
(Anna Lombroso per il Simplicissimus) – Spesso le malversazioni e le operazioni speculative di scaltri finanziari si caratterizzano come crimini di affinità: le vittime di preferenza vengono scelte nelle comunità etniche di origine dei truffatori che ne conoscono aspettative, usi, condizioni e e convinzioni e più facilmente toccano punti sensibili, con la promessa di guadagni facili adescano vedove e lusingano pensionati, che, come se non bastasse, una volta portata alla luce l’indegna trama di inganni diventano oggetto di deplorazione per essersi fatti ingannare per avidità e ingordigia di soldi non sudati.
Anche senza risalire al Gotha dei lestofanti blasonati con ufficio panoramico a Manhattan, basta pensare alle banche locali salvate dal bail-in, dove dirigenti con influenti protezioni dinastiche hanno turlupinato piccoli risparmiatori del circondario approfittando del clima di fiducia che si era creato per affibbiare loro investimenti tossici, portandoli alla disperazione e al suicidio.
Trattati pure loro da creduloni giustamente puniti per la loro dabbenaggine, come successe nel caso dello scandalo del Monte dei Paschi di Siena, quando il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, quello che era venuto meno al suo incarico di vigilanza, si rivolse alle 130 mila famiglie imbrogliate, dando loro degli analfabeti funzionali, degli ignoranti che avevano meritato di essere penalizzati per aver acquistato bond avvelenati, che nel corso del susseguirsi di crac bancari hanno bruciato oltre 113 miliardi di euro.
Più o meno lo stesso principio ispirava la selezione dei kapò nei lager, grazie alla quale venivano scelti i soggetti che godevano di stima presso i deportati, in modo da assicurarsi che venissero messi a parte di eventuali progetti di fuga e che diventassero i solerti delatori pronti a denunciare potenziali agitatori. Ma anche la cernita di personale politico adatta a mettere insieme governi fantoccio manovrati da entità sovranazionali, da sostenere con tecniche di propaganda e sistemi di ricatto che assicurino un consenso superficiale, ostacolando moti di piazza e assalti ai forni.
In questo caso occorre aver costruito preventivamente una macchina cospirativa bene oliata, che si regga sulla creazione di un clima emergenziale che autorizzi il ricorso a strumenti e misure di eccezione, dall’altra su una efficace struttura organizzativa che si occupi dell’advertising del prodotto politico da mettere sul mercato.
Ne abbiamo innumerevoli esempi ormai grazie al succedersi della occupazione nei posti chiave del nostro sistema istituzionale di soggetti “terzi” incaricati di mettere ordine secondo criteri stabiliti all’esterno del nostro contesto costituzionale, in virtù di “competenze”, esperienze conquistate sfaccendando per demolire stato sociale, stato di diritto e Stato tout court, da retrocedere a ente esattore e riscossore della cittadinanza e pagatore in aiuto a soggetti imprenditoriali in forza alla cricca multinazionale padronale.
Pensiamo alla preparazione che ha preceduto l’irruzione sulla scena politica di Prodi, con la creazione artificiale di un movimento che doveva coagulare intorno all’ulivo varie componenti progressiste e riformiste allineati sui canoni liberisti con l’appoggio di un’opinione pubblica indirizzata a quella ragionevole scelta da opinionisti e intellettuali che esibivano il lento, pacioso e mite economista reggiano come la madonna pellegrina che avrebbe combattuto l’anticristo e restituito autorevolezza e reputazione al paese.
E poco importa che soprattutto grazie a questo inviato speciale da Bruxelles i parlamenti italiani abbiano avuto la stessa sovranità reale del governo di Vichy durante l’occupazione tedesca, poco importa che con lui la risposta alle crisi importate abbia consistito nella svendita dei beni nazionali, che per curare la malattia del debito serva da allora un’unica terapia d’urto: le privatizzazioni, che per promuovere l’occupazione serva licenziare come insegna la sua scuola, se tuttora tra qualche cauto ripensamento e qualche innocente evasione uno die più insigni traditori della patria continua ad essere interpellato per suffragare l’obbligatorietà della rinuncia a poteri e competenze oltre che a immaginare una alternativa alle servitù all’Europa.
O pensiamo alla preparazione del mito in grigio di Monti, il riscatto severo e frugale dallo sciagurato e libertino ventennio berlusconiano, ma anche la punizione tramite austerità comminata a una marmaglia che aveva voluto e avuto troppo da penalizzare con ristrettezze operose e perdite edificanti.
