La Costituzione, la bella addormentata nel sottobosco

(di Marcello Veneziani) – Quando non sanno più a cosa attaccarsi, ricorrono alla Costituzione. Da Sanremo alla piazza, dal Parlamento alla persecuzione di chi non la pensa come il mainstream, il richiamo oggettivo, obbligato, è la Costituzione, che quest’anno compie 75 anni. Magari con l’aggiunta, nata dalla Resistenza. Mattarella ne è il custode, Benigni il cantore, il laudatore istituzionale. Tutto è relativo ma la Costituzione è il valore assoluto, la più bella del mondo, un’opera d’arte. Ma quante volte è stata violata e calpestata da chi la esalta e si fa scudo dietro i suoi dettami?

L’Italia ha una buona carta costituzionale, equilibrata, scritta bene e in modo abbastanza chiaro. Non nacque dal nulla, ma dalla storia. Le sue radici normative italiane furono lo Statuto Albertino e la Costituzione della repubblica romana del 1849. Le sue radici internazionali furono la Costituzione di Weimar, le costituzioni francesi, ma anche i testi di altre grandi democrazie. E tuttavia si avverte il peso specifico della vita, della cultura e delle ideologie italiane.

La Costituzione fu il frutto di un compromesso di alto profilo fra tre culture visibili ed egemoni, più una invisibile e impronunciabile. Le tre culture dominanti furono, come è noto, la cultura laico-liberale, quella di Einaudi, Martino e Croce ma anche quella azionista, di Calamandrei e Giustizia e libertà, per intenderci; la cultura cattolico-democristiana, di De Gasperi, ma anche di Dossetti e di Sturzo; la cultura social-comunista di Togliatti e Nenni, fino a quella socialdemocratica di Saragat.

Ma c’era anche un convitato di pietra, che potremmo chiamare la cultura nazionale del ‘900: la Costituzione e l’ordinamento statale della repubblica italiana ereditarono dallo Stato fascista il Concordato tra Stato e Chiesa, il Codice civile e penale di Rocco, le leggi sulla tutela ambientale di Bottai, la riforma scolastica di Gentile e Bottai, la Carta del Lavoro del ’26, il sistema previdenziale e pensionistico, l’attenzione sociale alla maternità e all’infanzia, il modello economico misto tra pubblico e privato, l’umanesimo del lavoro di Gentile che affiora già nel primo articolo della Costituzione. Aggiungo una considerazione curiosa e irriverente: la Repubblica vinse il referendum perché i fascisti repubblicani non votarono per la monarchia, o perché internati e privati dei diritti politici o perché avversari dei Savoia dopo il 25 luglio. La loro astensione, voluta o forzata, fu determinante per la vittoria della Repubblica… I paradossi beffardi della storia.

Ma passando dalle radici ai frutti, la Costituzione reale e materiale quanto rispecchia la costituzione formale e ideale?

Le leggi speciali in vigore, che puniscono i reati d’opinione non sono una palese violazione del dettame costituzionale e dei diritti? E non suona grottesco l’articolo 34 della Costituzione che riconosce il diritto ai capaci e ai meritevoli in una società, una scuola e università che li calpestano ogni giorno? Triste è il capitolo della Costituzione disattesa, restata sulla carta, sopraffatta dalla prassi. Si pensi al mancato riconoscimento giuridico di sindacati e partiti, alla partecipazione dei lavoratori nella gestione delle aziende, e a tante altre sue parti inattuate. Il primo a citare nei dibattiti politici e parlamentari quegli articoli della Costituzione rimasti lettera morta e a portarli nell’arena polemica dagli spalti dell’opposizione, fu uno che era fuori dell’Arco costituzionale: Giorgio Almirante, che chiedeva di rendere vigenti, efficaci, gli articoli 39,40 e 46 della Costituzione.

