Alle Regionali in Lazio e Lombardia picchi altissimi di non voto. Ma la crisi è del sistema politico

(di Michele Ainis – repubblica.it) – Se i cittadini non vanno più alle urne, bisogna spingere le urne verso i cittadini. È questa la lezione che possiamo trarre, a mente fredda, dall’ultima tornata elettorale. Dove l’astensionismo ha toccato un picco: 62,8% nel Lazio; 58,4% in Lombardia. Significa che due romani su tre non sono andati a votare, come del resto in varie altre città. Una ferita alla democrazia, hanno lamentato in coro Salvini, Conte, Schlein, politici di destra e di sinistra. Ma il loro lamento dura sempre lo spazio d’una notte: il mattino dopo, ciascuno torna ad occuparsi della propria bottega.
È un errore, anzi un abbaglio. Se avessimo votato in un’assemblea di condominio, anziché per un Consiglio regionale, il nostro voto sarebbe stato nullo per difetto dei millesimi. Ma è nulla, nullificata nelle sue stesse ragioni se non nel proprio valore giuridico, anche un’elezione celebrata come una messa in una chiesa vuota di fedeli. Ed è falsamente consolatorio l’alibi agitato per spiegare questa catalessi elettorale. Dice: dopotutto le Regioni hanno poca attrattiva. Non scaldano i cuori come quando i partiti si misurano alle politiche nazionali, non toccano la vita quotidiana come quando devi scegliere il sindaco della tua cittadina. Davvero? E allora perché alle prime elezioni regionali (nel 1970) l’affluenza raggiunse il 95,5% in Lombardia, il 91,6% nel Lazio? E se nel frattempo le Regioni sono diventate impopolari, come si giustifica l’autonomia differenziata, con cui il governo vuole irrorarle di nuove e più robuste competenze?
In realtà c’è una crisi di sistema, non un episodio accidentale. Come conferma il dato dell’ultimo Parlamento: votato nel 2022 dal 64% degli italiani (era il 73% nel 2018, il 90% fino agli anni Settanta). E la crisi delle urne riflette in primo luogo la crisi dei partiti. Furono organizzazioni di massa, affollate di militanti e di simpatizzanti. Si sono trasformati in liste personali, dove il faccione del leader conta più del suo programma. Sicché quando manca il leader, manca l’elettore. E in questa stagione di capi carismatici se ne vedono ben pochi, sono molti di più i candidati paracadutati. Potremmo metterci un tampone disegnando nuove leggi elettorali, che restituiscano il potere all’elettore, anziché all’eletto. E battezzando finalmente una legge sui partiti, per garantirne la democrazia all’interno.
Però questa è solo una faccia del problema. La disaffezione al voto discende altresì da certi tratti ottocenteschi del rito elettorale, che l’hanno diventare respingente, incongruente rispetto al tempo in cui viviamo. Non a caso l’astensionismo dilaga soprattutto fra i giovani. Ormai usiamo la firma digitale per le più varie faccende, studiamo e lavoriamo online, ci connettiamo gli uni agli altri attraverso lo schermo d’un computer o di un telefonino; ma per votare bisogna uscir di casa, raggiungere il seggio, infine chiudersi dentro una cabina armati di carta e di matita. Eppure in Estonia le prime elezioni parlamentari con il voto da remoto risalgono al 2007: da quelle parti basta la carta d’identità elettronica, che permette a tutti i cittadini d’identificarsi via Internet. Potremmo emularne l’esperienza, con un sistema misto, che non sostituisca l’urna: chi vuole ci si reca, chi non vuole usa il computer. A occhio e croce, i secondi non saranno pochi, come mostra – qui in Italia – il fresco successo della raccolta firme online: 330 mila sottoscrizioni in tre giorni, per i referendum su eutanasia e droghe leggere.
E d’altra parte perché sobbarcarsi la fatica – dichiara un italiano su tre, interpellato nell’estate scorsa da un sondaggio Swg – quando votare non serve proprio a nulla? Ecco, facciamo in modo che invece serva, che il voto sia immediatamente utile a chi l’esprime. Un tempo s’applicavano castighi: il Testo unico del 1957 poneva l’obbligo di giustificarsi presso il sindaco, nonché l’esposizione al pubblico ludibrio nell’albo comunale, per chi avesse disertato le elezioni. Anche l’Australia, per dirne solo una, multa di 20 dollari il cittadino che non vota. Ma i premi funzionano meglio dei castighi. Se ne accorse, due secoli fa, la municipalità di Kansas City, esentando i votanti dal pagamento d’un tributo. Senza arrivare a questo, potremmo immaginare qualche piccolo vantaggio burocratico – sul passaporto, per esempio, ormai è così difficile ottenerlo. Ma in generale adesso ci serve fantasia, forse anche un pizzico d’eresia costituzionale. Altrimenti il veleno del non voto può essere letale.
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Già votando ai seggi e scrutinando le schede in presenza dei vari rappresentanti politicanti, sorgono contrasti e scontri sulla validità del risultati. Immaginiamo, quindi, cosa succederebbe se tutto venisse assegnato ad un mondo controllato da imbroglioni di ogni specie e che quando si riesce a scoprire l’imbroglio non si trova mai l’imbroglione.
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La multa a chi si astiene (Australia) come pure il Bonus fiscale (Kansas) sono una stupidaggine.Mi invoglierebbe a costituire il PNV cioè partito dei non votanti : eviterei a costoro la multa e sarebbe il primo partito italiano : chi nominare ? semplice : ……si puo’ tirare a sorte…..
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DEMOCRATICAMENTE C’è DA VERGOGNARSI PIU’ DI UNO STATO GOVERNATO DA UN COMMISSARIO NON ELETTO (NE ABBIAMO AVUTI MOLTI…) O DI UN GOVERNO RETTO DA UNA MINORANZA ( MAGGIORANZA RELATIVA) DI UNA MINORANZA( VOTI VALDI) ? RENDIAMO NON VALIDE LE ELEZIONI IN CUI I VOTI VALIDI NON SUPERANO I VOTI NON VALIDI !!! SE SEI D’ACCORDO , SI INVITO AD INDICARLO NEI COMMENTI O RISPOSTE , ANCHE CON UN SEMPLICE “si” od ” OK”. GRAZIE.
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Se il piatto non ti piace non mangi neanche se te lo regalano. Per questo, il voto telematico che può avere altre buone ragioni per essere adottato, certamente di per sé non sposterebbe significativamente la partecipazione.
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comunque la votazione digitale non sarebbe obbligatoria ma volontaria. Questo potrebbe fornire qualche ulteriore informazione sul perchè di un certo numero di astensioni.
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