Messina Denaro: ultima chance per fare luce sullo stragismo

La cattura di Matteo Messina Denaro, eseguita dai carabinieri del Ros su direttive della Procura della Repubblica di Palermo, è sicuramente un momento di grande importanza nell’azione di contrasto alla mafia, avendo posto fine alla trentennale […]

(DI ANTONIO ESPOSITO – Il Fatto Quotidiano) – La cattura di Matteo Messina Denaro, eseguita dai carabinieri del Ros su direttive della Procura della Repubblica di Palermo, è sicuramente un momento di grande importanza nell’azione di contrasto alla mafia, avendo posto fine alla trentennale latitanza del nuovo capo di Cosa Nostra, ultimo esponente della strategia stragista che portò, negli anni 1992-1993, agli eccidi dei magistrati Falcone e Borsellino e alle stragi di Roma, Firenze e Milano.

Ma la cattura del capomafia costituisce anche un riscatto da parte di un corpo di investigatori che, in quel periodo, non fu esente da ombre e sospetti costituiti sia da anomali rapporti con il mafioso Vito Ciancimino, da cui scaturì il famoso “papello” di Riina oggetto del processo “Trattativa Stato-mafia”, sia dalla omessa perquisizione e vigilanza del covo del capo di Cosa Nostra, Riina, che rese possibile asportare l’archivio di quest’ultimo, sia ancora dalla successiva omessa cattura dell’altro capomafia Bernardo Provenzano il cui covo era stato indicato ai Ros dal mafioso-infiltrato Luigi Ilardo (poi, poco tempo dopo, ucciso); cattura di Provenzano avvenuta molti anni dopo, a opera non degli uomini del Ros, ma della “sezione catturandi” della polizia di Stato, guidata dal sagace investigatore Renato Cortese. E che tale riscatto si rendesse ancor più doveroso è circostanza che discende dall’essere stato proprio un militare dei Ros, l’infedele maresciallo Giorgio Riolo, ad aver rivelato, in maniera sistematica e continua (nel periodo 1999-2003), informazioni coperte da segreto di ufficio relative ad attività investigative – ordinate dalla Dda di Palermo – finalizzate alla cattura dei latitanti Provenzano e Matteo Messina Denaro, in quel momento ai vertici di Cosa Nostra. Tra i molteplici episodi di favoreggiamento contestati al Riolo (che venne condannato a 7 anni e 5 mesi di reclusione con sentenza definitiva: Cass. II sez. n° 15583/2011, c. Cuffaro e altri) vi era anche quello di aver rivelato le indagini svolte dallo Sco della polizia di Stato finalizzate alla cattura del latitante Messina Denaro e aventi, nello specifico, a oggetto l’esistenza di una telecamera (nascosta) piazzata da personale della polizia di Stato di fronte l’ingresso dell’abitazione del nucleo familiare Mesi, di cui faceva parte Maria, già giudicata colpevole del reato di favoreggiamento di Messina Denaro, all’esito di un procedimento nel quale erano emersi i suoi stabili legami sentimentali con lo stesso capomafia trapanese che si era nascosto proprio nell’abitazione dei Mesi (sita in Aspra, fraz. Comune di Bagheria).

E allora inutili sono le solite affermazioni retoriche dei politici: “La lotta alla mafia non conosca tregua” (così La Russa); “La guerra va avanti” (così Meloni in raccoglimento davanti alla stele di Capaci) “Le istituzioni e i nostri eroi non mollano mai” (così Salvini). Occorre, invece, riflettere sul perché sia stato possibile che un latitante, per trent’anni, si sia mosso indisturbato tra Palermo e Trapani. Ed è fondamentale considerare che l’arresto del capomafia rappresenta forse l’ultima e irripetibile occasione per far luce sui misteri di quelle stragi, sui mandanti occulti degli eccidi di Capaci e di via D’Amelio; su chi dette l’ordine di accelerare tale ultimo omicidio; su chi sia in possesso dell’archivio di Riina e su chi fu il traditore che rivelò (e a chi) che Ilardo stava per svelare ai magistrati notizie sconvolgenti sui rapporti mafia-istituzioni tali da provocare un vero terremoto ai più alti gangli del potere, e su chi dette l’ordine di ucciderlo.

Forse molti sperano che Matteo Messina Denaro – il pupillo cresciuto ed “educato” dal sanguinario Riina – si avvalga della facoltà di non rispondere.

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