Le storie di Federica e Giulia, affette da disturbi alimentari, e del loro rapporto ossessivo con la app contacalorie, durato anni. Tra i sensi di colpa se non si rispetta il piano alimentare e l’obiettivo di “dimagrire ad oltranza, praticamente finché non ero da ricovero”. “Inserivo persino le calorie delle gomme da masticare”, racconta una di loro. Qualcuno, in America, la chiama “app-orexia”

(Eva Elisabetta Zuccari – today.it) – “Arriverà il giorno in cui questa app smetterà di essere la mia ossessione?”, si chiede M. “È la mia dipendenza”, risponde P. “Io l’ho eliminata, ma ho dovuto re-installarla per il senso di colpa”, fa eco qualcun altro. C’è chi, ancora minorenne, si è fatto comprare un abbonamento premium dai genitori “fingendo fosse una app per la scuola” e chi avverte: “Non scaricatela, lo dico per esperienza, oppure volete morire?”. Sono migliaia i risultati su TikTok, piattaforma cinese frequentata perlopiù dai più giovani, in merito all’uso delle app contacalorie, ovvero quelle applicazioni che consentono di tracciare il numero di calorie assunte e poi bruciate durante il giorno. E moltissimi i commenti di chi denuncia di averci instaurato un rapporto “ossessivo” e di “dipendenza”. Qualcuno riesce ad uscirne: “Sono fiera di te”, si legge in un messaggio, “Sto piangendo per te, ma io non ce la farò mai”, aggiunge un’altra ragazza.
Testimonianze che raccontano la tempesta perfetta capace di scatenarsi quando le app per il monitoraggio del peso forma, sempre più diffuse negli app store, incontrano chi soffre – o rischia di soffrire – di disturbi alimentari come anoressia e bulimia, i cui ricoveri sono raddoppiati negli ultimi due anni. Perché, se i dca diventano il dittatore della vita di chi ne soffre, imponendo restrinzioni alimentari patologiche, certe applicazioni arrivano a configurarsi come il suo strumento imperioso: non è un caso che, nel 2010, in America, qualcuno è arrivato a suggerire la parola “app-orexia”, termine mai sbarcato in Italia né entrato in alcun manuale diagnostico, ma efficace per ritrarre questo tipo di comportamento disfunzionale.
Come funziona una app contacalorie
Scaricate milioni di volte, il funzionamento delle app contacalorie è elementare e, proprio per questo, accessibile a tutti: il sistema chiede di inserire età, altezza, peso e qual è l’obiettivo di dimagrimento e così, in pochi minuti, crea un limite calorico giornaliero massimo. Una volta elaborato il programma, sta all’utente rispettarlo, segnando tutto – ma proprio tutto – quello che ingerisce in un diario alimentare online. Per riuscirci può fare affidamento sui messaggi motivazionali che l’app stessa manda ogni giorno: notifiche con cui invita a non dimenticare di registrare il pasto, a bere più acqua, a farsi ispirare dalle storie di chi, prima di lui, è riuscito a dimagrire, “e quindi insomma perché tu non dovresti farcela?”. Ma il problema, come si capirà, è nella stessa elementarità del tutto, nell’arbitrarietà dell’uso che se ne può fare: l’app è gratuita, può dunque incontrare l’uso da parte di minorenni; e l’obiettivo può essere scelto dall’utente senza effettivamente sapere se sia sano per sé. Il problema nasce, insomma, quando lo smartphone appartiene alle mani dei tre milioni di italiani che soffrono di dca, seconda causa di morte per le ragazze nella fascia d’età tra 12 e 25 anni (con un’età d’esordio della malattia sempre più basso, fino agli 8/9 anni).
