(di Giovanni Valentini – Il Fatto Quotidiano) – Non può sorprendere che il governo di Mario Draghi, secondo l’ultimo sondaggio dell’istituto Quorum/You Trend per Sky Tg 24, riscuota l’apprezzamento di un italiano su due. Avvolto nella taglia extralarge della sua maggioranza, il presidente del Consiglio è l’uomo che ha salvato l’euro e l’Europa, “Mister Bce”, stimato forse più all’estero che in Italia. La competenza economica, l’autorevolezza e il prestigio internazionali gli sono riconosciuti super partes. Può sorprendere, invece, che tra i leader politici l’ex premier Giuseppe Conte goda ancora oggi di un gradimento superiore, pari al 34,7% contro il 32,8, due punti in più del suo illustre successore. E il fenomeno, in termini puramente statistici e demoscopici, merita di essere analizzato in controluce al di là delle appartenenze e delle opinioni personali.
È da più di tre mesi, esattamente da quel 13 febbraio in cui uscì da Palazzo Chigi fra gli applausi dei dipendenti affacciati alle finestre e tenendo per mano la sua giovane ed elegante compagna, che Conte è praticamente fuori dalla scena. Invischiato nelle contorsioni del M5S, designato a diventarne il leader, “l’Avvocato del popolo” ha tenuto un’assemblea virtuale del Movimento, senza riuscire finora a trasformarlo in partito e soprattutto ad attribuirgli un’identità precisa e condivisa, nell’estenuante tentativo di risolvere la vertenza con la piattaforma Rousseau di Davide Casaleggio. Poi ha fatto qualche isolata e significativa sortita, con la cautela di un artificiere su un campo minato: sulla prospettiva di un’alleanza strategica con il Pd e con Leu, a partire dalle prossime amministrative; sulla riforma della Rai, per la quale ha proposto di assegnare la governance a una Fondazione esterna alla politica, seguito a ruota dai senatori renziani e perfino da La Verità; e infine, per restare sul terreno dell’informazione, ha polemizzato con il quotidiano di Carlo De Benedetti che – parlando di corda in casa dell’impiccato – l’aveva inopinatamente chiamato in causa sui suoi presunti “affari segreti” e con l’intero gruppo Gedi (Repubblica, La Stampa, L’Espresso e via sfogliando), a cui evidentemente l’ex premier non va molto a genio: Fiat voluntas loro.
Diciamo, quindi, che finora Conte ha vissuto di rendita. Nel senso che, nonostante questo trimestre di vacatio, viene apprezzato da oltre un terzo degli italiani per quello che ha fatto nei suoi tre anni o poco meno di governo: prima, alla testa della maggioranza gialloverde; e ancor più, alla guida dell’alleanza giallorossa, dopo aver scomunicato urbi et orbi Matteo Salvini. È chiaro, dunque, che la popolarità dell’ex premier deriva innanzitutto da un giudizio largamente positivo dell’opinione pubblica su come il Conte bis ha affrontato lo “tsunami” della pandemia, ha gestito l’emergenza e ha avviato la campagna vaccinale in assenza o carenza di forniture.
Ma, verosimilmente, è giocando in trasferta che “Giuseppi” – come venne ribattezzato da Donald Trump in un Twitter frettoloso – ha conquistato i punti più preziosi. A Bruxelles, a Berlino o a Parigi, piuttosto che a Roma. Tanto da guadagnarsi i 209 miliardi di euro del Recovery Fund europeo: una dote, su cui pochi avrebbero scommesso, che adesso rappresenta – e non solo in termini economici – la base per il Piano nazionale di ripresa e resilienza che dovrebbe consentire il rilancio del nostro Paese.
Avrà pure sbagliato allora Conte ad allearsi con la Lega; avrà commesso magari qualche errore di comunicazione; avrà esitato o temporeggiato troppo; avrà abusato forse del lockdown o dei Dpcm, adottati poi anche da Draghi; avrà affidato la campagna vaccinale a un manager senza vaccini piuttosto che a un generalissimo con tante mostrine. Fatto sta che oggi il 35 per cento degli italiani gli riconosce l’onore al merito e gli attribuisce due punti di gradimento in più rispetto al premier in carica, staccando nettamente sia l’alleato-avversario che sta con un piede dentro e uno fuori (19%) sia la Sorella d’Italia che guida l’opposizione (21,3%). E aggiungiamo che, allo stato degli atti, l’ex presidente del Consiglio è un leader senza partito.
C’è, evidentemente, anche un tratto personale che rende Conte più comunicativo e carismatico di Draghi. L’uno è un esperto giurista, abituato a difendere i legittimi interessi dei cittadini; l’altro è un autorevole economista, più avvezzo a frequentare banche e banchieri. Possono essere complementari e possono essere entrambi propizi, in ruoli e con responsabilità diversi, per far uscire l’Italia dalla crisi economica e sociale in cui l’ha sprofondata l’emergenza sanitaria. Sono una “coppia d’assi” che, come al tavolo da poker, non basta per vincere ma bisogna saperla giocare.