Diserzione di massa

(Giulio Di Donato – lafionda.org) – Ha poco senso stilare un giudizio sulla performance dei singoli partiti quando la contesa coinvolge solo quattro elettori su dieci, come nel caso delle ultime Regionali.

Il dato dell’astensionismo, sempre più eclatante, è ancora una volta quello politicamente più rilevante, l’ennesima manifestazione di una profonda crisi di legittimità e di fiducia del sistema politico-istituzionale nel suo complesso, sulla quale si tende troppo sbrigativamente a sorvolare. Esso rappresenta, come è stato fatto più volte notare, una vera e propria secessione del corpo elettorale dai circuiti tradizionali della partecipazione politica.

Certo, l’offerta politica è di pessima qualità, ma oggi il problema è strutturale, di domanda politica: se prima disincanto e sfiducia si alternavano con una dose massiccia di indignazione e di sana ribellione, oggi quei sentimenti lasciano il posto ad uno scenario di rimozione totale della politica dall’orizzonte di vita di ciascuno di noi. Essa non esiste più, così come non esistono più domande di una politica diversa, vicina alle condizioni di vita e di sofferenza delle persone. D’altra parte, i ritmi della politica – questo il messaggio ormai interiorizzato da molti – sono scanditi da eventi più grandi di lei: è il tempo delle necessità e delle ineluttabilità, dei vincoli più che delle rotture, delle minacce da cui difendersi più che delle promesse a cui corrispondere. Se c’è da sperare in qualcosa conviene rivolgersi altrove: ai miracoli della tecno-scienza, alla fantasmagoria delle merci e al miraggio di un aldilà collocato alle porte della società dello spettacolo mediatizzato. Sullo sfondo un’ansia diffusa da fine del mondo imminente e da caos ingovernabile, da cui certo non ci salverà la politica incardinata negli Stati, ma solo le virtù e il buon cuore dei singoli uomini dissociati.

A complicare ulteriormente il quadro c’è l’esaurimento compiutosi ormai da tempo della spinta propulsiva originaria, quella che dalla Costituente in poi si era propagata fino a tutti gli anni Settanta del secolo scorso. Finita quella stagione, entrano in crisi le culture politiche costituzionali (la socialcomunista e la cattolico-democratica su tutte) e viene meno il vincolo interno con le promesse inscritte nel nucleo sociale e politico della nostra Costituzione, che aveva comunque ispirato, tra mille contraddizioni, la Prima Repubblica.

Negli anni successivi, tra shock economy ed emergenzialismo, adesione acritica al vincolo esterno e primato dei tecnici, le linee di frattura si sono dapprima sviluppate attorno a due presunte anomalie (il berlusconismo da una parte, l’Italietta da salvare agganciandola al treno dell’eurozona dall’altra), per poi assumere le forme di una contrapposizione populista al sistema nel suo complesso, la quale camminava assieme alle attese di un cambiamento radicale in positivo. Se di logica antagonista si può ancora oggi parlare, perché nei fatti insopprimibile, essa è però in modalità dormiente, spoliticizzata, informe; spoglia com’è, può essere mobilitata solo in occasioni di eventi e appuntamenti ritenuti decisivi, eccezionali, o perché risvegliata da parole d’ordine o tribuni particolarmente efficaci e carismatici, non certo per scegliere a chi affidare il mal governo inutile della propria Regione. 

Insomma, europeismo e berlusconismo, sistema e anti-sistema, e sullo sfondo lo sforzo di rianimare le forme della decisione politica attraverso maldestri tentativi di riforma degli assetti istituzionali: questo, in breve sintesi, il copione prevalente degli ultimi tre decenni. Chissà che esodo dai canali tradizionali della partecipazione politica (per esplorare vie inedite, ma più promettenti?) e comparsa di una verticalità politica di tipo nuovo (auspicabilmente sotto forma di “cesarismo progressivo”) non siano invece le coordinate principali attorno alle quali ruoterà la politica dei prossimi anni, escalation di guerra permettendo.