La storia di Federica e delle sue abbuffate da binge eating
Tra questi c’è Federica, 21 anni, affetta da anoressia deviata verso il binge eating sin dai 14 ed oggi in cura presso il Centro DCA di Bari diretto dal dott. Giuseppe Magistrale. Meno conosciuto anoressia e bulimia, il binge eating, o disturbo da alimentazione incontrollata, comporta periodi di restrizione alimentare, o addirittura di digiuno, a cui se ne alternano altri di abbuffate. “Ero capace di abbuffarmi per un giorno, per poi non mangiare praticamente più per il resto della settimana, in modo da ristabilire l’ordine”, spiega Federica. “Provavo a digiunare, ma poi sentivo lo stomaco vuoto e ricominciavo ad abbuffarmi: all’inizio mangiavo cibi che avevo in casa e che mi piacevano, poi mi buttavo su quelli che neanche mi piacevano, dopodiché ho cominciato a cercare cibo fuori; arrivavo ad ordinare cinque panini del Mc Donald, poi magari andavo al supermercato. Mangiavo al punto di stare male, oltre la sazietà. Infine, dopo l’abbuffata, mi isolavo vergognandomi di ciò che avevo fatto: restavo nel letto, arrivavo a non non lavarmi. Ma non ne parlavo con nessuno, neanche con i miei amici”.
“Il mio scopo era dimagrire finché… non ero da ricovero”
Proprio nella solitudine di chi soffre di disturbi alimentari, malattia “segreta” che, più delle altre, le ragazze provano e riescono a nascondere, si insinua l’app contacalorie come alleata, come amica. “Pian piano ho cominciato a rendermi conto del mio comportamento disfunzionale e a fare ricerche su Internet: così ho scoperto l’esistenza di queste app”. Da lì è stato un exploit: “Da quel momento in poi il mio unico obiettivo era dimagrire”, ricorda oggi. “Non mi ero data un reale obiettivo di peso: volevo dimagrire finché…. boh, forse finché non ero da ricovero. Il problema di questi disturbi è infatti proprio questo: quando raggiungi uno scopo, quello poi diventa lo standard minimo da cui ripartire. E il problema delle app è che, quando stabilisci un peso per te malsano, lei non ti avverte. Ad esempio io, una volta che raggiungevo un peso, ne settavo uno di due chili in meno. Ero alla deriva”.
“Inserivo persino le calorie delle gomme da masticare”
Come si diceva, infatti, il problema delle app contacalorie è la totale arbitrarietà degli obiettivi che ci si pone, a seconda dei quali la piattaforma studia strategie che prescindono dalle reali esigenze soggettive del paziente. Eppure il rapporto tra Federica e l’app è stato duraturo: “L’ho usata per due anni, dai 17 ai 19, e poi ad intermittenza fino ai 21. L’ho disinstallata solo oggi con la psicoterapia”. Ed è stato un legame sempre più stretto. “Se me ne sono sentita schiava? Sì. La usavo per avere il controllo, ma in realtà era tutto quello che facevo ad avere il controllo su di me: ero in ansia se non potevo inserire le calorie nell’app, non mangiavo se non conoscevo le calorie di un alimento”. Una programmazione così fitta da avere ripercussioni sulla vita sociale: “A volte, piuttosto che andare a mangiare una pizza, rifiutavo gli inviti degli amici. Alla comunione di mio cugino ho chiesto di avere un petto di pollo, perché conoscevo il numero di calorie e potevo inserirne i dati: se però il petto di pollo era cotto a piacimento dal ristorante e non alla griglia, andavo in ansia”. Federica inseriva tutto, “persino le calorie delle gomme da masticare”.
Lo sciopero dei dolci
E l’app, a sua volta, faceva di tutto per far sentire la propria presenza. Rispetto infatti ad un foglio di carta appeso al frigo, con su scritto il regime alimentare da sostenere, l’applicazione ha una presenza più invasiva: invia notifiche, nel ricordo costante di risultati da raggiungere. “Mi diceva di bere acqua per dimagrire, e così ho cominciato a fissarmi anche con questo: mi è capitato di sentirmi in colpa perché non avevo bevuto i due litri imposti. Mi suggeriva il digiuno intermittente o lo sciopero dei dolci: ci sono calendari paralleli in cui conti quanti giorni sei stato senza cioccolato. La cosa grave è che a quel punto normalizzi questi comportamenti”. A quel punto arrivi ad eliminare nutrienti dalla tua vita senza che a dirtelo sia stato un specialista. “Perché io mi fidavo dell’app”.
