Vittima dello Stato

(Massimo Gramellini – corriere.it) – Se il Male è lo specchio deforme delle nostre debolezze, non c’è italiano, a cominciare dal sottoscritto, che non si senta chiamato in causa da uno dei pizzini di Messina Denaro trovati in casa della sorella. Quello dove il boss descrive i mafiosi come dei perseguitati, con l’unica colpa di voler difendere la propria terra dalla sopraffazione di un invasore, lo Stato, «prima piemontese e poi romano». Intendiamoci, non sto certo dicendo che ci sia un mafioso o un indipendentista in ciascun italiano. Ma una presunta vittima dello Stato, sì, eccome.

Ovunque lo Stato significa Noi; solo in Italia significa Loro. Un imprenditore del nord, una persona per bene o comunque nella media, una volta mi disse: «Per me lo Stato è un feudatario che ogni anno si porta via oltre la metà dei frutti del mio lavoro. Ingannarlo non è una colpa, è una necessità». La ragione per cui siamo il Paese delle cricche, delle caste e degli evasori è tutta qui. Per noi lo Stato non è chi ci aiuta, ma chi ci vessa; non è chi ci difende, ma chi ci offende. Naturalmente lo Stato ci mette del suo, con la giustizia più lenta, le leggi più farraginose e la burocrazia più inamovibile e oscura, per tacere dei politici che non contano nulla ma si credono tutto. E so bene che quattordici secoli di storia frantumata, dalla calata dei barbari a Garibaldi, non si recuperano in centosessant’anni. Ma, in attesa che anche da noi si affermi il senso dello Stato, mi accontenterei che lo Stato smettesse di farci così senso.