
(Paolo Ercolani, Filosofo, Università di Urbino “Carlo Bo” – ilfattoquotidiano) – La notizia è che Alessandro Di Battista sta lavorando a un’associazione culturale – che sì, lo ammette lui stesso, potrà essere un movimento politico e misurarsi nell’agone elettorale. Ma non è lo scopo principale. In primo luogo perché lui non crede all’attuale democrazia rappresentativa (definita “un imbroglio, una finzione che sta arrivando al capolinea poiché il cittadino percepisce chiaramente che il suo voto non conta nulla”). In secondo luogo perché Gianroberto Casaleggio gli ha insegnato l’arte della pazienza e del momento giusto, del costruire con cura le fondamenta prima di insediarsi nei piani alti (“se avessi dato retta alle molte proposte che ho ricevuto, oggi sarei fra quelli bruciati e di cui la gente non si fida più”).
Questo signore – piaccia o meno – non le manda a dire. Ho potuto ascoltarlo dal vivo e sottoporgli una domanda insidiosa, durante il Festival Libropolis di Pietrasanta (Lucca). Una realtà aperta, mai genuflessa al mainstream, in cui non si trovano i soliti nomi imposti dal politicamente corretto e in cui, piuttosto, la sorpresa e l’argomento insolito ma provocante sono dietro ogni angolo. Senza mai perdere la serietà né l’autorevolezza.
In questo contesto Alessandro Di Battista è stato invitato per un “uno contro tutti”, cioè l’occasione per il pubblico presente di sottoporgli ogni questione senza limiti o pregiudizi. Un uno contro tutti che questo formidabile talento della politica ha trasformato in un (quasi) tutti per lui. Sì, dopo averlo osservato bene dal vivo – e senza essere mai stato un sostenitore del Movimento 5 stelle, specie nella sua frangia più estremista (o populista che dir si voglia) – posso affermare di essermi trovato di fronte a un signore capace come nessun altro di trasformare in consensi e applausi qualunque sua affermazione, anche la più discutibile.
In una parola si tratta di carisma, che deriva dal greco antico “kharis” (grazia). La si può alimentare e dirigere in direzioni più o meno opportune, ma fondamentalmente si tratta di una dote con cui si nasce. Non è tanto una dote oratoria (Di Battista parla bene ma non è Pericle), né in senso stretto politica (perché finora si è tenuto ben lontano dal dimostrare cosa può fare di concreto per migliorare la società attuale). Al momento è un talento, una straordinaria potenzialità che non vedo in nessuno dei leader politici attualmente in campo.
Insomma, se il primo partito italiano è quello dell’astensione, e se molti di coloro che hanno comunque espresso il proprio voto lo hanno fatto turandosi il naso, Alessandro Di Battista ha parecchie delle carte in regola che servono per dare la sterzata a un sistema politico perlopiù inviso, stagnante e incapace di reagire allo strapotere della finanza.
Il problema è che per ora sembrano carte individuali, legate esclusivamente alla sua persona e alle straordinarie doti comunicative di cui sopra. Non che Di Battista non abbia espresso posizioni politiche: contro la guerra in Ucraina e l’ipocrisia di una Nato che colpisce le ingiustizie soltanto quando gli fa comodo (lasciando fare a Israele il bello e cattivo tempo contro i palestinesi invasi). A favore di una democrazia diretta sul modello svizzero, in cui i cittadini siano chiamati a partecipare fattivamente alle decisioni governative tramite l’ausilio delle tecnologie mediatiche (vecchio pallino di Casaleggio senior). Sostenitore del fatto che viviamo in un mondo capovolto, dove si parla di dare il premio Nobel al belligerante Zelensky (cameriere della Nato) e si incarcera Julian Assange, paladino e martire della verità.
Il problema è che si tratta di “posizioni” politiche – per quanto mi concerne ampiamente condivisibili – ma appunto posizioni e non proposizioni. A mancare è la parte costruttiva e progettuale, la visione dell’Italia e del modello sociale che si intende costruire. È riduttivo affermare che ormai “destra e sinistra sono senza senso, perché la vera divisione è fra chi sta in alto e chi in basso”. Riduttivo, perché se intendi ridurre la forbice fra i troppi che stanno in basso e i pochissimi che stanno in alto devi elaborare una proposta programmatica che puoi anche non chiamare “destra” o “sinistra”, ma che inevitabilmente richiede una base ideologica nel senso edificante del termine.
Insomma, se Di Battista non vuole restare un’eterna promessa, né bruciarsi rovinosamente come ha fatto il Movimento 5 Stelle, a mio avviso deve evitare i due errori principali dei grillini. Quindi fornirsi di basi anche teoriche e programmatiche, nonché pensare a un sistema di selezione della classe dirigente del suo movimento, in cui al contrario di quanto avviene nel Paese (e ancor più nella politica odierna), siano premiati e valorizzati il merito e le competenze.
È un lavoro fondamentale, perché se anche Giorgia Meloni dovesse essere ingabbiata dalle maglie strette della finanza e delle istituzioni sovranazionali, a quel punto la gente non saprebbe davvero più per chi votare. E a che santo votarsi.
Indubbiamente, serve un progetto, un programma, una discesa in campo!
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A me quelli che si sentono portatori di verità in tasca, tanto da dichiarare – già dal titolo – ad un altro (a mezzo stampa poi..) “Cosa deve fare per” mi fanno tanto e soltanto pena.
E per dire cosa dall’alto della sua cattedra?? Tutte banalità a mio modo di vedere, come se Di Battista non sapesse già che per presentarsi politicamente bisogna fare un partito/movimento che abbia un programma (o “proposta programmatica”?) per dare delle risposte ai cittadini, che il programma deve essere costruito su una base ideologica (nel senso edificante del termine cit.) solida ed anche, udite udite, che si deve selezionare una classe dirigente sulla base del “merito e competenze”(cit.). Mekojoni, bravo, applausi 👏👏👏👏👏
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Sembra quel professore delle medie (Giannini?) che dava patenti su infosannio qualche tempo fa.
Tra l’altro non ho capito io, oppure la domandona che lo ha convinto non è scritta?
E comunque non è sul fatto né di ieri né di oggi, sarà uno dei blogger.
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Ahahaha no non è scritta, forse si vergogna di riscriverla (chissa che domandona avrà fatto), però, mekojoni ancora, si è reso conto che Di Battista ha “carisma”.
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Circa 3 anni fa nacque un nuovo partito ispirato da Fusaro, Vox italiae. Lo consideravo perfetto per Di Battista. Purtroppo naufragò prestissimo a causa del pessimo carattere e venature ridicolmente complottiste di molti dei suoi leader. Peccato.
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Di Battista non c’ entra niente con il campo del dissenso, non si ci vuole mischiare dal momento che da solo gode già di notorietà, il 3% potrebbe farlo da solo se continua così, e forse punta a questo, per fare cosa nel concreto non si sa, si è sempre tenuto alla larga da prove di governo; nessun paragone con Fusaro le cui venature sono più che altro vena!i, fa solo solo maneggi concludendo solo fuffa e confusione, tenersene alla larga è un guadagno. Riguardo ai complottismi, siamo nel campo della realtà, e come si dice, la realtà spesso supera la fantasia, poi si dice pure che il tempo è galantuomo.
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Parlare, discettare, criticare è facile. Costruire, no
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