“A chi vuole installare l’app per dimagrire dico di non farlo”, conclude oggi “soprattutto a chi intuisce di avere un problema legato al cibo. Io la paragono alle sigarette: se sappiamo che le sigarette generano dipendenza, perché accenderne una e rischiare? Prendere iniziative col fai da te è sempre fallimentare”.
Giulia e la bulimia: “Avevo il terrore del bollino rosso, che indicava l’eccesso di calorie”
Anche Giulia, 23 anni, affetta da bulimia, inseriva tutto nell’app, “persino i tre grammi di zucchero che mettevo nel caffè”. I dca la accompagnano da quando ha 14 anni, le app da cinque. Quando il disturbo è diventato più pesante, si era posta come obiettivo 700 calorie al giorno: “Una cosa insostenibile, stavo malissimo. Rispettavo l’obiettivo per qualche giorno, poi però mi abbuffavo ed andavo a vomitare”. Anche nel suo caso, la vita sociale ne ha risentito: “Ci sono stati periodi in cui i rapporti interpersonali sono stati completamente disintegrati da questo meccanismo. Non era direttamente colpa dell’app certo, ma l’app contribuiva, in quanto parte integrante del mio disturbo. Se andavo al ristorante una sera e lo sgarro non era previsto, ad esempio, andavo nel panico ed avevo una crisi nervosa. Quando mangiavo cose molte caloriche, invece, non le segnavo nell’app, perché avevo il terrore di vedere nello schermo l’eccesso di calorie: in quei casi esce una etichetta rossa che ti mette un po’ di terrore e che dice che hai sbagliato”.
“Me ne sono sentita una schiava”, ricorda adesso Giulia. “Ho scoperto l’app su TikTok, nel 2019: tante ragazze consigliavano di usarla, facendomela passare come una cosa normale. È stato un incoraggiamento”. L’ha poi disinstallata quando ha cominciato il percorso di psicoterapia. “La scorsa estate sono arrivata al culmine della disperazione. Volevo sopravvivere. Mi sono liberata di tutto ciò che consideravo tossico, app compresa”.
Cosa dice la scienza
Ma che cosa dice la ricerca? Ad oggi la letteratura scientifica in merito al rapporto tra app e dca non è tantissima. “Ma è sufficiente per darci delle risposte”, sottolinea la dietista Sara Lalletti. “Uno studio del 2017 ha sottolineato come, in un campione di individui affetti da disturbi alimentari, il 75% aveva usato in passato applicazioni contacalorie e ben il 73% riteneva che tali applicazioni avessero contribuito allo sviluppo del proprio disturbo”.
“Gli studi – prosegue Lalletti – suggeriscono che, se utilizzate da soggetti che soffrono di un disturbo alimentare o a rischio per disturbi alimentari, queste app possono esacerbare, mantenere o peggiorare sintomi dei DCA quali la restrizione calorica, l’estrema attenzione ai numeri e alle regole rigide, al peso e al corpo, l’ipercontrollo e l’ipercriticismo. Possono inoltre incentivare meccanismi compensatori, ossia tutte quelle azioni, come il digiuno o l’attività fisica estenuante, che hanno l’obiettivo di “tamponare” eventuali kcal consumate oltre quello che è il limite imposto dall’applicazione. La chiave è proprio qui: non è possibile per un’app identificare a priori i soggetti a rischio, che soffrono o potrebbero soffrire di un disturbo alimentare, perché spesso un DCA arriva in maniera subdola senza che neanche la persona se ne renda conto”.
“Cosa dice la scienza”
Cosa deve dire, sei rimbambita… app(ena) app(ena).
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Sono malattie che andrebbero seriamente curate .
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Selezione naturale.
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Basta leggere questa tua per capirlo.
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Infatti.
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