Il leader del M5s: “Noi partito del Sud? Narrazione distorta e il Nord lo sa”

(di Mario Fabbroni e Davide Desario – leggo.it) – Presidente Giuseppe Conte, è trascorso quasi un anno da quando la Russia ha invaso l’Ucraina. E non si vede all’orizzonte nessuno spiraglio di pace. Crede ancora che l’Italia non debba inviare armi?
«Allo stato c’è solo una escalation militare e nessuna soluzione politica. Lo dico da mesi e ora anche Gutierrez, il segretario Onu, afferma che stiamo andando “a occhi aperti” verso una nuova guerra mondiale. Invece bisognava impostare subito ogni sforzo internazionale verso una soluzione negoziata».
Intanto il presidente francese Macron non ha invitato l’Italia al vertice a Parigi con Zelenski e il cancelliere Scholz. Ora cosa dovrebbe fare il nostro premier?
«La Meloni non sta toccando palla a livello internazionale. Sta verificando di persona quale differenza ci sia tra l’essere all’opposizione gridando “in Europa con noi finirà la pacchia” e invece prendere parte ai vertici con forza e autorevolezza. Deve conquistarsi credibilità nell’interesse del Paese».
Ma non sarà, invece, che Francia e Germania sono invidiose dei consensi e della leadership di Giorgia Meloni?
«Quando dicono che la Meloni non costituisce più un “pericolo”, come ha fatto un grande giornale straniero, dobbiamo augurarci che questo non significhi che l’Italia sia innocua e che abbia perso credibilità internazionale. La premier dovrà impegnarsi in tutti i contesti a conquistare sul campo quella credibilità che il nostro Paese merita».
Dica la verità, ha un po’ di nostalgia di Palazzo Chigi?
«No, perché sono completamente assorbito nel ruolo di leader del Movimento 5Stelle e a dare, dall’opposizione, un contributo più positivo possibile al nostro Paese in una congiuntura complicatissima».
A proposito di rapporti con l’estero. I 5Stelle hanno presentato una proposta di legge, con lei primo firmatario, per vietare che arrivino soldi da Paesi stranieri a chi riveste incarichi pubblici…
«Riteniamo assolutamente necessario, in particolare per i parlamentari italiani, che siano solo pagati dallo Stato italiano e non anche da Paesi stranieri e da fondazioni o enti ad essi collegati. C’è il rischio che il Qatargate sia solo la punta di un iceberg tutto ancora da scoprire».
In Lombardia con il Pd invece nel Lazio, dove avete governato insieme, vi presentate divisi. Perché?
«Non è dipeso da noi, anzi ovunque abbiamo avuto lo stesso atteggiamento. Ma nel Lazio il Pd si è chiuso a riccio su una candidatura voluta da Calenda e Renzi, sottraendosi alla condivisione su quegli stessi punti programmatici che invece in Lombardia sono stati accolti con entusiasmo. Nel Lazio con noi sono venute forze civiche, ecologiche e sociali ma non il Pd».
Non pensa che questo disorienti il vostro elettorato?
«Disorienta molto l’elettorato del Pd, che vede che i programmi del suo partito non sono sempre gli stessie che manca una visione generale. Ho parlato invece con tanti nostri elettori verificando che apprezzano la nostra coerenza, la nostra linea di visione».
Facendo un bilancio a 14 anni di distanza dalla nascita del Movimento, la scommessa dei 5Stelle è stata vinta o persa?
«Più che di scommessa parlerei di sfida. La sfida politica del Movimento è stata quella di tenere alta l’asticella della giustizia ambientale, di quella sociale e dell’etica pubblica, contribuendo con la sua forza d’urto a rinnovare il sistema italiano. Fin quando manterremo alta quest’asticella, allora vinceremo la sfida. Ma abbiamo dovuto affrontare una rifondazione, per chiarire valori e obiettivi. E chi aveva perso la bussola, è andato via. Con risultati che si vedono, visto che siamo tornati a far risalire la curva del consenso».
Siete definiti il partito del Sud.
