
(Franceso Battistini e Milena Gabanelli – corriere.it) – 2221b Baker Street. Gli appassionati di gialli sanno che questo indirizzo nel centro di Londra è la casa di Sherlock Holmes. L’ultimo proprietario conosciuto del palazzo si chiamava Rakhat Aliyev: un ex ambasciatore che aveva sposato Dariga, la prima figlia del primo – e per 29 anni unico – presidente del Kazakistan, Nursultan Nazarbayev. Caduto in disgrazia e scappato in Europa, Aliyev aveva fatto appena in tempo a denunciare pubblicamente quanto corrotto fosse il regime dell’ex suocero. Nel 2014 lo arrestarono in Austria, con l’accusa d’aver assassinato due funzionari kazaki. E otto mesi dopo, mentre attendeva il processo, lo trovarono impiccato nella sua cella a Vienna. Proprietario di banche e raffinerie, si scoprì che Aliyev era l’intestatario del museo di Sherlock Holmes e di tutte le case di Baker Street che vanno dal civico 215 al 237: valore 215 milioni di dollari. Ma il patrimonio immobiliare complessivo a Londra è di ben 450 milioni di dollari. Ed è solo una goccia, nell’immenso mare d’oro del clan Nazarbayev.

Nel ricco Kazakistan si fa la fame
In Kazakistan, il 2 gennaio, è scoppiata una rivolta contro il caro vita così furiosa da convincere Putin a inviare l’esercito, in appoggio del governo amico. La più ricca ed estesa delle vecchie repubbliche sovietiche nell’Asia Centrale – con meno di 20 milioni d’abitanti – è anche il più grande esportatore mondiale d’uranio e ha il secondo giacimento petrolifero al mondo. Eppure il reddito familiare medio dei kazaki non arriva a 600 dollari mensili e la metà delle ricchezze nazionali è nelle mani soltanto di 162 persone. L’81enne padre-padrone del Kazakistan ha lasciato la presidenza tre anni fa e, dopo la rivolta popolare, sembra non controllare più la macchina del potere, ma il suo clan, una cinquantina fra nipoti e parenti, possiede ancora tutto: 40 miliardi di dollari solo in liquidità. Certo, le proteste per il rincaro del gpl avrebbero causato una perdita di circa 3 miliardi di dollari alla secondogenita di Nazarbayev, Dinara, e al di lei marito Timur Kulibaev: uno dei mille uomini più ricchi del mondo, proprietario del fondo sovrano, di tutti gli idrocarburi e di un bel po’ di banche kazake.

Tutte le banche del clan
Le banche, appunto. In Kazakistan, solo sei anni fa ce n’erano nove che controllavano il 78% del mercato: quattro sono sparite, le restanti sono finite nel portafoglio del clan. Jysan Bank è una delle più grandi, fa capo al genero di Nazarbayev, ed è considerata il suo bancomat personale, pur avendo in pancia un 44% di prestiti scaduti. C’è poi il caso di Tengri Bank, fondata dalla coppia più chiacchierata del clan, il finanziere Timur Kuanyshev e la moglie Alfiya: li chiamano «i ricchi in mutande» da quando furono ammanettati a Mosca con un milione di dollari non dichiarati e cuciti nella biancheria intima. Timur e Alfiya, amici del Principe Andrea, invitati di riguardo al matrimonio reale di William&Kate, in agosto hanno venduto ai cinesi le loro quote della Tengri: appena in tempo, prima che i dirigenti venissero arrestati per distrazione di fondi. Infine c’è l’Italian Connection: un ex ministro di Nazarbayev che ora da Parigi guida l’opposizione, Mukhtar Ablyazov, ha ricordato l’incredibile risiko bancario che portò anche il più grande istituto italiano, Unicredit, a strapagare 2,1 miliardi di dollari una banca (Atf) che apparteneva a Bulat Utemuratov, un affiliato di Nazarbayev. Sei anni dopo, nel 2013, la stessa Unicredit ha rivenduto l’Atf per 493 milioni a un nipote di Nazarbayev, Akhmetzhah Yessimov. Il quale a sua volta la girò al Jysan Bank, il bancomat di Nazarbayev. Un’operazione costata ad Unicredit la strabiliante cifra di 1,6 miliardi di dollari, che finì nelle tasche del dittatore. Perché la banca italiana accettò di perdere tanti soldi? In quei mesi il regime andava accusando l’Eni d’essere in ritardo con i contratti per lo sfruttamento dei pozzi di Kashagan e minacciava di farle pagare una maxi-penale. Dopo l’operazione Atf, miracolosamente, Nazarbayev tolse ogni pressione su Eni.

