Nei calcoli Cgil, lavoratori e pensionati pagheranno da 75 a 260 euro in più di tasse. Guerra (Pd): “Nel 2026 ci sarà un ammanco nel bilancio dello Stato. Il governo dica di quanto”

(Valentina Conte – repubblica.it) – ROMA – Il governo dà, il governo toglie. Calcoli alla mano, la Cgil arriva alla conclusione che il pasticcio dell’acconto Irpef non dovuto alla fine riporta nelle casse dello Stato i 4,3 miliardi serviti per finanziare proprio il taglio dell’Irpef, in vigore dal primo gennaio dell’anno scorso. «Una vergognosa partita di giro», la definisce Christian Ferrari, segretario confederale Cgil. «Dopo aver autofinanziato il taglio del cuneo con il fiscal drag, dopo la flat tax regalata agli autonomi benestanti, dopo gli innumerevoli condoni, ecco l’ennesimo inganno: una riforma virtuale».

Le numerose simulazioni fatte dal Caf Cgil su lavoratori dipendenti, autonomi e pensionati porterebbero a questa conclusione. La bizzarra scelta del governo di applicare le vecchie regole dell’Irpef vigenti nel 2023 (aliquote più alte e detrazioni più basse) per vedere se il contribuente è in debito con lo Stato e quindi matura un acconto, fa pagare quasi a tutti più tasse (non dovute) o abbatte il rimborso maturato per le spese portate in detrazione.

La pensionata con figlio disabile a carico
Ad esempio, una pensionata con reddito da 27.800 euro, una casa con rendita da 500 euro, un figlio disabile a carico, avrebbe una dichiarazione a zero imposte. Il ricalcolo che l’Agenzia delle entrate farà del suo 730 precompilato porterà invece un debito fiscale di 260 euro. «Un vero e proprio raggiro, la norma va cambiata», insiste Ferrari.
Quanto vale l’acconto extra
In media, i lavoratori dipendenti “presteranno” allo Stato – «a tasso zero», ripete la Cgil – 75 euro nella fascia sopra la no tax area e fino a 15 mila euro. Circa 100 euro in quella successiva, da 15 a 28 mila euro. E 260 euro dai 29 mila euro in su. I 19,5 milioni di contribuenti coinvolti verseranno così 2,8 miliardi di imposte non dovute e li riavranno indietro solo tra un anno, assicura il ministero dell’Economia che parla di «disallineamento temporaneo».

Analogo discorso per i pensionati. Quelli tra 15 mila e 29 mila euro saranno caricati di 100 euro di tasse in più. Gli altri sopra 29 mila euro dovranno pagare altri 260 euro. In totale, 9,2 milioni di pensionati verseranno 1,5 miliardi non dovuti. Il totale dà esattamente quanto il governo Meloni ha speso per ridurre dal 25 al 23% l’aliquota Irpef nel secondo scaglione e alzare la detrazione per lavoro dipendente da 1.880 a 1.955 per redditi fino a 15 mila euro. Cioè 4,3 miliardi.

I dubbi dei tecnici del Parlamento
Ancora non è chiaro perché il governo abbia scelto di procedere in questo modo per due periodi di imposta: 2024 e 2025. E se l’impatto sarà davvero quello indicato dalla Cgil. Quando la norma fu varata, a fine dicembre del 2023, quel comma 4 dell’articolo 1 aveva suscitato già le perplessità dell’ufficio studi di Camera e Senato: «Andrebbero forniti elementi informativi circa lo sviluppo per cassa degli effetti finanziari stimati». La relazione tecnica del decreto legislativo 216, attuativo della riforma fiscale Meloni-Leo, non dava quell’informazione. «Sarebbe opportuno che siano forniti gli effetti finanziari per cassa», ripetevano i tecnici.

Il rischio buco nel 2026
«Di sicuro già l’anno scorso, in sordina, il governo ha fatto pagare ai contribuenti acconti più alti del dovuto e così quest’anno, senza trasparenza, infilandoli nei 730 precompilati», dice Maria Cecilia Guerra, responsabile lavoro del Pd in procinto di presentare sul tema un’interrogazione parlamentare al governo. «Di sicuro il prossimo anno ci sarà un ammanco per il bilancio dello Stato, visto che dovrà restituire quanto prelevato: chiediamo di sapere di quanto».
Tutti i nodi vengono al pettine.
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