«Una rappresentazione distorta ci schiaccia sull’immagine di un partito localista dedito all’assistenzialismo». Invece? «Invece siamo la forza politica che più ha lavorato a favore delle imprese. Il Nord lo sa. E il nostro è un progetto di miglioramento del Paese in tutte le sue componenti».
Cosa si aspetta dal voto della Lombardia e quale risultato la renderebbe soddisfatto?
«In Lombardia ho riscontrato grande richiesta per il miglioramento dei servizi essenziali come sanità e trasporto pubblico, anche con l’obiettivo di abbandonare la maglia nera europea dell’inquinamento. Vi dico di più: ci sono tutte le premesse perché, dopo 28 anni, ci sia un cambio di governo nella Regione Lombardia».
Primarie del Pd: pensa sia più facile dialogare con Schlein o con Bonaccini?
«Non è una questione di nomi. Mi piacerebbe dialogare con nuovi vertici del Pd che siano finalmente corretti, leali e che perdano la loro proverbiale arroganza riuscendo a rivolgere lo sguardo al futuro, al di là del proprio ombelico di partito».
Definisca Meloni, Salvini e Calenda con un aggettivo…
«Meloni è incoerente. Salvini inadeguato. Calenda troppo ondivago».
Sta guardando il Festival di Sanremo? Oramai lì si fa più politica che in Parlamento…
«Sanremo lo guardo quando posso, a frammenti».
E l’ultima frase, quella della Egonu sull’Italia razzista?
«Dobbiamo rispettare la sensibilità della Egonu. Ha vissuto situazioni discriminatorie e non possiamo entrare nella sfera della sua sensibilità. Ma lavorare perché l’Italia sia sempre più inclusiva».
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e che perdano la loro proverbiale arroganza
(Riferito al pd)
L’unica domanda che vorrei fare a Conte è questa: hai capito con chi e cosa hai a che fare?
L’arroganza del pd deriva dal fatto che qualsiasi porcata combini avrà SEMPRE un imponente grumo mediatico a supporto. SEMPRE!
Un supporto che tu ti puoi scordare.
E questo dettaglio farà SEMPRE la differenza. SEMPRE!
Buon dialogo col nuovo pd, auguri..
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Non riesco a capire se fa il finto tonto mentre dietro le quinte “trama” per dare il colpo di grazia al PD o se è tonto per davvero.
A parer mio, gli attivisti che hanno a cuore il destino del M5S, dovrebbero impegnarsi in tutti i modi per alimentare la tensione tra PD e M5S; dovrebbero, anzi, dovremmo, organizzarci e attaccare le sedi del partito draghiano(PD) e rivendicare le nostre azioni con orgoglio.
Allora Conte sarà messo davanti una scelta difficile. Dovrà scegliere se preferisce l’alleanza col PD o con gli elettori del M5S.
Non può più tenere il piede in due scarpe.
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…o con gli elettori del M5S. Mah.
01 febbraio 2023: consultazione in rete fra gli iscritti sulla proposta di modifica del Codice Etico, con tutto quel che ne consegue, piaccia o non piaccia. Totale votanti: 25.613.
– i SI: 24.088
– i NO: 1.525
Quei 1.525 sono rispettabilissimi, ma sono la minoranza. Per quanto mi riguarda se facessi parte di quella minoranza, tanto di questa quanto di future eventuali, o mi rassegnerei, o aderirei a un progetto politico diverso, più consono alle mie idee. Certo non ululerei alla luna per mesi o anni e basta, solo per il fatto che la maggioranza non la pensa come me.
Quanto al “dovremmo organizzarci e attaccare le sedi del partito draghiano (PD) e rivendicare le nostre azioni con orgoglio” penso onestamente che ti sia fatto prendere la mano.
Con cordialità
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cuba libre, nulla è definitivo, immutabile, nemmeno il codice etico.
Quanto a quella mia affermazione, ammetto che può essere mal interpretata, ovviamente non intendevo atti terroristici, ma azioni forti e di guerriglia(metaforicamente parlando).
