Informativa del ministro dell’Interno in Parlamento tra errori, inesattezze e mancate risposte sulle falle nei soccorsi. Ignora sentenze e prassi della Guardia Costiera, sbaglia su Mare Nostrum, si contraddice rivendicando 36mila salvataggiIl ministro dell’Interno riferisce alle Camere ma ignora norme e prassi consolidate nelle vicende che riguardano i barconi dei migranti

(di Alessandra Ziniti – repubblica.it) – ROMA – Nove giorni, errori macroscopici, affermazioni false e nessuna risposta alla domanda delle domande: chi, la sera di sabato 25 febbraio, ha deciso che ad uscire in mare per controllare quel barcone segnalato da un aereo di Frontex nel mare Ionio dovessero essere le motovedette della Finanza e non i mezzi specializzati della Guardia costiera? Chi ha deciso che, per quella che era in tutta evidenza una imbarcazione che trasportava migranti, doveva essere avviata una operazione di polizia e non di soccorso?
“Falso e offensivo che i soccorsi sono stati condizionati o addirittura impediti dal governo”.
Prima alla Camera, poi al Senato, strappando una standing ovation della maggioranza che stride con la tragicità della vicenda, Matteo Piantedosi non chiarisce assolutamente nulla sulla catena di comando che, nelle sei ore antecedenti al naufragio di Cutro, avrebbe potuto cambiare le sorti di quel barcone lasciato nel mare in tempesta con il suo carico di 180 vite, più di metà delle quali andate perdute. Si autoassolve il ministro dell’Interno, partecipa allo scaricabarile di Stato che fa risalire alla non segnalazione dell’emergenza da parte di Frontex tutte le scelte fatte nelle ore successive. E, soprattutto dà risposte che, oltre ad ignorare prassi consolidate nel soccorso in mare, sono palesemente false.
Addirittura, mostrando di ignorare persino la storia dei soccorsi in mare, fa la conta di 4.745 morti in mare “solo nel 2016, anno in cui era ancora operante l’operazione navale umanitaria Mare Nostrum avviata all’indomani del naufragio di Lampedusa dell’ottobre 2013 dispiegando un possente dispositivo aereonavale e con la presenza di navi Ong”. Peccato che la missione Mare Nostrum nel 2016 era terminata ormai da due anni.
Improponibile l’autodifesa sul mancato intervento dei mezzi della Guardia Costiera: “L’attivazione di un soccorso – la tesi di Piantedosi – non può prescindere da una segnalazione di una situazione di emergenza. Solo ed esclusivamente se c’è tale segnalazione, si attiva il dispositivo Sar. Laddove, invece, non venga segnalato un distress, l’evento operativo è gestito come un intervento di polizia. È esattamente quanto avvenuto nel caso in questione”. Ignora evidentemente il ministro dell’Interno non solo le regole del Piano Sar in vigore, ma soprattutto quelle che da anni sono le indiscusse linee guida della Guardia costiera, sancite da innumerevoli sentenze della magistratura: e cioè che tutte le imbarcazioni che trasportano migranti “devono essere considerate subito in distress, in ragione del fatto che sono sovraccariche, inadeguate a percorrere la traversata, prive di strumentazione e di personale competente”.
E il caicco avvistato il 25 febbraio alle 22.26 dall’aereo di Frontex sicuramente come barca di migranti era stata classificata dalle sale operative informate, diversamente non sarebbe stata disposta una operazione di polizia nei confronti di un’imbarcazione sulla quale – pur navigando senza evidenti emergenze – una rilevazione termica segnalava la presenza di numerose persone sottobordo e di un satellitare che interloquiva con una utenza turca.
Invoca “fiducia e rispetto nell’esito degli accertamenti giudiziari” Piantedosi, accolla tutte le responsabilità “agli scafistiche volevano sbarcare evitando i controlli”, rivela che i mezzi della Finanza rientrarono in porto una prima volta con l’intenzione di aspettare il caicco all’ingresso delle acque territoriali. E nega qualsiasi responsablità dell’Italia in quelle sei ore di buco nei soccorsi, fermando alle 4 del mattino (pochi istanti prima del naufragio) il momento in cui, con una telefonata da bordo al 112, “per la prima volta, si concretizza l’esigenza di soccorso per le autorità italiane”. Come se quel mare grosso che costringe la Finanza al rientro in porto non fosse un elemento sufficiente di rischio per un barcone di certo meno attrezzato di un mezzo militare.
Alla fine, suona come una beffa per il governo che prometteva di tenere i migranti lontani dall’Italia la rivendicazione di averne salvati 36.000 in cinque mesi. Anche con le operazioni di polizia perché – dice Piantedosi – “è infondato che le missioni di law enforcement non siano in grado di effettuare anche salvataggi”. Quel che è certo è che la notte del 25 febbraio non sono state in grado di farlo.
Non ce l’ho fatta a sentirlo, con la claque che interveniva a sottolineare ogni sua mefitica flatulenza.
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Nella catena di comando ci sono ben altre e ben più gravi responsabilità di quelle del povero Piantedosi, un ex prefetto con la testa di questurino (l’unico che han trovato per l’incarico di ministro dell’interno). Un perfetto capro, anzi caprone, espiatore su cui addossare tutte le colpe della immane tragedia. Naturalmente dopo gli scafisti/migranti che non hanno pagato il biglietto di viaggio, del tutto simili ai kapò ebrei nei lager nazisti. Mentre il vero deus ex machina dell’eccidio è stato l’ineffabile ministro competente che, svegliato nel cuore della notte per ricevere direttive sulla sorte dei migranti, ha risposto infastidito in perfetta lingua padana: “Ma ch’el vadan via al ciapp, quei terùn!!!”.
E’ tutto quello che c’è da sapere!
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