Le corporazioni gas-petrolifere potrebbero dare la svolta sacrificando solo il 5% dei profitti

Clima, indietro tutta: l’Europa era partita in anticipo, ma ha perso un altro anno per salvare il pianeta

(Mario Tozzi – lastampa.it) – È difficile immaginare una marcia indietro più decisa di quella innestata dai governi mondiali, europei in particolare (perché erano quelli che avevano giustamente accelerato di più) nel 2025. Quest’anno non ci sono regali sotto l’albero per la Terra e, di conseguenza, neanche per i sapiens, tanto per rispedire subito al mittente l’obiezione che il pianeta non si accorge nemmeno di quanto combinano gli uomini: è vero, ma se non preservi gli equilibri e gli ecosistemi del mondo, i primi a soffrirne saremo noi. E, inoltre, le attività produttive dei sapiens l’atmosfera la modificano eccome: per la prima volta nella storia dei viventi una sola specie minaccia tutte le altre e intacca le geosfere.

Partiamo dall’agricoltura: la Commissione Europea propone di estendere illimitatamente le autorizzazioni per immettere sul mercato tutti i pesticidi, i biocidi e gli additivi che aumentano la resa, ma ammalano persone e ambiente. Il settore più sovvenzionato di tutti non riesce proprio a riconvertirsi e addossa la colpa al Green Deal, dimenticando che non solo non è mai partito, ma ora viene pure bloccato. E dimenticando che, se i loro affari vanno male, è a causa di mezzo secolo di Brown Deal e di migliaia di errori di prospettiva. In questo campo, però, possiamo sempre imparare dagli Usa, dove colorano di blu i mirtilli con gli idrocarburi, irrorano il riso con l’arsenico, spruzzano le mele con la difenilammina e immergono i polli nel cloro prima di smerciarli. Non c’è fine nella corsa al ribasso.

E poi le foreste: perché vogliamo proteggerle così in fretta? Secondo il Wwf, il regolamento contro la deforestazione in Europa (Eudr) è stato artatamente ritardato, così verranno abbattuti almeno 50 milioni di alberi in più, liberando 17 milioni di tonnellate di gas serra in aggiunta nell’atmosfera. Non male, anche se nel Sudest asiatico, in Borneo e in parte del Sudamerica stanno cercando di fare ancora peggio. Ed è anche vero che in Italia abbiamo riforestato negli ultimi decenni, ma spesso pinete o boschi non di pregio, che non risaneranno mai la perdita delle nostre foreste primarie alpine e delle faggete vetuste dell’Appennino.

Se poi vogliamo considerare qualche nostro compagno di viaggio, le cose non vanno meglio. Uno su tutti, il lupo, simbolo della nostra incapacità di convivere con l’ambiente naturale, cui l’Europa ha ridotto il livello di protezione declassandolo. Ad agosto, in Italia, è stato abbattuto legalmente il primo lupo a oltre 50 anni dalla sua tutela (in Italia il Wwf di Fulco Pratesi), andando incontro a odii atavici di cittadini ignoranti che vedono nel lupo ogni sorta di male, dimenticando che si tratta di una specie cruciale per il mantenimento degli equilibri ecosistemici che, alla fine, tornano utili prima di tutto a noi. Magari si potrebbe pensare che così i nostri allevatori tuteleranno meglio il loro bestiame. Peccato che solo meno dello 0,1% (ripeto: zero virgola uno per cento) degli animali da allevamento europei viene predato dal lupo e che non si riscontrano attacchi di lupi ai sapiens, visto che noi non rientriamo nel target delle sue prede e che, per fortuna sua, il lupo fugge appena ci vede.

Sul clima le cose vanno meglio che negli Usa, che si sottraggono agli impegni internazionali e trivellano come se non ci fosse un domani, ma non è che vadano bene. Rinvii, ritardi, obiettivi sempre meno ambiziosi: cosa non si farebbe pur di compiacere le corporation gaspetrocarboniere, i negazionisti d’accatto e le nuove geometrie sovraniste al potere. Dal punto di vista climatico l’avvento dei populisti trumpiani anche in Europa è una jattura micidiale: ci si cura solamente di accumulare il più possibile prima che la barca affondi, senza pensare che quella barca è la stessa per tutti. La testimonianza plastica della retromarcia innestata è la manomissione del phase-out europeo del 2035 per la vendita dei motori endotermici, che vede ridotto l’obiettivo di abbattimento delle emissioni di CO₂ dal 100% al 90% e l’apertura alla follia del biometano per il trasporto su strada. E nella stessa inversione di marcia va la possibile cancellazione del programma Life, unico strumento autonomo per la biodiversità e il clima.

Se si fa eccezione per lo straordinario incremento delle energie rinnovabili in Cina e per l’intervento del Brasile a favore delle sue foreste, non si vede l’ombra di un Green Deal in nessuna parte del pianeta (e dobbiamo anche ricordare il record di centrali a carbone cinese o quelli dell’allevamento brasiliani): è ufficiale, il mondo non crede più alla rivoluzione verde. La scusa formale è che la sostenibilità ambientale non collimerebbe con quella economica e sociale, che non si capisce benissimo cosa mai possa voler dire. Tutto dipende da chi paga, e siccome nessun ambientalista di buon senso vuole addossare i costi della crisi al pensionato con la Panda euro 1, i responsabili li conosciamo bene: sono proprio le Oil & Gas Corporation che potrebbero mutare in meglio i destini dei sapiens semplicemente riducendo, e non di tanto (si calcola meno del 5%), i propri profitti, magari re-investendoli in rinnovabili.

La riconversione ecologica è una necessità non eludibile e meno ancora negoziabile, perché sull’altro piatto della bilancia ci sono vittime, danni economici (tutt’altro che irrilevanti, nonostante la mancata comprensione della letteratura scientifica da parte di alcuni giornalisti ideologizzati e ignoranti in materia) e un futuro che si prospetta pesante per chi ci ha prestato il pianeta. Aver perso un altro anno per passare dalla constatazione della crisi alle contromisure può far contento solo chi su quella crisi continua a guadagnare o su chi teme che le regole odorino di comunismo e soffochino il libero mercato: tranquilli, intanto soffochiamo solo noi.