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Certo, nulla è definitivo, figuriamoci. Tutto cambia, e meno male. Ma il mio punto rimane: 24.088 sì e 1.525 no. Sta ovviamente a significare che oggi – oggi – la linea di Conte convince la stragrande maggioranza degli iscritti. Può non piacere, ma è così.
Quindi uno può fare tutte le “azioni forti” che vuole, ma che riesca così a far cambiare idea a molta più gente della medesima famiglia dal parere molto, ma molto diverso lo trovo alquanto improbabile. E penso anche che avremmo tutti bisogno di meno “guerriglia” e di più unità di intenti. Ma mi rendo conto che questo non è possibile, quando si hanno opinioni così divergenti.
Continuo a non capire a cosa serva questo continuo masticare amaro.
Ciao, buona domenica.
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L’escalation in Ucraina… e lo dice a noi, da mesi, ha parlato con la V.d.Leyen eletta coi voti del Movimento? dato che credo ci abbia parlato ultimamente, provo a indovinare… gli ha detto chiaramente che deve andare così, messuna proposta diplomatica può fare l’europa, nessun potere in questa storia, solo contribuire. Possibile che basti una enunciazione di principio in campagna elettorale? Intanto i parlamentari europei 5S si sono alzati in piedi ad applaudire Zelensky o sono rimasti seduti, mi piacerebbe saperlo, è importante
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Parlare di lealtà col PD è come parlare di verginità in un bordello.
Ma Conte lo capisce o no che l’unica cosa che vuole il PD è annientare il M5S?
Nessuna alleanza è possibile col PD.
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Il poveretto è solo una delle tante rane bollite, gracida fievolmente e non ne vuol sapere di uscire dalla pentola che lo sta lessando, un semplice ed inutile scudiero.
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Chi ha visto la puntata odierna di otto e mezzo ha potuto sentire da Travaglio dove risiede lo zoccolo duro dell’elettorato pd: coop, gangli dello stato, clientele ecc., cioè una massa di voti CERTI, qualsiasi cosa accada.
Per i duri di comprendonio: neanche Giove e tutto l’olimpo possono fare deviare qualsiasi segretario dallo scambio di “cortesie” che deve esserci necessariamente tra questa base e il pd. Una alleanza, con tali premesse, diviene possibile solo se si accettano compromessi al ribasso.
È CHIARO????????
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A cercare di spiegare l’origine (almeno in parte) dello zoccolo duro piddino di cui parla Travaglio, provò questo interessante articolo di dieci anni fa. Forse un pochino lunghetto, ma credo che valga la pena leggerlo.
La base della sinistra (alias Pd, ndr) è fatta di deficienti??
di Aldo Giannuli – 29/12/2013
So che questo articolo farà imbestialire molti per il titolo, ma se avrete la pazienza di leggere anche il resto, forse vi arrabbierete anche di più. O forse no. Vediamo… Uno degli interventori di questo blog, commentando una mia affermazione per cui il Pd è un partito con un gruppo dirigente di destra ed una base (militante ed elettorale) prevalentemente di sinistra, ha scritto che, stante questa premessa, occorre concludere che “l’elettorato del Pd è in larga parte composto di deficienti”. Deduzione impeccabile…apparentemente, in realtà sbagliata perché troppo superficiale.
Le cose sono molto più complicate di un rapporto lineare per il quale una base, che non si vede rappresentata nelle sue istanze più importanti, dopo un po’, sfiducia il gruppo dirigente. Sarebbe troppo bello se le cose fossero così semplici. In realtà, nel rapporto di rappresentanza, giocano molte mediazioni ed elementi di “disturbo”. Ovviamente non è affatto escluso che ci sia una porzione di deficienti che giochino un ruolo di supporto alle burocrazie dominanti e senza alcun vantaggio per sé (altrimenti che deficienti sarebbero?). E questo vale per tutti, anche per la sinistra: non fu Sciascia, sin dal 1963, a decretare la “nascita del cretino di sinistra”?
