
(FLAVIA PERINA – lastampa.it) – La sfida della Rai segnerà il passaggio “dal dire al fare” dei molti ragionamenti della destra sull’egemonia culturale: a breve, quando le sue scelte, i suoi uomini e le sue donne saranno portati sulla tolda di comando delle trasmissioni e delle fiction, della musica e pure dei giochi oltreché dei telegiornali e delle news, sarà davvero interessante vedere questa ambizione prendere forma. L’operazione Rai sarà soprattutto cartina al tornasole dell’autonomia della destra rispetto all’imprinting del berlusconismo e del salvinismo e la risposta alla domanda che già si poneva nel 2013 il blog di destra Barbadillo dopo uno dei tanti restyling politici dell’azienda: “Perché solo Porro?”. Una domanda scocciata, legata al travaso di talenti e personaggi da Mediaset alla tv pubblica e alla scarsa attenzione riservata all’epoca al giornalismo e all’opinionismo legato al mondo della destra-destra.
Quella domanda oggi ovviamente non viene ripetuta. C’è spazio per tutti. Ma c’è anche un problema piuttosto vistoso: dopo aver lamentato così a lungo la propria emarginazione ed esclusione dai circoli dell’amichettismo di sinistra e pure dal club del Cavaliere, dalla destra ci si attendono non solo nomi ma anche idee televisive vere, in discontinuità con precedenti esperienze, una “via di destra” alla tv pubblica che non sia la ripetizione dei format, dei toni e del linguaggio made in Mediaset, o peggio la riedizione delle ambizioni leghiste di riscrivere la storia italiana con film-fiction tipo Il Barbarossa (costo 12 milioni di euro, incasso 800mila, battuto pure in tv da Milena Gabanelli). Esiste questa capacità, questo talento, e soprattutto la forza progettuale per evitare che gli affezionati della domenica di Fabio Fazio o del mercoledì di Rocco Schiavone scappino dalla Rai e vadano a vedersi un film su Netflix? Sarà possibile compiere questa rivoluzione con la sola sponda del mondo grillino, cointeressato al valzer delle poltrone, che peraltro in Rai non ha mai prodotto granché di originale?
Vedremo. Ora è il momento del braccio di ferro sui nomi, di contenuti si parla poco. Ma verrà presto la fase in cui il nuovo imprinting dovrà esprimersi anche in termini di trame e temi ed è difficile immaginare, per la Rai, plot più in asse col dio-patria-famiglia di Don Matteo (10 stagioni) o Che Dio Ci Aiuti (7 stagioni), talk show più conservatori di quelli di Bruno Vespa, matinée più tradizionali di quelle che già vediamo. Magari il prossimo Schiavone non si farà le canne, il prossimo Montalbano non darà una mano agli immigrati appena sbarcati, il prossimo Nonno Libero non avrà in copione un bacio gay e ovviamente a Sanremo non vedremo Fedez e Blanco amoreggiare, ma la cancellazione delle ideuzze altrui ha poco a vedere con la costruzione di un’egemonia propria.
Il problema della destra è che nei precedenti cambi della guardia ai vertici della tv pubblica, prassi consolidata di ogni governo, le intenzioni dichiarate erano più modeste. Tutt’al più una ristrutturazione. Un recupero di efficienza. La messa in riga dei bilanci. L’aggiornamento dell’offerta nell’era delle piattaforme. Ma adesso è stata messa in campo un’aspirazione enorme: costruire un’egemonia in senso gramsciano che sostituisca i modelli culturali precedenti e costruisca una tv oltre i paradigmi che ci sono noti, oltre il Fazismo e oltre il Gabibbismo, e per di più lo faccia tenendo in vita gli ascolti e quindi il quotidiano plebiscito degli abbonati. Vasto programma, davvero. Tanti auguri.
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“Fazio” e “Culturale” nella stessa frase sono un pugno in un occhio. Sarebbe più appropriato “Zerbino”. Uno che ha fatto qualche anno fa un’intervista a Berlusconi talmente servile da far sembrare Fede una iena. Uno che prende svariati milioni per condurre un programma composto da un tavolo, qualche sedia e una serie di ospiti invitati normalmente al solo scopo di promuovere il libro, il disco o il film o, nel caso di politici, di farsi propaganda personale raccontando una serie di menzogne che lo zerbino si guarda bene dal discutere.
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Un LECCHINO MAGNASCHEI in meno nella MANGIATOIA RAI e’ senz’altro una buona novella, ma non e’ che ci sia gia il “degno” sostituto?
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Mi domando come sia possibile guardare ancora la Rai, questo giornalista riesce a fare l’elogio della cultura che viene propagata da questo canale TV. 😵💫😵💫😵💫. Per non parlare dei telegiornali che sono organi di diffusione ideologica, educazione alla menzonia e al nulla assoluto. Ci obbligano a pagare il canone ma se vogliamo utilizzare questo elettrodomestico dobbiamo fare l’abbonamento a Netflix
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Perina, si ricordi di Walter ogni tanto…
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Perina si deve ricordare che era direttore del secoloditalia
Flavia Perina (Roma, 2 aprile 1958) è una giornalista, scrittrice ed ex politica italiana. È stata membro della Camera dei deputati dal 2006 al 2013, dapprima nel gruppo di AN, poi con il PdL e infine con FLI. Dal 2000 al 2011 ha diretto il quotidiano Secolo d’Italia. Negli anni seguenti ha collaborato con diverse testate giornalistiche cartacee e online, tra cui Il Fatto Quotidiano[1], Linus, Il Post e Linkiesta e La Stampa[2]
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Certo che se l’ “gemonia culturale” era data da Fazio e Littizzetto…
Forse si spiegano tante cose…
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STO RACCOMANDATO FINALMENTE VA FUORI DAI COGLIONI, E’ SEMPRE STATO UN IDIOTA CON LA FACCIA DA IDIOTA! INGUARDABILE!
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Fazio fuori dai coglioni è la più bella notizia che la RAI poteva regalarci!!!
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