Si allargherebbero divari già oggi inaccettabili, con problemi di coesione sociale e unità nazionale

(di Chiara Saraceno – repubblica.it) – Forse era solo una bozza e doveva rimanere riservata ai senatori, perché ne facessero l’uso che credevano più opportuno nella discussione sul progetto di legge sull’autonomia differenziata. Ma è un bene che il parere dell’ufficio di bilancio del Senato sia diventato di dominio pubblico.
Perché conferma, da una posizione insospettabile di essere di parte, ciò che molti esperti sostengono da tempo: in un contesto come quello italiano dove sono enormi le diseguaglianze territoriali nella disponibilità di beni pubblici fondamentali – scuola, servizi per l’infanzia, sanità, trasporti, servizi per la non autosufficienza, per nominare solo alcuni – il trasferimento alle Regioni “differenziate” di larga parte del bilancio pubblico ora statale indebolirebbe ulteriormente una già troppo fragile e imperfetta cittadinanza comune. Allargherebbe divari già oggi inaccettabili, con problemi non marginali di coesione sociale e per la stessa unità nazionale.
Questo può apparire un rischio che vale la pena di correre a quei leghisti che da sempre vagheggiano una separazione, magari illudendosi di pesare di più a livello internazionale. Ma dovrebbe preoccupare chi, invece, anche e soprattutto nella maggioranza di governo, dell’enfasi sulla patria ha fatto la sua cifra.
Non c’è patria se non c’è appartenenza comune ad un Paese basata sul riconoscimento reciproco e solidale di diritti comuni. Si può, si deve, pretendere che i governi locali facciano buon uso delle risorse e che i cittadini rispettino le norme e si diano da fare secondo le proprie possibilità dovunque vivano sul territorio nazionale. Lo dice la Costituzione.
Ma la Costituzione dice anche che a tutti devono essere garantiti gli stessi diritti, non solo civili e politici, ma anche sociali. A questo serve il bilancio pubblico, a questo dovrebbe servire la definizione dei Lep, i livelli essenziali di prestazione, in tutti i settori. A questo dovrebbero dedicarsi il Parlamento e il governo: a definirli in un pubblico e trasparente dibattito coinvolgendo anche le diverse forze sociali e la società civile, e a garantirli nella formazione del bilancio pubblico.
Questa, non l’autonomia differenziata (e neppure la riforma costituzionale), dovrebbe essere la priorità di qualsiasi governo in un Paese come il nostro in cui le diseguaglianze territoriali sono enormi e si sovrappongono a quelle sociali.
È una responsabilità che dovrebbe assumere anche l’opposizione. Perché non è accettabile nemmeno la situazione esistente, dove autonomie di fatto (si pensi alla sanità) e incuria delle politiche pubbliche nazionali intrecciate con quelle locali (si pensi alla scuola o ai trasporti) disegnano una cittadinanza locale fortemente diseguale.
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