Ma non è questo l’elemento decisivo: si tratta di una porzione decisamente minoritaria e non determinante. Ben più decisiva è la porzione di persone direttamente legata da rapporti di interesse con il gruppo dirigente: funzionari, consulenti, personale amministrativo, cui si aggiungono i membri di corporazioni garantite e comitati d’affari vari. A sinistra questa coda clientelare e burocratica è particolarmente fitta e ben collegata (si pensi agli apparati di partito, al personale politico degli enti locali, alle cooperative, alle corporazioni di accademici, sindacalisti, magistrati, notai, architetti ecc.). Non è affatto detto che questo gruppo di persone condivida o meno gli indirizzi politici del gruppo dirigente che sostiene: nella maggior parte dei casi vi è indifferente, ma anche nel caso dissenta dagli indirizzi generali del gruppo dirigente –a prescindere se considerati troppo di destra o troppo di sinistra- continuerà a votarlo, per il prevalere degli interessi particolaristici o anche solo personali.
Naturalmente, questa politica di distribuzione selettiva delle risorse, per definizione, deve riguardare minoranze abbastanza ristrette, quindi questa parte della base non è numerosissima e, presumibilmente, non supererà mai una quota del 4-5% degli iscritti al partito e molto meno degli elettori, quindi, in sé, non si tratta di un gruppo decisivo. Ma occorre tener presente che queste persone hanno parenti, amici, clienti, dipendenti, che sono spesso interessati indirettamente al mantenimento di quegli stessi assetti di potere: se un architetto vive della committenza degli enti locali in cui ha amici politici, è interessato alla loro permanenza alla guida dell’ente locale e del partito, ma altrettanto interessati al permanere di quegli equilibri saranno i suoi familiari, la segretaria ed anche il giovane precario del suo studio che vivono di quello stipendio, pur magro. Così come a votare per lo stesso assessore saranno i clientes che hanno ricevuto qualche favore, anche piccolo. Sicuramente non tutte queste persone voteranno conformemente ai loro interessi particolaristici, ma una parte -più o meno ampia- si. E questo determina un effetto moltiplicatore, per cui quel 3-4%, diventerà facilmente il 15-20% dei voti congressuali ed una percentuale più bassa, ma non trascurabile, dell’elettorato. Ma veniamo alla parte maggiore della base.
Qui il discorso si differenzia fra base di partito e base elettorale. Nella base di partito un effetto decisivo lo giocherà l’apparato dei funzionari strutturati in una precisa catena di comando che va dal centro alla periferia e che è il modello organizzativo base della sinistra. Oggi l’apparato è decisamente più debole rispetto a quello che era nel Pci, ma mantiene un peso considerevole e si integra con la nuova figura del “consulenti”. Il funzionario è un lavoratore dipendente privilegiato da un certo punto di vista (elasticità di orari di lavoro, accesso ad ambienti decisionali, spesso migliore retribuzione ecc.), ma ha un forte handicap: è licenziabile ad nutum, per cui deve assicurarsi un solido ancoraggio nei livelli superiori dell’organizzazione, attraverso un rapporto di dipendenza politica dal gruppo dirigente nel suo complesso o di una sua particolare frazione. A sua volta, però, il funzionario, ha un discreto potere di distribuzione di riconoscimenti selettivi verso chi gli è sottoposto: può influenzare la scelta dei membri di direttivo regionale o provinciale, dei segretari di sezione, dei membri di commissione o di particolari incarichi di partito o degli enti locali, la formazione delle liste quanto meno per le elezioni amministrative ecc. E questo, ovviamente, sfocia nella costruzione di un seguito organizzato che seguirà le sue indicazioni di voto congressuale. E così si determina una catena di consenso che prescinde totalmente dall’adesione ad una determinata linea politica: il segretario della sezione “Gramsci” è un vecchio militante del Pci, totalmente estraneo alla cultura liberista del gruppo dirigente e che non ama affatto Renzi, ma è stabilmente collegato al gruppo che nella federazione provinciale fa riferimento al signor Bianchi, ex sindacalista Cgil, a sua volta collegato al gruppo regionale dell’on. Neri, che deve la sua candidatura al membro della direzione Rossi che, a sua volta, ha scelto di stare con Renzi.
