
(Massimo Gramellini – corriere.it) – Nel convalidare il fermo di due presunti scafisti del naufragio di Cutro, il giudice delle indagini preliminari Michele Ciociola così esordisce: «In attesa dell’atteso ed osannante turismo crocieristico, l’Italia scopre altri esotici viaggi alla volta di Crotone e dintorni».
E, in attesa dell’atteso, continua: «Lungi dall’ergersi alla Cassandra di turno, chi scrive, gravato dagli orrori dell’ultima mareggiata pitagorica, si accinge a vergare l’ultimo fermo disposto in materia di immigrazione clandestina».
Vergato il quale, conclude: «Lo sbarco in esame non può essere ritenuto il frutto di un accordo tra quattro amici al bar che, imbattutisi per caso in 180 disperati, decidono di affrontare i perigli del mare per speculare sul desiderio di libertà dei disperati medesimi».
Che cosa può avere indotto il sarcastico estensore dell’ordinanza ad affrontare i perigli di una prosa spumeggiante ai limiti dell’esoterico pur di scrivere un atto giudiziario come se fosse un libretto di Metastasio? E volendo egli comunicarci che, sulla base della sua esperienza, gli scafisti russi sono stati sostituiti da quelli turchi, per quale motivo ha usato queste parole: «Si fa peraltro presente, sul canale esperienziale, come, venuta meno la manovalanza russofona, gli aurighi dei natanti siano quasi esclusivamente di nazionalità turca».
Non è facile capire in che modo i dannati scafisti si siano trasformati in aurighi, ma dipenderà dall’antenna: i canali esperienziali li prende malissimo.
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