Per non dire dei tradimenti subiti dalla Carta lungo la strada, come la violazione del diritto costituzionale dei cittadini di scegliersi i propri rappresentanti, voluta da una legge sostenuta sottobanco da quasi tutti i partiti perché consegna il Parlamento nelle mani degli oligarchi di partito nella compilazione delle liste.

Uno scippo di sovranità su cui nessuna magistratura – anche la stessa massima magistratura, la Presidenza della Repubblica, garante e custode della Costituzione – ha mai eccepito nulla, magari ricorrendo alla Corte Costituzionale. E’ lecito passare dal sistema proporzionale al sistema uninominale e maggioritario e viceversa, ma è incostituzionale negare ai cittadini il diritto di designare i propri delegati, firmando una cambiale in bianco ai partiti. Vi dicono niente poi gli articoli 29, 30 e 31 a tutela della famiglia riconosciuta come “la società naturale fondata sul matrimonio”, oggi vistosamente traditi? E l’articolo 15 che sancisce “l’inviolabile segretezza” della corrispondenza e delle comunicazioni, violato dalla gogna mediatica e la pubblicazione delle intercettazioni? Quante volte è stato calpestato l’art.21 sulla libertà d’espressione? E che dire quando la Costituzione Intoccabile è stata violata senza reagire con la modifica del titolo V sui poteri alle Regioni o con l’inserimento del pareggio di bilancio, il fiscal compact? Ferite gravi all’unità e alla sovranità nazionale e popolare. E non apriamo il capitolo dei diritti costituzionali più elementari violati in tempo di pandemia e di restrizioni sanitarie; poi le forzature con la guerra in Ucraina e il regime di sorveglianza che si è imposto tramite i social e i controlli sanitari, finanziari e mediatici. L’emergenza giustifica ogni cosa. Nessuno solleva queste incongruenze, salvo poi scendere in piazza in difesa della Costituzione intoccabile.

Insomma, la Costituzione sarà bella, ma è come la bella addormentata nel sottobosco.

(Panorama, n.11)

2 replies

  1. la Costituzione è bella e intoccabile se la tocca la destra, se lo fanno gli altri è toccabilissima.
    la riforma del Titolo V passò come una grande rivoluzione moderna: è uno schifo che ha scardinato i rapporti Stato-regioni, al punto che in molti casi non si capisce neanche chi deve agire (vedasi capitolo pandemia), ma la fece il governo D’Alema, quindi andava benissimo ai media. ci avesse provato – e ci ha provato – la destra, sarebbe stata spernacchiata da tutti i commentatori.
    i giornaloni erano schierati a favore della schiforma Renzi-Boschi, che avrebbe sfasciato l’attuale impianto costituzionale e istituzionale (ricordate il Senato fatto di amministratori locali a mezzo servizio?). Benigni era schierato per il SI. Napolitano pure, disse che se non passava ci si sarebbe tenuti la Costituzione com’era per altri 30 anni (ed evidentemente pensava che com’era andasse male). pensate se proponesse la stessa cosa la Meloni. il Corriere, la Repubblica e la Stampa stanno già facendo campagna contro il presidenzialismo adesso, senza nemmeno sapere come sarebbe la riforma (presidenzialismo? semipresidenzialismo? premierato? chissene: lo propone la destra, quindi è un attacco alla Costituzione a prescindere).
    il fiscal compact ha stravolto il sistema dei conti degli enti pubblici e dello Stato: è stato approvato con i due terzi perché se fosse stato sottoposto al popolo l’avrebbe rispedito al mittente, con buona pace dell’UE che ci voleva mettere sotto tutela. l’avesse proposto la sola destra sarebbe stata linciata sulla pubblica piazza per aver strozzato i conti degli enti locali.
    e si potrebbero fare mille altri esempi: quando una cosa va bene a lorsignori è buona e giusta. se la fanno gli altri ci si ricorda della Costizione più bella del mondo e si chiama alla Resistenza e a prendere il mitra e andare sulle montagne come nel ’43-45.

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