Quel segretario di sezione, dunque, voterà Renzi e, siccome ha un nutrito gruppo di amici ed estimatori, molti di essi, pur pensando cose totalmente diverse, voterà seguendo le indicazioni del segretario del circolo. Come si vede ci sono una serie di passaggi che prescindono totalmente dalla condivisione o meno della linea politica. A questo meccanismo (particolarmente radicato nei partiti di sinistra nei quali da sempre l’apparato è la spina dorsale) si sommano meccanismi di natura diversa che hanno anche più peso nell’area degli elettori non iscritti al partito. In primo luogo, al pari di quanto accade nei mercati finanziari, giocano un ruolo molto importante le “asimmetrie informative”, per cui l’ “offerta”, cioè il gruppo che chiede la delega, possiede una quantità ed un livello di informazioni decisamente superiore a quello della “domanda”, cioè la base alla quale non resta che stare sulla parola di chi gli chiede fiducia. Come si sa, chi vende sa ciò che vende, ma chi acquista non sa quel che compra.
Questa asimmetria informativa di base, poi va stratificandosi, creando una vera e propria “gerarchia informativa”: all’interno del gruppo, corrente o partito, il capo cordata avrà il massimo di informazioni, i suoi immediati subordinati conosceranno gran parte di esse ma non tutte, a loro volta i subordinati di medio livello avranno a disposizione una massa inferiore di informazioni che trasmetteranno solo in parte ai loro sostenitori e così via, in un crescendo di opacità che raggiungerà il suo massimo al livelli di base. Se il capo corrente ha stabilito un’ intesa coperta con altro capo corrente, probabilmente lo dirà solo ai collaboratori più stretti ed ai supporter più fidati, gli altri forse ne sapranno qualcosa o la intuiranno e forse qualcosa trapelerà a livello medio alto, ma al di sotto di esso nessuno ne saprà o immaginerà nulla. ù
Dunque, primo problema: la base compie le sue scelte in condizioni di ignoranza più o meno parziale, per cui la scelta basata sulla fiducia personale spesso sopperirà ad una scelta consapevole. Ma, qualcuno osserverà, questo può essere giusto per il futuro, ma come giustificare il persistere di un rapporto fiduciario anche “dopo”, quando l’azione politica (di governo o di opposizione, poco importa) del gruppo dirigente si è dispiegata ed ha dato i suoi frutti magari divergenti dalle aspettative? Perché la base non giudica il gruppo dirigente sulla base dei risultati effettivamente conseguiti? Anche qui c’è una quota di asimmetria informativa, che contribuisce a spiegare il fenomeno: non tutti i militanti di un partito seguono la vita politica con l’attenzione necessaria o, semplicemente, hanno il tempo di documentarsi adeguatamente; e fra gli elettori non iscritti, presumibilmente, il tasso medio di interesse per la vita politica è ancora più basso.
Peraltro, giudicare le decisioni, ad esempio, di politica economica, presuppone un minimo di strumenti culturali che spesso non sono disponibili. L’uomo della strada percepisce che l’economia non va, che occupazione e consumi calano e che la pressione fiscale è poco sopportabile, ma di fronte a spiegazioni del tipo “E’ l’eredità dei governi precedenti”, “E’ l’effetto cella crisi mondiale che sarebbero ancora peggiori se il governo non avesse fatto questo o quello”, “E’ quello che si può fare entro i vincoli dei trattati internazionali”, “E’ colpa della Germania” oppure “Gli altri avrebbero fatto di peggio”, non ha gli strumenti per orientarsi. E, nella maggior parte dei casi, o si fiderà di quello che legge nel giornale che prende abitualmente o si rivolgerà al suo opinion leader di riferimento (un amico insegnante o professionista o giornalista ecc.) che spesso sarà un militante o simpatizzante di partito. Oppure farà leva sul “pre-giudizio ideologico” che lo dispone a favore di uno schieramento piuttosto che di un altro, a prescindere da qualsiasi analisi di merito. Ed in questo influiranno anche una serie di riflessi psicologici da non sottovalutare: confondere i desideri con la realtà, scacciare le notizie sgradite, cercare di giustificare sempre la parte politica per cui si tiene, il desiderio di non smentirsi e di “tenere il punto” della propria appartenenza politica, la resistenza ad accettare i mutamenti storici in corso e la conseguente tendenza, in particolare nei più anziani, a leggere quel che accade con le lenti del passato.
