
(CHIARA SARACENO – lastampa.it) – La riforma Dini delle pensioni, accelerata dal governo Monti nel 2011 con la cosiddetta riforma Fornero, aveva due obiettivi complementari: mettere in sicurezza il sistema pensionistico minacciato dall’invecchiamento della popolazione e renderlo più equo, collegando l’ammontare della pensione all’intera storia contributiva e non solo agli ultimi anni, come avveniva con il sistema retributivo che avvantaggiava chi aveva carriere ripide (verso l’alto). Il tutto avrebbe dovuto andare a beneficio delle nuove generazioni, parzialmente sgravate dall’onere di dover finanziare pensioni spesso troppo generose (rispetto ai contributi pagati) di anziani sempre più numerosi e longevi.
Sappiamo che le cose sono andate un po’ diversamente, a causa non solo della troppa lentezza iniziale nella messa a regime, seguita da una accelerazione brusca proprio in un periodo di gravi difficoltà nel mercato del lavoro, ma delle troppe eccezioni e modifiche che i diversi governi hanno via via apportato al disegno riformatore, creando incertezza e nuove forme di diseguaglianza. Ma la debolezza principale di quella riforma sta nel presupposto che dovrebbe renderla sostenibile nel tempo: l’equilibrio demografico e contributivo tra chi è occupato e chi riceve la pensione. Alla restrizione della base demografica dovuta ai comportamenti riproduttivi delle coorti che via via si sono succedute (incluse quelle oggi anziane) si è unita la crescente difficoltà delle successive coorti di giovani ad entrare e stabilizzarsi nel mercato del lavoro e l’ampliamento dell’area della precarietà: contratti a termine e part time involontario, oltre a basse remunerazioni che comportano contributi modesti.
Il risultato è che i contributi oggi versati da chi è occupato fanno sempre più fatica sia a garantire il finanziamento delle pensioni in essere, sia a consentire di accumulare un ammontare pensionistico sufficiente a condurre una vita dignitosa. È il tema al centro del libro di Pasquale Tridico, attuale presidente dell’INPS, in dialogo con il giornalista del Corriere della Sera Enrico Marro: Il lavoro di oggi, la pensione di domani (Solferino). La restrizione della base demografica può essere in parte corretta nel breve-medio periodo incentivando e sostenendo con più convinzione e strumenti adatti l’occupazione femminile, stante che in Italia è occupata solo circa la metà delle donne in età da lavoro a causa delle note difficoltà a conciliare famiglia e lavoro e del persistere di stereotipi di genere rigidi, in famiglia, ma anche nel mercato del lavoro. Può essere corretta anche con un maggiore sostegno all’occupazione giovanile, tramite politiche educative e formative più efficaci, stante il paradosso tutto italiano di un’elevata disoccupazione giovanile in un contesto di comparativamente ridotta incidenza dei giovani nella popolazione complessiva. La restrizione della base demografica, infine, può essere compensata da politiche dell’immigrazione sostenute da azioni inclusive, che rendano l’Italia attraente non solo come luogo di passaggio per recarsi altrove in Europa, ma come paese in cui vale la pena fare progetti di vita.
Ma tutto questo non basta, anzi non può funzionare, se a donne, giovani e immigrati sono offerte per lo più occupazioni precarie e/o con remunerazioni troppo basse. Non basta per loro, ma non basta neppure per sostenere il sistema pensionistico. Non so se la soluzione stia nel ritorno auspicato da Tridico al decreto dignità, che riduceva fortemente il ricorso ai contratti a tempo determinato, o a qualcosa di simile a quanto fatto in Spagna con la stessa finalità. Ciò che mi sembra importante è avere chiaro il nesso che c’è tra bassi salari e precarietà del lavoro da un lato, (in)sostenibilità delle pensioni domani e dopodomani.
Accanto a questo tema centrale nel libro si tratta anche del Reddito di cittadinanza, non solo perché l’INPS è l’ente erogatore, ma perché Tridico ne è stato il principale ideatore. Accanto agli utilissimi dati che sfatano molta retorica negativa e alla, non solo legittima, ma a mio parere giusta, difesa di uno strumento senza il quale i poveri in Italia sarebbero molti di più e l’impatto della crisi innescata dalla pandemia prima, dalla crisi energetica poi molto peggiore, mi sarei aspettata una maggiore riflessione critica sui limiti di questo strumento: sulle – anche generose – ingenuità che ne hanno guidato il disegno (in primis averlo definito una politica attiva del lavoro, in un paese che praticamente non ne aveva e non sapeva farle), sulle responsabilità rispetto ad una narrazione negativa e dispregiativa dei poveri («le norme anti-divano»), sulle ingiustizie tra poveri che ha promosso, in primis a sfavore dei minorenni e delle famiglie numerose.
Categorie:Cronaca, Editoriali, Interno, Politica
Il tutto sarebbe dovuto andare, non avrebbe dovuto andare. Spero sia soltanto un errore del proto, se esistono ancora.
"Mi piace""Mi piace"
Basterebbe dividere la previdenza dall’assistenza.
"Mi piace""Mi piace"
Perché non diminuire gli stipendi alla camera dei commessi perché pagare la pensione dopo ,4 anni ai politici perché dare stipendi esorbitanti ai dirige pubblici perché non vi diminuire voi le spese per averne un po’ per gli altri
"Mi piace""Mi piace"
“Perché per le nostre pensioni i contributi non bastano più” anche grazie al salvataggio, a carico INPS, della cassa dei giornalisti voluta dal draghetto…
"Mi piace""Mi piace"