(Natalia Aspesi – la Repubblica) – Perché nelle terribili immagini della folla in fuga all’aeroporto di Kabul non si vedono donne? Perché solo gli uomini vogliono fuggire mentre le donne forse vorrebbero ma si sono chiuse in casa? O non vogliono abbandonare i figli? O i loro uomini glielo hanno addirittura impedito per non dover cedere una possibilità di salvezza?

Perché questi uomini terrorizzati, che saranno mariti, padri, figli, non hanno aiutato le loro donne, le hanno abbandonate a un destino ignoto e forse tragico? Perché le hanno lasciate sole, perché non si vedono bambini in quel tumulto di disperazione e terrore? Perché vogliono salvarsi solo loro, i maschi che in qualche modo si sono compromessi con gli occidentali?

In tempi in cui l’informazione è istantanea, in realtà tutto quello che sino adesso possiamo immaginare di ciò che sta succedendo davvero in quelle terre lontane e così vicine, perché anche tanti italiani laggiù sono morti, lo sappiamo da queste scene spaventose, dalle fotografie dei vincitori, uomini giovani, barbuti, dall’aria feroce, belli da cinema, tra scialli e turbanti che li rendono esotici e ancor più pericolosi, carichi di armi vendute loro dall’Occidente, che adesso piange per l’Afghanistan, attacca Biden e grida mea culpa.

Troppo tardi, almeno di vent’ anni. La realtà la sapremo presto, giorno per giorno, e per ora la possiamo solo immaginare conoscendo quel che già è successo altre volte, tra una occupazione e l’altra delle grandi potenze che si fronteggiano ovunque con la scusa di portare una democrazia non richiesta.

Si piange soprattutto per le donne e già le immaginiamo di nuovo rinchiuse nel burqa blu splendente, il più bel colore mai visto, la prigione senza uscita con una sola piccola grata sul viso, giusto per respirare, vedere, non morire. L’abbiamo visto in tanti film indimenticabili, non possiamo scordare quel sarcofago in tutta la sua assurda violenza; e che ha il potere, credo, di convincere le donne della loro inesistenza e di rendere la sopraffazione maschile sconfinata più di qualsiasi altra punizione.

Ce ne interessiamo adesso per la vergogna della nostra viltà e indifferenza, concentrata, a parte la gravità della pandemia, su una serie di scemenze che stanno trascinando noi donne nella nullità. Adesso il mondo rientra nelle nostre vite, non possiamo più evitarlo, e il chiacchiericcio dell’incompetenza dovrà pure lasciare il posto alla realtà, alla tragedia che non solo non si è riusciti ad evitare ma la si è forse cercata.

Dico di indifferenza soprattutto mia, che non so, come tante di noi, quale era la situazione delle donne in Afghanistan prima della attuale fuga americana. Davvero sino a pochi giorni fa non erano velate? Davvero riempivano le università? Davvero sposavano chi volevano? Davvero erano libere? Davvero, come noi, si preoccupavano della parità di genere e si dichiaravano non binarie?

Anche lontano da Kabul, tra le montagne, nei villaggi sperduti, dove forse il tempo si è fermato da sempre e con il ritorno della Repubblica Islamica, nulla cambierà, perché nulla era cambiato, per le donne.