Questi meccanismi sono più forti a sinistra, dove, pur essendoci un più alto tasso di politicizzazione, c’è una maggiore propensione ad affidarsi al “partito-apparato”, dove il radicamento ideologico è maggiore e con una più spiccata propensione acritica, dove il “patriottismo di partito” ha ragioni antiche e spesso sfocia in una deplorevole assenza di laicità. E non si dimentichi che la densità di anziani a sinistra è particolarmente alta (come giustamente ricordava qualcuno: una grossa fetta degli elettori del Pd sono i pensionati). I giovani si astengono o votano il M5s, pochi la destra, ma solo pochissimi Pd. E questo ha il suo peso. Ma, soprattutto incide un fattore particolare: l’assenza di alternativa prodotta dallo stesso ceto politico al “potere”. Quando chiedi ad un militante di sinistra perché vota per una certa corrente o perché non reclama le dimissioni immediate di un segretario sconfitto alle elezioni ecc. novanta volte su cento la risposta è: “E chi ci metti al suo posto?”. Ed è vero, perché non c’è un’ offerta alternativa. Ma non c’è perché il ceto politico al potere ha accuratamente fatto in modo che non ci sia. Ed un gruppo dirigente alternativo non cade dalle nuvole come un dono del Cielo. All’interno dei partiti è la totale assenza di democrazia interna ad impedire qualsiasi ricambio. Beninteso, non mancano le liturgie congressuali o le primarie, ma alla linea di partenza arrivano solo già quanti sono dentro la casta e la scelta è sempre fra diverse frazioni della stessa burocrazia. Per affermarsi un nuovo gruppo dirigente ci sarebbe bisogno di una dialettica aperta per tutto il periodo che va da una consultazione all’altra, tenendo conto tanto della difficoltà dell’affermarsi di una nuova cultura politica in presenza del naturale conservatorismo delle organizzazioni.
C’è una viscosità interna che penalizza le novità e punisce le innovazioni, per cui, per affrontare le sfide interne, al gruppo dirigente in carica basterà monopolizzare l’immagine esterna del partito ed escludere dalla sua discussione interna ogni “terzo incomodo” che cerchi di inserirsi. Anche quando si conceda qualche avarissimo spazio marginale (le lettere al direttore del giornale di partito o qualche raro post nel blog vigilato dalla direzione), questo non avrà alcun effetto. Quando si arriverà al congresso o alle primarie, i giochi saranno già fatti: il regolamento provvederà a rendere quasi impossibile ai nuovi arrivati anche solo di presentare una loro mozione e loro candidati; se anche qualcosa dovesse accadere, i dirigenti uscenti potranno usare le risorse economiche del partito per le loro manifestazioni, spostamenti, inserzioni pubblicitarie, manifesti ecc. mentre i nuovi dovranno fare tutto da soli. Poi ad indirizzare i consensi provvederanno i funzionari sul territorio e la stampa nazionale che, ovviamente, darà spazio solo a quelli che già sono i principali esponenti di partito.
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Articolo meravigliosamente esplicativo.
Qualcuno si incarichi di farlo leggere a Conte, per carità!
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il tuo partito del ca**o cosa ha votato quando vi era il vile affarista faccia da demone draghi al governo?
tu che parli di costituzione, cosa hai fatto nel 2019 e nel 2020?
ecco perchè questa nazione è ridotta così, questa è la politica, tutta, Italiana….siamo rovinati.
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