Per il Pil per le armi “Faccia di più”. A quota 15 i Paesi che chiedono deroghe ai vincoli per le spese militari

(di Salvatore Cannavò – ilfattoquotidiano.it) – Il Next Generation Eu, ovvero il piano di Ricostruzione e Resilienza, inaugurato per fronteggiare la pandemia Covid, sta per scadere. Ma ci sono ancora 335 miliardi da spendere e la Commissione europea invita gli Stati membri a darsi da fare per raggiungere gli obiettivi fissati. Ma fa anche qualcosa in più: suggerisce di spostare una parte dei fondi al Programma industriale di difesa europea (Edip). Sancendo così, come nota l’economista Pasquale Tridico, oggi eurodeputato M5S, “la definitiva trasformazione dell’economia europea in economia di guerra”.
È un documento formidabile quello licenziato ieri dalla Commissione e illustrato dal commissario economico Valdis Dombrovskis. Perché innanzitutto smentisce la strategia di austerity seguita per circa trent’anni dalla Ue valorizzando invece un poderoso “investimento pubblico” che “ha cambiato le carte in tavola” della politica europea. I soldi spesi, circa la metà dell’iniziale piano da 650 miliardi di euro si sono indirizzati, come da regole, alla transizione ecologica che è salita al 42% contro l’iniziale 37% del piano. Il quale ha dato vita a “cambiamenti strutturali” in Europa e con riflessi evidenti sulla crescita europea: “Senza considerare l’impatto delle riforme, gli investimenti potrebbero aumentare il Pil dell’Ue dell’1,4% nel 2026” si legge. Potevano pensarci prima.
Ma ora non c’è più tempo. Il Piano di ripresa e resilienza si esaurirà il 31 agosto 2026, a settembre del prossimo anno vanno presentate le richieste di pagamento che si effettueranno entro e non oltre il 31 dicembre. Ci sono 335 miliardi da spendere e bisogna “accelerare”, anche perché la Commissione ha attivato i prestiti sui mercati finanziari e ha costi monetari aggiuntivi. La parola d’ordine è “semplificare” altrimenti si rischia di perdere i fondi. E così vengono proposte delle modifiche. Il primo suggerimento è scorporare gli investimenti che potrebbero non farcela lasciando in piedi solo “l’essenziale”. Per la gioia delle varie confindustrie, si suggerisce di allestire strumenti per “incentivare investimenti privati”. Se i piani previsti non sembrano arrivare a termine di fatto si sigleranno accordi con partner privati per trasferire i fondi. Si propone poi di spostare una parte dei fondi a InvestEu, il portale Ue che mette in collegamento progetti da realizzare e possibili investitori. Si propone poi di finanziare “Istituzioni bancarie nazionali” per realizzare progetti in linea con il Piano di resilienza e infine la ciliegina: “contribuzioni volontarie nazionali” al futuro Programma industriale di difesa europea (Edip) – che è nato con un finanziamento iniziale di soli 1,5 miliardi – da versare su base nazionale con fondi i cui beneficiari sarebbero poi gli Stati stessi. Un impulso netto all’industria militare forse maggiore, se gli Stati accettassero l’invito, a qualsiasi altro fondo previsto da Readiness 2030, il piano di riarmo europeo.
Le spese militari rientrano anche nelle raccomandazioni inviate ieri all’Italia nel Pacchetto di primavera del semestre europeo che monitora i conti pubblici. L’Italia non deve adottare ulteriori misure perché la traiettoria della sua spesa nett agenerale, dell’1,2%, è al di sotto dell’1,6% raccomandato dall’Ue generando una sorta di “tesoretto” dello 0,4% del Pil, circa 4 miliardi di euro. Ma, nonostante l’Italia “continui a presentare squilibri” e debba portare avanti importanti riforme – il sistema fiscale, l’ambiente, il catasto, etc. – Roma, secondo la Commissione, deve aumentare “la spesa complessiva per la difesa e la prontezza operativa”. Secondo le previsioni della Commissione la spesa per la difesa è prevista all’1,3% del Pil sia nel 2024 che nel 2025, ben al di sotto del 2% richiesto dalla Nato e ormai anche dalla Ue.
Infine sono state ieri richieste le deroghe al Patto di Stabilità per 15 dei 16 paesi che ne hanno fatto richiesta per le spese militari: Belgio, Bulgaria, Cechia, Danimarca, Estonia, Grecia, Croazia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Polonia, Portogallo, Slovenia, Slovacchia e Finlandia. La Germania presenterà il piano nazionale di bilancio entro fine luglio. La Commissione si pronuncerà dopo.
E questa sarebbe UE sognata dagli Italiani fondatori?
Che vergogna e vergogna per chi li ha votati!
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Sforziamoci un po’ la memoria: c’era in carica un Conte 1 e lo 0,2 % in più di aggravio della spesa programmata del DPF comportò una discussione animata durata settimane da parte delle autorità economiche EU e dallo schiamazzo dei nostri imbratta carta italiani.
Stessa cosa dicesi del programma green che ha tenuto banco in questi anni e che, giusto i sbagliato, è stato scantinato per fare posto al riarmo . Riarmo che non lapida solo risorse enormi ma prevede per essere realizzato un’ enorme consumo di energia con fonti fossili.
Non vorrei che in ultima analisi abbiano ragione coloro che dubitano della buona fede dei nostri governanti quando si stracciano le vesti parlando di effetto serra e della catastrofe imminente da esso provocabile .
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Ormai non c’è più niente da fare: anche al Fatto Quotidiano è partita la moda di prendere dati reali e piegarli alla propria narrazione, con buona pace dell’obiettività.
E non è una gran notizia per il giornalismo italiano, che già non se la passa benissimo.
Il punto è semplice: il PNRR ha ancora un bel po’ di soldi da spendere, ci sono delle scadenze precise e la Commissione UE sta spingendo gli Stati a usarli per i progetti per cui erano stati pensati.
Poi arriva la virata: Tridico se ne esce con la “definitiva trasformazione dell’economia europea in economia di guerra”.
Ora, che in Europa ci sia una spinta al riarmo è vero. Ma dire che siamo in piena economia di guerra è un’altra storia. O Tridico ha saltato il capitolo sull’economia di guerra quando studiava, oppure pensa che gli altri siano degli ingenui.
E la chicca: “per la gioia delle varie Confindustrie”. Ma davvero?
La Commissione propone (solo in caso di fondi che rischiano di non essere usati) di spostarli su InvestEU, un fondo che esiste già, per non perdere risorse. Non sono soldi aggiuntivi, ma alternativi a quelli gia’ stanziati e per salvare quelli che altrimenti andrebbero persi.
E poi, l’ultimo grande classico: la spesa pubblica fa crescere il PIL. Vero. Ma nessuno dice mai quanto costa.
È un po’ come andare al ristorante e dire: “Ho mangiato benissimo”. Ma nessuno chiede mai: “Sì, ma quanto ti è costato?”
Una volta al Fatto Quotidiano scrivevano ottimi economisti: Stefano Feltri, che è stato anche vicedirettore, Fabio Scacciavillani, Mario Seminerio (anche se per poco), e Chiara Brusini, che da tempo non si legge più.
Che fine hanno fatto?
Me lo chiedo perché i risultati si vedono eccome.
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