La corsa ai decreti, il redditometro, la sicurezza e la prima pietra del Ponte sullo Stretto. L’obiettivo era maggio, poi qualcosa è andato storto. Tempi troppo stretti. Tutto rinviato a dopo le Europee e addio effetto traino sul voto
![La premier Giorgia Meloni](https://www.repstatic.it/content/nazionale/img/2024/05/23/113951359-baf07741-3674-4b96-915f-efd1ef34eb41.jpg)
(di Serenella Mattera – repubblica.it) – Il set era allestito, prometteva una volata elettorale scintillante. Il premierato, i centri migranti in Albania, una spruzzata di bonus tredicesime. E magari qualche opera pubblica, la posa del primo cassone della diga del porto di Genova e, perché no, la prima pietra del Ponte sullo Stretto.
Maggio era l’orizzonte, le Europee e amministrative dell’8-9 giugno l’obiettivo. Ma poi qualcosa è andato storto. Tempi troppo stretti, riuscire un’illusione. E la volata di maggio si è trasformata in una maldestra infilata di guai. Sommati a forzature malriuscite.
Niente voto sulle riforme, solo polvere e ruspe in Albania, bonus rimpicciolito. E poi liti con i tassisti, tensioni con i balneari, stangata sul Superbonus, braccio di ferro con le società di calcio. E il gigantesco errore di calcolo del redditometro. Un’ultima carta restava, vecchia ma sempre preziosa: la sicurezza. Un ddl dimenticato da mesi in Parlamento: più reati, pene inasprite, un messaggio subliminale perfetto per gli elettori della destra. Votiamolo subito, cinque giorni e via: ecco l’input arrivato dal governo. Un blitz tanto pretestuoso, che si è imposta la marcia indietro. Tutto rinviato a dopo le Europee e addio effetto traino sul voto.
Il balletto sulle riforme e la corsa ai decreti
La “madre di tutte le riforme”, Giorgia Meloni l’aveva chiesto ai suoi, doveva essere pronta e approvata almeno in prima lettura entro giugno. Ma le obiezioni al disegno di legge sul premierato sono state tali e tante, il dibattito parlamentare così farraginoso, gli emendamenti delle opposizioni così numerosi (tremila), che è arrivata la resa: il Senato approverà il testo soltanto dopo il 9 giugno.
Intanto però la premier concedeva agli alleati/competitori altrettante riforme, da sventolare come traguardi raggiunti. La Lega otteneva l’Autonomia differenziata, portata in Aula alla Camera con ogni mezzo, la tagliola degli emendamenti e pure l’annullamento di un voto pro-opposizioni in commissione, ma poi fermata lì, a un passo dall’approvazione finale, per non innervosire gli elettori centralisti e anti-autonomisti. Forza Italia pretendeva la separazione delle carriere, nonostante la contrarietà di tutta la magistratura, e incassava la promessa – già smentita – di un via libera in Cdm il 29 maggio, slittato poi al 3 giugno.
Ma a voler accantonare le riforme costituzionali, le cose non sono filate lisce neanche per i decreti del governo (sei in cantiere solo per i due Consigli dei ministri del 24 e 29 maggio), finiti sotto la lente del Quirinale. La riscrittura del decreto di Lollobrigida sull’agricoltura, il braccio di ferro sul mini-condono “Salva casa” di Salvini, il ridimensionamento del bonus tredicesime di Meloni. E ancora, in ordine sparso. La rivolta dei club di serie A contro la norma per il controllo di un’agenzia governativa sui bilanci delle società di calcio. Lo stop alla cessione dei crediti del Superbonus, tra il tentativo di boicottaggio di Tajani e il malcontento di costruttori, banche, proprietari. Lo sciopero dei taxi, al solo annuncio di tre decreti attuativi su taxi e Ncc, attesi dal 2019, cosiddetti taglia code.
E infine, la clamorosa vicenda del Redditometro, lo strumento anti-evasione per scovare le incongruenze tra le spese del contribuente e il reddito dichiarato. Sospeso dal 2018, tirato fuori a sorpresa dal viceministro Maurizio Leo a sedici giorni dalle elezioni e sopravvissuto poco meno di due giorni alle proteste di alleati di governo e avversari di opposizione, nonché alle critiche dei tecnici. Meloni ha provato a gestire la crisi, sminare, tranquillizzare. Poi la retromarcia: decreto “sospeso”. Troppo allarmante per gli elettori, troppo grande il rischio di una bocciatura nelle urne.
