
(Giuseppe Di Maio) – Se scorressimo l’elenco dei deputati del ’46, quelli cioè che parteciparono alla stesura della nostra Costituzione (in special modo quelli eletti nel collegio unico nazionale), non potremmo far a meno di notare che essi erano personaggi di primo piano. Filosofi e giuristi di fama, professori e tecnici di alto prestigio, ideologi, combattenti, partigiani, proprietari; ognuno di loro non ebbe rinomanza per essere stato eletto, ma arricchì le istituzioni con il peso della propria reputazione. Era la prima volta che si votava col suffragio universale, la prima dopo la guerra, dopo il Fascismo, e c’era una fame di democrazia, di partecipazione, un desiderio di costruire uno Stato finalmente adeguato alle passate glorie di un popolo. E, gratuitamente. Solo qualche anno dopo fu stabilita un’indennità mensile di 65mila lire che oggi potrebbero corrispondere a 1200 euro. Quei deputati rappresentavano tutte le anime politiche italiane: quella cattolica, popolare, liberale, socialista, e conservatrice (eccetto chi era stato colluso col passato regime), il meglio della nazione.
Proviamo ora a paragonare quel Parlamento a uno delle recenti legislature. Qualche anno fa una telecamera burlona si era incaricata di sondare con domande di cultura generale il valore di alcuni parlamentari. I risultati sono stati terrificanti, esilaranti. Ma quella burla non sarebbe servita. La cronaca già ci metteva di fronte all’evidenza di quali fenomeni avessimo per ministri della Repubblica, e di quali panzane fossero capaci, figuriamoci i semplici peones. Che cosa era successo dal ‘46, perché ora si selezionava una classe dirigente così scadente? Le anime politiche di quel primo Parlamento erano rappresentate da uomini liberi, uomini che non rispondevano a lobby, che per la campagna elettorale e per essere eletti spendevano i pochi soldi dei tesserati ai rispettivi partiti. Essi rappresentavano esattamente il loro elettorato, anzi, le proprie idee e quelle delle proprie fazioni.
Oggi le elezioni sono garantite dai denari della finanza e dell’imprenditoria, che riescono a comporre un Parlamento al servizio del 5% del paese, escludendo e riducendo il resto a mera massa di manovra. La stampa proprietaria promuove il valore di gente altrimenti squalificabile e condanna all’irrilevanza i pochi a cui starebbe a cuore l’interesse delle vere maggioranze. Gli eletti devono mostrare un livello di valore e di autonomia fortemente scadente, per assicurare ai padroni la certezza della sottomissione e la manovrabilità assolute. Le bande al governo confezionano per loro provvedimenti vantaggiosi, e delinquono in proprio: l’interesse privato è l’obiettivo della politica. Nell’unico raggruppamento che si ritiene esente da signorie proprietarie, la selezione della dirigenza è un gioco feroce in cui la lotta politica ha superato gli obiettivi condivisi. Troppo spesso il mandato equivale ad un magnifico sbocco occupazionale e, non appena ha inizio il secondo mandato, gli eletti si ritengono liberi dagli obblighi con i loro elettori, facendosi comprare dalle forze nemiche che non pretendono salassi alla retribuzione, e che elargiscono nuovi profitti. La democrazia è stata comprata dal Capitale, e l’illusione del “bene comune” e della “volontà generale” mantiene l’ordine sociale.
La consapevolezza che la democrazia utopistica non si sia realizzata eppure sia già morta in stato fetale è una secolare verità. La democrazia è una tendenza all’alto, alla comunione, alla pace e alla orizzontalità, e chi ci rappr-esenta incarna invece tutte le pulsioni verso il basso, all’arraffare risorse e posizioni, a accaparrarsi le briciole che cadono dal banchetto dei potenti.
Quello del 46 fu un governo tecnico, filosofico, economico, religioso e politico insieme, e i padri costituenti scrissero quello che doveva essere il nostro empireo, ciò a cui tendere. La costituzione non è mai stata applicata, e a noi sono sempre mancati i demiurghi che ci facessero ascendere dal basso all’ideale, dal piccolo al grande. Abbiamo avuto altri governi tecnici in Italia, gli ultimi due, Monti e Draghi, erano la mano tecnica delle banche e hanno fatto macelleria sociale e economica del Paese già a brandelli.
Continuano a cullarci nell’illusione del “too big to fail” ma l’Italia è una colonia fallita da tempo, e questo anche a causa dei costituenti.
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Se con i soldi si può comprare tutto, è evidente che democrazia e capitalismo non vanno d’accordo.Dovremmo prenderne atto ed eliminare uno dei due.
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infatti: il CAPITALISMO è INCOMPATIBILE con la DEMOCRAZIA
(Michael Hudson, Wolfgang Streeck)
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Egregio Adriano, eppure una volta si diceva : ” Tutti i Paesi democratici sono capitalisti, ma non tutti i Paesi capitalisti sono democratici”. Cosa è cambiato: la democrazia o il capitalismo ?
ciao !
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Manca lo STATO regolatore, è stato divorato dal capitalismo, tanto è vero che passiamo da una crisi ad un’altra senza interruzione.
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Siamo in una società in cui tutto è malsano, corrotto, stravolto. Non c’è più fede in niente, più utopia, la società del tutto e subito, dunque per quale missione uno si dovrebbe sacrificare?
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Prima c’erano gli ideali e la dignità ora c’è solo corruzione e ipocrisia
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Ricordo che in a far parte dell’assemblea costitunte c’era anche Giulio Andreotti
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Scusate ho scritto un “In” non dovuto
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Un esemplare da esibire è Bocchino , una persona che è senza faccia, rifatta più volte anche esteticamente
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