
(PAOLO COLONNELLO – lastampa.it) – La chiusura di un’inchiesta non è l’anticamera dell’inferno ma una prima valutazione dei fatti che dovranno essere vagliati da un giudice delle indagini preliminari. Ciononostante, il risultato di questo lavoro della Procura di Bergamo, ora in attesa di una richiesta di rinvio a giudizio, ha un risvolto paradossale e candida l’Italia ad essere forse l’unico Paese al mondo in cui la gestione di una pandemia (di cui ancora non conosciamo bene le origini) finisce per essere materia di inchiesta e forse argomento di un processo. Intendiamoci: omissioni, colpevoli mancanze, furbizie di ogni genere, andranno sicuramente valutate ed, eventualmente, punite. E non è un caso che nello scarno comunicato della Procura bergamasca si prenda con le pinze un’indagine che «è stata oltremodo complessa sotto molteplici aspetti e ha comportato altresì valutazioni delicate in tema di configurabilità dei reati ipotizzati, di competenza territoriale, di sussistenza del nesso di causalità ai fini dell’attribuzione delle singole responsabilità», giungendo a conclusioni prodromiche per un rinvio a giudizio.
Ma come soppesare una decisione come quella che portò alla chiusura della zona rossa nella bergamasca da un punto di vista squisitamente penale? Si può criticare la scelta politica, ma attribuire la diffusione di un’epidemia che ha fatto strage a una decisione criminale di chi governava a livello nazionale e sul territorio, e quindi ad alcune singole persone che ricoprivano ruoli politicamente apicali, è davvero arduo, quasi metafisico. L’indagine della Procura di Bergamo, meritoria perché risponde alle esigenze di chiarezza di molti cittadini che hanno perduto parenti e amici stretti, rischia però di sconfinare nell’assurdo per le dimensioni stesse, che sono planetarie, del fenomeno Covid.
I politici che all’inizio della pandemia sedevano nella stanza dei bottoni, agirono certamente con le migliori intenzioni, e questo crediamo che nessuno possa metterlo in dubbio: dall’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte, all’ex ministro della Salute Roberto Speranza, passando per il presidente dell’Istituto Superiore della Sanità Silvio Brusaferro, per finire col presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, finanche al “pasticcione” Giulio Gallera, in quel momento fronteggiavano un nemico invisibile e insidioso, senza esperienze pregresse, e con l’interesse comune di garantire – e garantirsi – la sopravvivenza. Che questo agire possa essere stato talvolta precipitoso, superficiale, addirittura sbagliato, sarà la Storia a stabilirlo e, più propriamente, le commissioni parlamentari.
La giustizia dovrà operare delle distinzioni, sottolineare ad esempio lo scandaloso mancato aggiornamento del piano pandemico fermo al 2006, accertare insomma fin dove possibile eventuali responsabilità dolose. Ma non sarà una sentenza che consegnerà ai posteri la verità sul Covid e metterà in pace le nostre coscienze.
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