tempo esprimeva forti perplessità sul decreto dignità: una dialettica politico sindacale tanto spanata non può che minare a una credibilità ormai profondamente compromessa. Il sindacato poi, incapace per ovvie ragioni sistemiche (l’assoluta assenza di espansività economica imposta da una Europa che non non mette minimamente in discussione) di rivendicare sul piano della trattativa aumenti salariali, si limita a supplicare un taglio del cuneo fiscale che, guarda un po’, il Governo concede: è una Caporetto per le organizzazioni sindacali e se non lo si comprende subito, avviando almeno in questo caso un minimo di riflessione, sarà davvero la fine.

Giorgia Meloni, non mettendo mano ai vincoli europei che prometteva di scardinare e con un decreto dalla portata tutto sommato modesta, si impadronisce abilmente di un tema fondamentale, quello del lavoro: merito suo, certamente mangia in testa ai suoi miseri avversari armocromatici, ma anche e soprattutto come risultato dell’inettitudine profonda del fronte politico e sindacale che le si dovrebbe opporre.

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9 replies

  1. Un giornalista che scrive così ha tutta la mia approvazione. Un giornalista fa cronaca.

    Un capo politico, invece, deve necessariamente possedere doti da stratega, perché la contesa politica è la metafora della guerra per eccellenza.
    Avere ottenuto delle limpide vittorie per poi allearti con l’esercito che ha fatto tutto il possibile per ostacolarti è semplicemente una mossa da disfattista. Quel capo politico provocherà diserzioni e zero nuove truppe.

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    • Un gran capo apache amava dire: “L’unico uomo bianco di cui ti puoi fidare è… un uomo bianco morto!”.
      Ora non si sa se l’aspetto cromatico cadaverico di certi personaggi politici, all’anagrafe ancora viventi, potrà essere contrastato da vestiari color vinaccia o verde marcio. Fatto è che gli unici colori ancora esistenti in questa temperie sono i leucemici bianco e nero. Tanto che anche la Juve pare che non goda più della buona salute di una volta.
      Per me la soluzione più adatta è… una supposta di peperoncino rosso vermiglio, da somministrare in sostituzione di Astrazeneca & Pfizer. Ovviamente non per edovena!

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    • “Quegli stessi esponenti sono ancora tutti nel Pd”

      Se la dirigenza 5*, come sembra (pensano che la gente sia rintronata?), ha ampiamente deciso quale posizione occupare e anche il compagno di viaggio, l’ultima cosa che pensa è mettere in evidenza la innaturale e forzosa natura di tale accoppiata: siamo progressisti (cosa cavolo vuol dire?) e lo sbocco naturale è seguire il pd; questo è ciò che prevede la malsana idea nata dalla convinzione di essere privi di forze ed energie proprie che, inevitabilmente, rimarranno largamente inespresse. Disfattismo. E tradimento.

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      • Se quelli come te avessero fatto seguire alla teoria anche i fatti, (forse) il M5S sarebbe ancora vivo, invece che un golem.

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      • Se il M5* avesse la piena consapevolezza della propria forza e delle proprie potenzialità, avvalendosi di ciò che la Storia politica ha bene inciso sulle tavole della verità (percorsi, votazioni in aula ecc), cioè fatti 👉incontrovertibili👈, sarebbe sulle barricate per evidenziare la natura malevola di certi compagni di viaggio, o aspiranti tali.

        Ah già, dopo due giorni, massimo tre, tutto diventa “fatto storico” (cit).

        Tout est pardonné.

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      • Mi adeguo… “ceux qui pardonnent sont précisément ceux qui ont voté pour eux”! Mi risulta che tu abbia fatto ciò e che hai usato i mobili degli altri come barricate.

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  2. Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino!
    Deve stare molto attenta la borgatara. A forza di prendere per i fondelli gli stessi abitanti della borgata – di cui conosce bene la sprovvedutezza e la facilità a farsi abbindolare dalla spettacolarità del mito dell’ ”uoma sola al comando” – che un bel giorno le si ritorceranno contro. Per molto meno in Francia stanno mettendo a soqquardo il paese. Ma si sa, da noi i sindacati sono “responsabili e ben educati”, mica scapestrati come quelli! Si dice che i francesi siano troppo nervosi, in realtà si sono imbestialiti per la novità di portare a 44 anni i contributi per andare in pensione. Praticamente i ns cugini dovranno lavorare fino a 70 anni. Ma almeno hanno stipendi molto più decenti che in Italia.
    Impagabile il gioco delle tre carte di dare 100 euro lordi di decontribuzione che faranno scattare l’aliquota irpef facendo pagare più tasse. Per cui : ti do 100 euro lordi da una parte, ma ti farò pagare più tasse dall’altra. Ergo, il povero aumento che ti concedo lo farò pagare per un quarto da te stesso. Mentre 800mila poveri spariscono ai radar. E i precari in aumento… si arrangino! Non è tutto quanto meraviglioso!
    Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino!

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  3. Allora in questo paese vanno bene i politici para¢uli mentre pensavo che in un paese serio venissero presi a calci nel ¢ulo da giornalisti tv e manifestanti ma siamo nel paese dei furbi non degli onesti👍

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