In ogni caso, ben venga la ristrutturazione del sistema politico-istituzionale, secondo molti ineludibile, ma solo – mi verrebbe da dire – se affiancata da una ridefinizione sapiente e consapevole dei concetti fondamentali della politica moderna (il nesso rappresentanza-rappresentazione, quello unità politica-pluralismo ecc.), quanto mai necessaria al tempo della cosiddetta “crisi del rappresentato”, dei mille volti dell’eterogeneità sociale e della crisi dei fondamenti di un tempo. Perché senza questo tipo di riflessione, prevarranno le soluzioni confuse e pasticciate di sempre, in linea con la narrazione che ha accompagnato i tentativi di riforma istituzionale che si sono accavallati negli ultimi quattro decenni, promossi da una classe dirigente inadempiente, ridotta nei fatti ad amministrazione per conto terzi e intrattenimento, che ha strumentalmente attribuito le responsabilità dei suoi problemi a motivi di ingegneria costituzionale. Quel che è certo è che non saranno le forme e le procedure a restituire sostanza ed energia alla politica affinché essa possa riscoprire il senso perduto della propria autonomia e la capacità di formulare una visione strategica dell’interesse nazionale (da declinare in termini progressivi sul piano interno e orientati verso il multipolarismo e la ridefinizione degli assetti europei sul piano esterno): non c’è difatti futuro per le nostre istituzioni se esse non sapranno riconquistare un legame profondo con la vita del nostro Paese, se esse cioè non sapranno risvegliare la volontà di riscatto del “popolo-nazione” nel nome di un progresso sociale diffuso e di una politica estera assertiva e autonoma, che sia in grado di salvaguardare le giuste interdipendenze e di crearne di nuove.

Concludiamo ora con la stretta cronaca politica. Come prevedibile, il centrodestra a trazione meloniana vince sulle macerie di un Paese indifferente e stremato, mentre si aggravano la crisi senza fine della sinistra politica tutta e il declino del Movimento 5S, il quale finora ha tenuto grazie al consenso, comunque in discesa, di cui ancora gode Giuseppe Conte, oltre che, naturalmente, per gli errori e le inadempienze altrui. A premiare i 5S c’è stato soprattutto il fatto di essersi distinti, come unico baluardo di peso, per una posizione meno appiattita sulla guerra e per la sua storica intransigenza in difesa della legalità democratica e del reddito di cittadinanza. Ma è un movimento destinato a ridimensionarsi sempre più, se non ritrova i motivi della sua funzione storica di critica radicale ma non velleitaria dell’esistente, se non approfondisce cioè le ragioni della sua piena autonomia politica e culturale, contro un atteggiamento spesso conformista e subalterno alle agende altrui. Per fare questo dovrebbe avere il coraggio di andare oltre se stesso, aprendosi a nuove energie, stabilendo un punto di rottura con la sua storia recente. Per poi provare a riconnettersi nuovamente con i bisogni e gli umori popolari e contestualmente intestarsi l’opposizione al Governo Meloni nel nome della sovranità democratica e dei diritti sociali presi sul serio: ciò significa rivendicare la necessità di una politica decisamente meno accondiscendente verso il vincolo esterno euro-atlantista e molto più inflessibile nel contrastare le vecchie e nuove forme di esclusione sociale, che oggi incorporano anche un’esigenza diffusa di una vita qualitativamente diversa contro solitudine, frustrazioni e assenza di significati. Valorizzando il nesso – giova ribadirlo anche qui – tra questione nazionale, questione democratica e questione sociale.

Ma il timore è che da una parte si sia fuori tempo massimo, dall’altra che prevarranno, se non adeguatamente contrastate, alchimie politiciste e un epilogo da Pd 2.0. A quel punto, la bandiera del riscatto popolare non potrà che passare nelle mani dei nuovi “barbari” che, prima o poi, assedieranno la cittadella di una politica autoreferenziale e priva di propulsione ideale. Speriamo solo che questa nuova irruzione dell’imprevisto avvenga in un quadro di vera rinascita e non di caduta definitiva nella barbarie.

10 replies

  1. Nessun riscatto popolare ne di altro tipo. Ora si critica tanto il M5* come se fosse responsabile di una promessa mancata, e negli ultimissimi tempi con ragione, in quanto lo squallido egoismo degli individui proiettati in un mondo di lussi e prebende e privilegi ha prevalso troppo spesso su una spinta politica e sociale sincera.

    Ma in precedenza, la Nomenklatura di potere di sempre si è proposta non di cambiare quelle linee guida autoreferenziali e distruttive di ogni concezione etica e sociale della collettività, per anni la sua ossessione è stata (ed è tuttora) distruggere il movimento che ha alterato il suo quieto vivere arricchendosi alle spalle della gente per bene.

    Il Movimento è stato il pensiero fisso, i commentatori di regime (quasi tutti) dipingono i governi Conte come cataclismi evitati di misura grazie all’intervento del Draghetto deus ex maquina e le forze politiche accennano ai 5S con lo stesso fastidio con cui ci si lamenta di un poro sul naso.

