Un nuovo Risorgimento italiano

(Francesco Erspamer) – Certo, si può continuare a vivere nell’immediata attualità, senza memoria e senza progetti, quotidianamente reagendo alle “breaking news” spacciate dai peggiori giornalisti del mondo, per lo più gossip e bufale ma tutte prese sul serio, come sintomi di qualcos’altro e dunque causa di rabbia, passione, tifo e tuttavia immancabilmente dimenticate in una settimana se non in poche ore e sostituite da altre cazzate. È il liberismo anglosassone, fondato sul qualunquismo, sulla mobilità (rifiuto di radici e di durata), sull’obsolescenza programmata di prodotti e abitudini, sul culto del successo e non delle virtù: un meccanismo facile facile, esentato da qualsiasi morale e dunque da qualsiasi responsabilità, e per questo importato ovunque, basta abbandonarsi alle proprie pulsioni e lasciar fare al mercato, ossia alla finanza globale e ai suoi media. Oppure, anche se mantenendosi nell’ambito di un sistema capitalista (nessun paese finora ne è mai uscito, altro che fascismo o comunismo), si può restare fedeli alla propria identità culturale e sociale, costruita in secoli se non millenni di Storia, e difenderla dalla colonizzazione e dall’omogeneizzazione; come fanno i francesi, i tedeschi e alcuni piccoli paesi europei, a partire dalla lingua per arrivare all’economia. Altro che il vuoto slogan dell’“orgoglio italiano” della destra (Berlusconi incluso!), gli stessi che a tempo pieno promuovono privatizzazioni e liberalizzazioni, ossia l’indebolimento dello Stato e la svendita dei suoi servizi e delle piccole impese alle megamultinazionali, quasi tutte straniere (comprese quelle che erano italiane, tipo la Fiat). Altro che il terzomondismo piddino e “woke” e la sua cultura della cancellazione di qualsiasi tradizione. C’è un partito, anche un solo, che ponga al centro del suo programma e senza ambiguità, un nuovo Risorgimento italiano, prima che si imponga definitivamente il modello americano, manco per scelta, solo per disattenzione?

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  1. Comica finale: Salvini che fa il pacificatore

    (di Antonio Padellaro – Il Fatto Quotidiano) – Come l’apprendista stregone dei cartoni animati (ma molto meno divertente), dopo avere sparso odio e zizzania in lungo e in largo per l’Italia, adesso Matteo Salvini chiede (senza ridere) a Mario Draghi “un piano di pacificazione nazionale”. Infatti, subito, nella veste pacificatrice, il leader della Lega di governo lancia un forte segnale distensivo: “Di alcuni ministri non mi fido”. Nel mirino, neanche a dirlo, i titolari del Viminale, Luciana Lamorgese, e della Sanità, Roberto Speranza. Insomma, il solito Salvini chiagni e fotti che sentendo puzza di sconfitta nella Capitale – dove il negazionista de noantri, Enrico Michetti si è assicurato i voti della Decima Mas – mette le mani avanti pronto a scaricare “sul clima infame creato a sinistra” un altro possibile tonfo della destra (notevole anche “il problema non è il fascismo”, come se l’assalto alla Cgil se lo fosse organizzato Landini). Purtroppo, anche per le pagliacciate è troppo tardi, perché le forze primordiali dell’internazionale complottista, a lungo eccitate, stuzzicate, titillate dal sovranismo del tanto peggio tanto meglio, una volta lasciate allo stato brado non le controlli più. Un fenomeno di autocombustione sociale che sul versante dell’ordine pubblico (dopo la disastrosa impreparazione di sabato scorso) sarà faticosamente messo sotto controllo. Ma che sul piano della disobbedienza civile sembra destinato a produrre danni non facilmente calcolabili. Speriamo tanto di sbagliarci, ma alla delicatissima scadenza del 15 ottobre (estensione del Green pass nei luoghi di lavoro) il governo sta dando l’impressione di essere arrivato in ordine sparso, senza una precisa strategia, privo di un piano B, fidando nell’improvvisazione e nello stellone nazionale. Come se si trattasse di gestire l’ordinaria amministrazione e non invece le conseguenze dei comportamenti di 2,5 milioni di lavoratori non vaccinati. Per esempio, la decisione di accollare allo Stato la spesa per i tamponi in alcuni comparti sensibili poteva essere una soluzione di buon senso. Ma se viene ventilata proprio alla vigilia dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni trasmette inevitabilmente un senso di debolezza, e proprio quando si proclama la linea della fermezza. Un tentennare subito cavalcato negli scali marittimi, da Trieste in giù, da quei camalli rivoltosi che esigono l’immediata abolizione del Pass e minacciano scioperi a catena per bloccare il Paese. Una specie di ottobre rosso, ma stavolta nero. In questo fosco quadro, gli appelli di Salvini sono soltanto la comica finale.

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