Anche lui nel suo passato di notabile ammesso al contesto carolingio aveva costruito la sua immagine di manovale del racket pronto a eseguire il suo dovere per rimettere in riga un popolo cialtrone grazie alle condizioni che assicuravano la sua ammissione e annessione sia pure in condizioni di gregarietà e sudditanza all’Europa, come prescritto in quella famosa letterina di moniti e comandi formata da Trichet e da Draghi, cui si doveva la paternità del “fiscal compact“, il rimaneggiamento sostanziale delle regole a cui le politiche di bilancio nazionali devono essere soggette per “risultare credibili”, e in cui si intimava come misure improrogabili per “ripristinare la fiducia degli investitori”, una profonda revisione della pubblica amministrazione, privatizzazioni su larga scala, compresa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali; riduzione del costo dei dipendenti pubblici, anche attraverso la riduzione dei salari; la riforma del sistema di contrattazione collettiva nazionale; criteri più rigorosi per le pensioni di anzianità, da accompagnare a riforme costituzionali in materia fiscale e della giustizia.
Ce l’aveva promesso e infatti è proprio Draghi l’incaricato di dare la stretta finale in aggiunta a quelle condizioni che via via sono state tutte rispettate e che adesso trovano la loro “piattaforma” nella nuova veste data all’austerità, quel Pnrr che si rivela un dinamico strumento che si può tirare e aggiustare per autorizzare che in nome di un susseguirsi di crisi apocalittiche si possano attuare politiche regressive e repressive, esercitare l’intimidazione e il ricatto come sistema di governo, cancellare diritti e garanzie con un certo consenso basato sulla richiesta di “sicurezza” che viene appagata in forma di prodotti sanitari o investimenti in armamenti.
Nella graduatoria dei vigliacchi felloni e infidi il presidente del Consiglio, da quando serviva gli ospiti illustri in qualità di marinaretto sul Britannia, da quando faceva il piazzista di fondi tossici per Goldman Sachs, da quando svolgeva il ruolo cassamortaro di liquidatore dell’apparato pubblico nazionale (IRI, Telecom, Comit,Credit, Eni, Enel…) per un totale di 182.000 miliardi di lire, è di sicuro al primo posto, aggiungendo all’inventario di violazioni di ogni vincolo morale e sociale con il suo Paese anche la chiara volontà di portarlo in una guerra non solo economica ma apertamente belligerante nella quale i cittadini non possono che perdere come in ogni campagna di Russia del passato, provati da due anni di stenti, perdita del lavoro, smantellamento definitivo della sanità e della scuola pubblica, cancellazione di diritti e prerogative, istigazione alla violenza privata da applicare a chiunque dissentisse.
Ieri, una volta appreso con certezza che il suo sogno di emigrare al Segretariato Generale della Nato era fallito (Stoltenberg solo tra un anno farà il percorso inverso a quello che Draghi aveva pensato per sé, dalla Nato alla banca), preso atto che è rimasto l’unico insieme alla sua stampa cocchiera a da retta al vaniloquio di un demente, che malgrado i timori espressi da giornali e blog che si arrivi a una “pace troppo prematura”, che quindi non faccia in tempo a appagare tutti gli appetiti, nessuno voglia davvero innescare le micce atomiche, una volta capito che ci sono i primi cedimenti in rubli e licenze dalle sanzioni, ha fatto sapere di aver molestato telefonicamente Putin per “parlare di pace”, rafforzato dal successo ottenuto in Senato con il si al decreto Ucraina che invece di parlare fa la guerra.
Si, la guerra agli italiani che pagheranno 100 milioni al giorno per spese militari, che a fronte di costi proibitivi sono già condannati a razionamenti e probabilmente a un coprifuoco regolato dall’estensione di lasciapassare sempre più allargati a ogni attività e servizi, a quelli che non pagano il mutuo perché sono disoccupati o senza reddito grazie alle misure di discriminazione pandemiche e a quelli che grazie alla riforma del catasto non potranno mantenere la casa conquistata in anni di lavoro.
Contro questo masnadiero traditore e vile che uccide un paese morto, tiriamo fuori il napoletano che alberga in noi.
Categorie:Anna Lombroso, Cronaca, Editoriali, Interno, Politica
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