    Troppa gente – a parte berlusconiani acerrimi , parassiti nelle nicchie del sistema, piddini idem , nemici scontati – sotto tante pressioni e critiche e per impazienza ha rinunciato all’idea di riscatto di paese. E, a meno di un improbabile risorgimento del M5S che, come scrive giustamente l’autore, solo Conte ha salvato da un tracollo totale, la rivolta, se ci sarà, potrà solo svilupparsi in un clima di violenza

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  2. Il M5* spenda un tot per commissionare un sondaggio coi controcazzi presso delusi e/o astensionisti: a quali condizioni voteresti (torneresti a votare) il M5*?
    Ci sono milioni di voti parcheggiati là fuori.
    Il pd è al tappeto e, in certi casi, bisogna essere spietati.

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    • Se il M5* è in attesa della nuova segreteria pd per capire .. il nulla assoluto, stiamo freschi.
      Il M5* è più forte, deve solo capirlo e, forse, accettarlo.

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      • Qualcuno ha dubbi sulla potenza delle idee 5* (se ben perseguite)?

        Lasciamo perdere il campo delle destre, al momento non c’è storia.
        Un partito (pd) con clientele, supporto mediatico e scorte di becchime per le masse imponenti è al tappeto, batosta dopo batosta.
        Il M5*, quasi solo con le proprie forze (a parte due tre giornali obiettivi), gli è sopra di due punti percentuali.
        Sono paragoni accettabili? Chi è più forte? Quale partito ha un futuro, se ben guidato?

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      • Giansenio, ahinoi il problema in politica non sono le idee, sono gli uomini chiamati ad attuarle. Lo si è visto molto bene col M5S. Aveva proposto idee condivise da milioni di elettori, ma è riuscito ad attuarne solo una parte perchè gli uomini e le donne mandate in parlamento hanno pensato che era meglio accomodarsi alla tavola imbandita delle rendite, delle posizioni comode e dei privilegi della casta. A questi si sono aggiunti gli espulsi per questioni a volte incomprensibili agli elettori. Aggiungasi che non avendo la maggioranza assoluta il M5S ha dovuto allearsi prima con la Lega e poi col PD, soggetti politici pronti a “sbranarli” alla prima occasione, cosa che hanno fatto entrambi.
        L’opera di annullamento/annientamento delle idee del M5S è stata poi completata dall’interno prima da Grillo e poi da Di Maio.

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  3. Conte dica con chiarezza : la Russia ha ragione quando sostiene che l’aggressione viene dal comportamento Usa-Nato degli ultimi 30 anni , che la Russia ci sfamava non solo con il suo gas,ma con il suo grano, con i suoi fertilizzanti; che la nostra inflazione e il conseguente depauperimento degli italiani è il prodotto dell’asservimento a poteri stranieri. Se vuole continuare ad emulare i pacifici ma non troppo per non guastarsi I benpensanti, botte piena e moglie ubriaca, atlantisti ma anche non so che… Beh il dissenso dei disertori del voto aumenterà ulteriormente inevitabilmente.

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  4. @Peter Pan

    È tutto vero. Facciamone tesoro.
    Il M5* non deve avere nessuna frettolosa ambizione di andare al potere: per come la vedo io, il movimento deve portare avanti le sue lotte storiche (equità sociale, conflitto d’interessi, lotta a mafie, corruzione, evasione fiscale, multipolarismo ecc) con tenacia e senza tentennamenti.
    Chi si vuole aggregare sa in partenza che ci sono dei punti NON TRATTABILI, NON ANNACQUABILI, per nessun motivo.
    Il movimento non deve inseguire nessuno, perché ha la forza delle sue idee dalla sua parte e se opta per il cedimento perde milionate di voti. È storia.
    Serve una guida solida, e il compito, me ne rendo conto, è gravoso. Altre vie credo siano totalmente sconsigliate.
    La vedo così.

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    • A conferma della sconfinata arroganza dei maggiorenti pd, ecco un virgolettato dal sito di Rep 👇

      Bonaccini a 5S e Terzo Polo: “Non si vince senza il Pd”

      Sindrome alla Norma Desmond.

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    • “Il movimento non deve inseguire nessuno…”: ecco, sì, il M5Pali è proprio esattamente questo che, da qualche anno a questa parte, sta inequivocabilmente facendo… ahahah… Ma che razza di svampiti siete?

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      • Io l’ho capito che il M5* non deve inseguire nessuno. E mi sono anche accorto che il movimento ha dimezzato il consenso rispetto al 2018.
        Probabilmente è un giudizio troppo severo quello che ne è uscito delle urne ma mi guardo bene dall’incolpare gli elettori, io stesso ho manifestato seri dubbi sul rinnovo della fiducia (a Conte, in questo caso).
        C’è poco da fare: alcune scelte hanno fortemente disorientato anche i più fedeli sostenitori del movimento. Per ri-conquistarla (la fiducia) serve una guida salda e priva di tentennamenti.

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