(Massimo Gramellini – corriere.it) – L’altra sera, in quel di Ferrara, Bruce Springsteen è riuscito nell’impresa di cantare per tre ore accanto a una tragedia senza minimamente farvi cenno. Nemmeno uno straccio di saluto ai romagnoli che spalavano fango a poche decine di chilometri in linea d’aria dai suoi ringhiosi gorgheggi. Ce lo saremmo potuto aspettare da un rapper cinico o, all’opposto, da un poeta fuori dal mondo, non da un cantautore che ha sempre cavalcato l’impegno sociale e ha scritto decine di canzoni sui defraudati dal destino. Una parte di me continua a sperare che danzasse nell’oscurità, per citare un suo classico, e che lo abbiano catapultato su quel palco senza dirgli dov’era e che cosa stesse succedendo. Ma non è credibile che lui e il suo entourage non abbiano visto e saputo nulla, nemmeno delle polemiche sull’opportunità di suonare che avevano animato la vigilia. Per giustificarlo, l’organizzatore ha detto che «il concerto è strutturato in modo da non lasciare spazio ad altro che non sia la musica». Come se il vecchio Springsteen fosse ridotto alle dimensioni di un juke-box: una macchina programmata per cantare senza quelle pause che servono a un artista per rimettersi in connessione con l’uomo.

P.S. Il ragazzo che spala fango nella foto è Yuki Tsunoda, pilota giapponese di Formula Uno. Quando ha saputo che il Gran Premio di Imola era stato rinviato (a differenza del concerto), è sceso in strada a rendersi utile. Scrivi una canzone su di lui, Bruce. Titolo: «Tutta un’altra musica».