I cantieri falliti e la sicurezza arenata
Basta così? Non proprio, perché anche il piano per festeggiare il 20 maggio “l’operatività” di due centri di accoglienza per migranti in Albania, divenuti la bandiera delle politiche migratorie di Meloni, è andato storto. Il Pd, galvanizzato forse dal clima elettorale, è andato pure a controllare: solo ruspe e terra battuta. Ritardi su ritardi, apertura rinviata all’autunno e costi lievitati fino a sfiorare il miliardo di euro in cinque anni.
Salvini provava a consolarsi con il Ponte sullo Stretto, ma dopo aver forzato leggi e contratti, accelerato progetti e controlli, la posa della prima pietra slittava negli annunci dalla primavera a (forse) fine anno. E così restava solo la diga di Genova, opera pagata dal Pnrr, da inaugurare in grande stile il 24 maggio: festa rovinata prima dai rilievi dell’autorità anticorruzione, poi dall’arresto del governatore ligure Giovanni Toti.
Ecco forse perché il governo ha provato da ultimo a rifugiarsi nel caro vecchio tema della sicurezza, nel disegno di legge per inasprire le pene sui piccoli reati, punire gli attivisti ambientali, spedire in carcere le borseggiatrici nel metrò, anche se madri. Perfetto per la propaganda elettorale. Era stato approvato in pompa magna dal Consiglio dei ministri a novembre, per poi finire nel dimenticatoio, arenato, bocciato nelle audizioni per sospetti “profili di incostituzionalità”. L’idea era votarlo all’improvviso in cinque giorni, stampargli sopra il bollino della promessa mantenuta. Ma la forzatura era tanto sguaiata, che le opposizioni sono riuscite a far slittare tutto. A giugno, dopo le Europee, insieme a tutte le altre scorie della stagione elettorale.
Mettece pure tutte le ¢azzate che spara Lollo un giorno si e l’ altro pure ,se capisce perché dalle parti della Garbatella se non stiamo alla frutta poco ce manca.🤔 Poi a pensa’ da qui a un’ anno come se dice : beato chi c’ha un’ occhio
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Mi fa impazzire pensare a quando, ai tempi, tutti ululavano come robottini ossessionati ai Cinquestelle accusandoli di esser i perfetti “scappati-di-casa”…! Oggi finalmente si sentiranno bene, con questi geni al comando. Ecco, auguro loro buon divertimento! 🎉🎊
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La legge sul redditometro fu promulgata negli anni ’70. Da alcuni giorni è in vigore un decreto attuativo (dettato dalla Corte dei Conti che ravviserebbe un danno all’erario non contrastare l’evasione fiscale, applicando tutte le leggi vigenti) che ne disciplina la nuova attuazione. La ratio della legge si fonda su un banale principio di oggettività: se guadagni X ma sei titolare di un tenore di vita corrispondente a X al quadrato può scattare un accertamento. Considerando che in Italia si può tranquillamente andare in giro con in tasca 5.000 euro al giorno e che quindi si può comprare quasi tutto in contanti in nero e anonimamente, il redditometro andrebbe a colpire praticamente quasi nessuno degli attuali evasori fiscali, che – in verità non sono mai stati preoccupati da tale misura, mai applicata con la necessaria severità. Essendo in campagna elettorale la maggioranza, non avendo nessuna riforma da sbandierare o grandi risultati raggiunti, si è inventata il solito refrain sulle tasche e la libertà dei cittadini. FI e Lega fanno finta di abbaiare e Giorgia interviene e rassicura tutti, come una buona madre e tutti contenti si va verso le elezioni con le solite promesse. Questa volta però c’è una piccola difficoltà: con quale motivazione d’urgenza si potrà abolire un decreto appena emanato per ottemperare a una sentenza della Corte dei Conti che certifica un possibile danno erariale (un reato) il mancato contrasto all’evasione fiscale?
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Prepariamoci al Referendum Costituzionale per gettare nel cassonetto la schiforma del premierato e, con essa, anche tutta la banda di cialtroni al governo!
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