Trent’anni dopo l’Hotel Raphaël

Sono passati 30 anni dal lancio delle monetine all’Hotel Raphaël di Roma contro l’allora segretario del Psi, Bettino Craxi.

(di Giulio Cavalli – lanotiziagiornale.it) – Oggi sono trent’anni dal giorno simbolo della fine della Prima Repubblica. Il 30 aprile del 1993 il segretario del Psi, Bettino Craxi, usciva dall’hotel Raphaël, l’albergo dove abitava a Roma. Raccontano che il segretario socialista scelse di uscire dall’entrata principale nonostante le voci di chi gli consigliava la fuga dal retro per evitare i contestatori. Sul suo sguardo “pieno di dignità” di fronte al lancio di monete e alle urla dei manifestanti è nato un nuovo genere letterario: il capovolgimento del racconto su Mani Pulite.

Gli eccipienti sono sempre gli stessi, quelli del garantismo che invece è vocazione all’impunità, dove il potente merita di essere difeso per non disperdere i rivoli del suo potere. È una pratica che qui da noi funziona dal tempo dei tempi. Non è un caso che a pochi giorni dalla condanna definitiva per questioni di camorra di un ex sottosegretario di Silvio Berlusconi (Nicola Cosentino) le riflessioni languono. Non è un caso che della presunta foto nelle tasche di Baiardo con Berlusconi, il generale Delfino e il latitante mafioso Graviano si parli solo per lucrare un po’ di gossip su Massimo Giletti e la sua trasmissione televisiva.

CRIMINALIZZARE DI PIETRO & C. E ASSOLVERE I CORROTTI. PROSEGUE LA CORSA A RISCRIVERE LA STORIA DI MANI PULITE

Sulla memoria di Mani Pulite si misura la capacità del potere di sermonare memoria breve e finta, ci si esercita sull’imposizione della narrazione distante dai fatti, ci si compiace per essere riusciti a tenere botta a un crollo come fu Tangentopoli. Trent’anni dopo in Italia – lo possiamo già scrivere prevedendo il futuro – le monetine contro Craxi diventeranno nelle prossime ore pensosi e sentiti editoriali contro Antonio Di Pietro, contro la magistratura e contro la “ferocia” umana. Passerà in secondo piano il fatto che lo sdegno contro Bettino Craxi fosse figlio delle quattro autorizzazioni (su sei) a procedere per corruzione e ricettazione che la magistratura aveva richiesto contro di lui alla Camera dei Deputati.

Ci si dimenticherà di dire che il filone di indagine su Craxi fosse uno dei più importanti di Mani Pulite, scaturito dall’arresto alcuni mesi prima di un altro dirigente socialista, Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, un istituto di assistenza agli anziani. “Solo un mariolo”, scrissero gli stessi sacerdoti dell’impunità che non sbagliano mai quando c’è da sminuire un sistema criminale. Ci si dimenticherà il titolo di Repubblica di quel 30 aprile, “Vergogna, assolto Craxi”, e l’editoriale del direttore Eugenio Scalfari che scrisse: ”Dopo l’uccisione di Aldo Moro, è il giorno più grave della storia repubblicana”.

I SOLONI DELL’IMPUNITÀ MASCHERATI DA GARANTISTI SCATENATI PER CAPOVOLGERE LA STORIA

Non mancheranno, stiamone certi, le penne che ci spiegheranno come lì, fuori da quell’hotel romano, cominciò il populismo. Non si renderanno nemmeno conto trent’anni dopo di cascare nell’imbeccata di Filippo Facci, giornalista all’epoca vicinissimo a Craxi – sì, proprio lui – che si spremette per raccontare che quella piazzetta era solo “un buco” e che la folla che si trova lì, scrive Facci, “nell’insieme fu più che sufficiente per far scrivere a tutti che quella era l’Italia”. Poi sentiremo che la fuga del leader socialista non era una latitanza ma “una ribellione” (cit. Stefania Craxi”), che i magistrati furono “assassini della democrazia” e tutto il resto. Infine concluderanno la commemorazione dicendoci che da lì iniziò la Seconda Repubblica.

Che la Seconda Repubblica fosse Silvio Berlusconi e un sistema corrotto e corruttivo identico alla Prima lo ometteranno. Perché in fondo la difesa di Craxi funziona perfettamente anche su Silvio Berlusconi. Solo che intanto gli italiani non hanno in tasca nemmeno più le monete da lanciare.

Da ladro a servo: la politica trent’anni dopo

(di Marcello Veneziani) – Il trenta aprile di trent’anni fa cominciò l’assalto del Popolo al Palazzo. Fu a Roma, davanti all’hotel Raphael, quando una pioggia di monetine colpì l’omone che rappresentava anche fisicamente il Potere. Bettino Craxi era probabilmente il miglior politico del tempo e il più efficace modernizzatore e riformatore dell’Italia di quel tempo; puntava a liquidare il cattocomunismo e a rilanciare l’Italia nel mondo. In quelle monetine si riconobbe una parte consistente dell’Italia, della destra missina e della sinistra giustizialista; prendeva corpo un nuovo fenomeno trasversale che avrebbe caratterizzato la politica, non solo italiana: il populismo, l’antipolitica e l’odio verso la “casta”. C’era un errore di visione e di prospettiva in quell’odio: si attaccava e si delegittimava la casta politica e si lasciavano inviolate e sempre più potenti le altre caste: quella tecno-burocratica, quella finanziaria, quella giudiziaria. Più altre sottocaste, tra cui il potere mediatico o quello culturale. Il risultato fu peggiore della situazione pregressa: la casta politica con tutti i suoi difetti e abusi era rispetto alle altre caste un argine o quantomeno un riequilibrio. Ma la casta politica veniva attaccata perché in realtà era la politica a venir messa fuori gioco; e politica vuol dire sovranità politica, popolare e nazionale, ormai un ingombro rispetto agli assetti extraterritoriali della globalizzazione, gli interessi oligarchici e privati, le direttive e i vincoli dell’unione europea, l’egemonia dei poteri sovranazionali. Da quella crisi che passò sotto il nome di Tangentopoli, la politica uscì più debole e sottomessa. E più fragile, più indifesa fu la cittadinanza rispetto al potere.

