Solo dittatura mediatica?

(Giuseppe Di Maio) – Nella città in cui abito alla fine degli anni ’80 girava una velenosa facezia. Si diceva che Marzotto, titolare dell’omonima azienda, non avrebbe voluto la costruzione del tunnel di collegamento tra Valdagno e la pianura veneta (costringendo i valdagnesi al poco agevole passo dello Zovo) per non far scappare i suoi operai. Quest’immagine del capitalismo da recinto mi ha sempre impressionato, poiché, al di là di quanto possa essere vera la storiella di Marzotto, è l’esatta metafora della realtà italiana, della sua economia, della sua politica, e della sua società.

Il nostro è un capitalismo nato dall’avventura unitaria e finanziato con sonante denaro pubblico. Furono beneficiati gli amici della corona, gli amici degli amici, e all’opposto furono tormentati i suoi nemici, azzerati, costretti a rifugiarsi nella rendita da latifondo o precipitare nell’economia asfittica del sottosviluppo. Alla finanza dei proprietari terrieri, si erano aggiunti esportatori di fichi secchi, produttori di elisir di china, e per ultimi i riccastri delle commesse pubbliche. Il nuovo stato era nato sulla corruzione, e il paternalismo dei vecchi stati preunitari fu bandito, perseguitato. Lo scandalo della banca romana non fu solo rappresentativo di quest’epoca, ma fu il marchio indelebile del nuovo carattere nazionale.

A distanza di un secolo e più, nulla è cambiato. I padroni si sono arricchiti sull’ingiustizia generata dalla politica; evitano di uccidere gli operai nelle piazze, ma li ammazzano negando loro gli accessi fondamentali a una vita piena. Continuano a far fuori chi vorrebbe far rispettare le regole: come fu per Emanuele Notarbartolo, così oggi lo è per le tante vittime del dovere. L’arma dei padroni è la stampa. E’ la menzogna ripetuta infinitamente su tutte le fonti d’informazione, finché vengono spente la coscienza dei fatti e la reazione popolare. Noi siamo un popolo che non ha avuto la sua rivoluzione sociale, forse complice una natura provvida che spesso ci ha salvato dall’ultima nequizia. E’ così che pensano di noi all’estero, dove credono che abitiamo un Eden in cui basterebbe allungare una mano per coglier un frutto.

Ma nel nostro Eden, dopo essere stati presi in giro per 18 mesi da un premier “amico”, se ti viene in mente di domandargli che cosa ha intenzione di fare per la povera gente, questi invece di risponderti si dimette. Dando mostra che la domanda è stata un atto di sabotaggio o, in subordine, che è ancora incazzato per non essere stato eletto Presidente della Repubblica; e chi se ne fotte non ce lo metti? E non ci metti che dopo averci bombardato le sfere, lui e i suoi sodali, con ce lo chiede l’Europa per questioni acchiappavoti o di macelleria sociale, quando al contrario l’Europa ci chiede un welfare maturo, un salario minimo, una giustizia giusta ed imparziale, allora il capitalismo nostrano soffia come un serpe nella tana, attraverso i suoi babbei della politica che sbraitano per fregare le coscienze dei poveri cristi impoveriti dai loro provvedimenti reali?

Se non è questo un recinto, se non è questa una valle di lacrime in cui il dannato “odia chi è come lui, legato, e tradendo, beato”, è pronto a votare per il proprio aguzzino.