L’autonomia degli schèi

(di Marco Palombi – ilfattoquotidiano.it) – Fortuna che Luca Zaia è un politico onesto e sia detto senza alcuna ironia: il presidente della Regione Veneto è infatti esplicito in opere e omissioni, leggi di bilancio e dichiarazioni pubbliche. Una qualità non da poco, ancorché non basti a render giusto quel che dice. Mentre il dibattito sul regionalismo differenziato è – anche giustamente – concentrato su questioni procedurali, garanzie democratiche o faccende filosofiche tipo la sussidiarietà e l’avvicinamento dei livelli di governo ai cittadini, lui ci ha voluto ricordare in poche righe della legge di Stabilità veneta di cosa stiamo parlando: di soldi. Giovedì sera il governo, a malincuore, ha dovuto impugnare davanti alla Consulta una norma del bilancio regionale perché viola la Costituzione quanto alla “armonizzazione dei bilanci pubblici”, compito esclusivo dello Stato. In sostanza, il Veneto ha deciso che si terrà l’addizionale Irpef recuperata dall’evasione: parliamo di cifre relativamente modeste, 20-30 milioni l’anno, ma il principio è dirompente e ci riporta all’autonomia modello Zaia. La proposta che il Doge fa a Roma, esemplificata in un format di legge statale approvato dal Consiglio regionale nel 2014 e “santificato” dal referendum consultivo del 2017, prevede che il Veneto diventi di fatto una Regione a statuto speciale e che si tenga i “9/10 del gettito riscosso nel territorio della Regione delle principali imposte erariali, che si aggiungono ai gettiti dei già esistenti tributi propri” (spiegava la relazione introduttiva). Il retropensiero è che il Veneto abbia un corposo “residuo fiscale” da chiedere allo Stato (15 miliardi l’anno, è il conto, la Lombardia fino a 54): parliamo di una stima di dubbio senso, basata su dataset parziali e su una decisa incomprensione della società e persino delle interdipendenze economiche, trasformata in patto costituente. L’autonomia differenziata, ci ricorda Zaia, prima di ogni altra cosa è “l’autonomia degli schèi” e, a livello antropologico, il ritorno di quel “portamento autorevole d’un bottegaio che ha rovesciato un governo di tredici secoli” con cui Ippolito Nievo immortalò la fine della Serenissima in Le confessioni di un italiano: la politica c’entra poco, la prevalenza del bottegaio quasi tutto.

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