Trent’anni dopo, a che punto ci troviamo? La marcia del populismo scontento del potere è avanzata, ha cambiato i suoi connotati, i suoi obbiettivi e i suoi bersagli. La gente è tendenzialmente più vicina agli outsider rispetto agli insider, propende per gli oppositori rispetto all’establishment.

Ma qual è la sostanziale differenza tra la contestazione in moneta sonante del 30 aprile di 30 anni fa rispetto a oggi? La principale accusa di quel tempo era la corruzione, i politici erano considerati – anche con fondate motivazioni – corrotti, ladri, tangentari. Oggi quest’accusa non è più preminente, non è la corruzione politica il male principale della nostra epoca e nemmeno il malaffare, l’ingerenza della politica in ambiti imprenditoriali privati, col relativo potere ricattatorio e la richiesta mafiosa di pedaggi da pagare, come il mitico brigante Ghino di Tacco che venne associato proprio alla figura di Bettino Craxi.

Oggi alla politica si contesta l’inefficacia, l’impotenza, l’inadeguatezza, la subordinazione ai poteri ”forti” e in particolare alla megamacchina degli interessi mercantili, farmaceutici, militari, finanziari, o dei colossi del web. Oggi la politica non è più vista come prepotente e invasiva ma come servile e sottomessa a disegni e poteri sovrastanti; un carro di mimi e di illusionisti, che sceneggiano antagonismi ideologici e offrono falsi obbiettivi simbolici e finti risarcimenti emotivi per non affrontare la realtà e le sue urgenze; e per eliminare ogni resistenza, ogni dissenso riguardo ai problemi veri, alle tendenze di fondo e ai poteri reali. Si sceneggia l’antifascismo, la retorica dei diritti sessuali e civili, si allestisce il racconto sui migranti da frenare o da accogliere, si alimenta l’angoscia per l’ambiente, mentre il corso degli eventi procede per la sua strada, senza che la politica sia in grado di interferire.

Rispetto a trent’anni fa, la scontentezza si è radicalizzata, non è più circoscritta alle quattro facce del potere politico, e a quattro filoni di tangenti e corruzione; ma si è fatta globale e radicale, include le caste che fino a ieri si erano avvantaggiate del discredito della politica e ne avevano preso il posto. Anche in questo caso il popolo degli scontenti è trasversale, e i suoi picchi maggiori, almeno negli ultimi anni, si sono condensati intorno al Movimento 5Stelle, alla Lega, a Fratelli d’Italia, quando non è rimasto fuori dalla politica e dal voto. Ma l’orientamento prevalente nel popolo degli scontenti di oggi è l’ostilità agli assetti dominanti della cappa e all’ideologia politically correct che ne fa da supporto e da religione. Di conseguenza gli scontenti sono più incompatibili con la sinistra, percepita come il braccio politico e ideologico di quella cappa e di quegli assetti. Oggi però che è al governo la destra, la geografia del potere si complica e immette variabili e itinerari alternativi.

In ogni caso si tratta di un flusso assai mobile, inquieto, con una grande forza centrifuga che si sposta periodicamente e abbastanza velocemente nelle sue collocazioni, nei suoi gusti e disgusti, ma anche negli obiettivi da colpire. Il politico non è più “il ladro”, “corrotto e corruttore” ma è il servo, il traditore che vende il suo popolo sovrano ai poteri sovrastanti in cambio del simulacro del potere. Egli è colui che tradisce gli elettori; il nemico principale è il burattinaio, colui che tira i fili; mentre il politico è visto come il burattino, anche quando ha incarichi di comando. Non è mai decisore ma esecutore, il potere ha perso visibilità, si è fatto opaco, e per taluni oscuro. Il governo si è fatto governance.

Insomma, ne hanno fatta di strada le monetine lanciate trent’anni fa contro Craxi. Nell’era dei social e della moneta elettronica, il dissenso si è smaterializzato, si fa a suon di like e di blog, non è più tintinnante e solido come le monetine lanciate de visu, ma è diffuso e invisibile, come il potere che contesta.

La Verità – 30 aprile 2023

4 replies

  1. ora capisco che tutto quello che successe fu fatto per eliminare la prima repubblica che si opponeva al deep state americano e potere inglese.
    le stragi di capaci e via d’amelio seguono tutte le stesso filone.

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  2. Il post di veneziani potevate anche tenervelo tanto per le boiate che scrive, perché ce le propinate? Forse perche nessuno spende un cent per leggerle sul suo giornale.

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