Ricatti e tangenti
È naturalmente il petrolio a dare profumo ai soldi di Nazarbayev. Questo figlio d’umili pastori, ex operaio siderurgico e capataz comunista, fu l’ultimo leader d’una repubblica sovietica a dichiarare l’indipendenza dall’Urss e il più lesto a fiutarne le opportunità. «Veniva a Mosca a chiedermi di spiegargli i segreti del business» ricorda l’ex ambasciatore americano Robert Strauss. Nel 1993, da poco diventato presidente, Nazarbayev già offriva in saldo all’Occidente centinaia di missili sovietici. Il Dipartimento americano della Giustizia ha indagato spesso l’ex presidente kazako per corruzione, mentre il suo amico banchiere James Giffen, lobbista a Washington, è stato anche arrestato per 78 milioni di tangenti incassate da grandi compagnie petrolifere. Famosa la mazzetta da un miliardo di dollari offerta da Nazarbayev in persona a James Baker, nel mezzo d’un incontro ufficiale col segretario di Stato americano, perché favorisse una pipeline. O la proposta a Bush jr, tre mesi dopo l’11 settembre, d’aderire alla lotta al terrorismo in cambio d’un aiutino per i guai giudiziari negli Stati Uniti. In una colazione al Rockfeller Center, Nazarbayev chiese alle compagnie petrolifere, in cambio di contratti, di versare l’obolo per un suo investimento immobiliare a New York. Un nipote di Nursutan, Aisultan, 29enne figlio ribelle di Dariga con problemi di droga, un giorno fuggì a Londra e rivelò tra le altre cose una tangente da 1,5 miliardi versata al nonno dai russi di Gazprom, su un conto a Singapore. «Sono la pecora nera, mi daranno del tossico e mi uccideranno» predisse il ragazzo pochi mesi prima di morire all’improvviso, e non è mai stato chiarito come.

I consiglieri: da Blair a Schröder
In trent’anni, dai conti del clan Nazarbayev in Svizzera e alle Isole Vergini sono usciti soldi un po’ per tutti. Trenta milioni finirono alla fondazione di Bill Clinton, che nel 2005 in visita nella capitale kazaka ne aveva tessuto pubbliche lodi. Altri nove a Tony Blair, assunto come advisor internazionale del regime. Nella lista dei consiglieri politici stavano anche Romano Prodi, l’ex cancelliere tedesco Schröder, quello austriaco Gusenbauer. Nell’elenco degli amici italiani c’era, soprattutto, Silvio Berlusconi. Il presidente Scalfaro conferì al dittatore l’onorificenza di Gran Croce. Del resto l’Italia è da anni il secondo partner d’affari europeo del Kazakistan. WikiLeaks nel 2012 rivela: le imprese italiane per lavorare sono obbligate a pagare il dittatore.

Dai castelli in Svizzera all’Hotel Plaza
La figlia Dariga controlla i media e il partito unico. E assieme al figlio Nurali, al suocero Aisultan, alle sorelle Dinara e Aliya, ai cognati Timur e Bolat, gestisce lo sterminato patrimonio immobiliare di famiglia. Un elenco difficile da aggiornare: il castello di Bellerive e la villa coloniale a tre piani ad Anières, sul lago di Ginevra (valutati in 190 milioni di dollari); la quota al Plaza Hotel che domina Central Park a New York (20 milioni); le case a Wall Street, nel New Jersey e in Florida (30 milioni); le proprietà inglesi a Chelsea, ad Ascot e nel Surrey (165 milioni); «La Tropicale» di Cannes (34 milioni); e poi la tenuta spagnola di Lloret de Mar, gli alberghi termali in Repubblica Ceca, altri 140 milioni sparsi in proprietà che la National Crime Agency britannica ritiene «acquistati con denaro di fonte illecita».

Dopo settimane d’assenza, finita la rivolta, Nazarbayev è comparso in pubblico per rassicurare che «non c’è lotta per il potere» e che il padrone è ancora lui. Forse no, ma certamente resta padrone di tutto quello che ha arraffato, mentre il Kazakistan che lascia in eredità fa fatica a pagare la bolletta del gas ed è al 113esimo posto (su 180) nella classifica di Transparency International dei Paesi più corrotti. Al 157esimo in quella della libertà di stampa. Ha pochi eguali per inquinamento da scorie nucleari e sostanze tossiche. I kazaki considerano il pane, «nan», un alimento sacro e finito il pranzo, secondo tradizione, sulla tavola non ne deve mai avanzare. Il Leader della Nazione è stato il più bravo di tutti a non lasciare neanche una briciola.
Questo è un tipico esempio che il Tortellino diceva non congruo con le statistiche del ‘600.
Tanto per capirci.
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