2020 – L’ex premier e il suo ministro oggi a Brescia. I punti: zone rosse in ritardo e piano pandemico. Giuseppe Conte e Roberto Speranza saranno interrogati oggi. Entra nel vivo l’inchiesta sulla gestione della prima […]

(DI URBANO CROCE E ALESSANDRO MANTOVANI – ilfattoquotidiano.it) – Giuseppe Conte e Roberto Speranza saranno interrogati oggi. Entra nel vivo l’inchiesta sulla gestione della prima ondata del Covid-19, condotta ora dal Tribunale dei ministri di Brescia al quale la Procura di Bergamo ha trasmesso gli atti. Le ipotesi di reato sono epidemia colposa aggravata e omicidio colposo plurimo. Ma l’ex presidente del Consiglio risponde della mancata istituzione della zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro, i due Comuni della Bergamasca che furono falcidiati dal virus, in concorso con il presidente della Lombardia Attilio Fontana e nove membri del primo Comitato tecnico-scientifico. L’ex ministro, insieme a dirigenti della Salute e del Cts, è invece indagato anche per rifiuto di atti di ufficio per la rinuncia ad applicare il vecchio piano pandemico del 2006.
Per Conte, difeso dall’avvocato Caterina Malavenda, la contestazione parte dal 2 marzo 2020. È la sera in cui, secondo un appunto fornito ai pm di Bergamo dall’ex coordinatore del Cts Agostino Miozzo, in una riunione informale il presidente dell’Istituto superiore di Sanità Silvio Brusaferro e altri esperti prospettarono al presidente del Consiglio la possibile chiusura dei due Comuni della Val Seriana, con le modalità molto rigide già adottate dal 23 febbraio in dieci Comuni del Lodigiano e a Vo’ Euganeo (Padova) subito dopo la scoperta del virus a Codogno. Conte, secondo l’appunto, rispose che “la zona rossa va usata con massima parsimonia perché ha un costo sociale, politico, non solo economico” e promise di “rifletterci”. Il 5 marzo Speranza firmò come proponente il decreto per chiudere i due Comuni e i carabinieri furono mandati in zona, ma il presidente del Consiglio non sottoscrisse il provvedimento e i militari tornarono indietro. Dalla sera del 7 marzo il governo chiuse la Lombardia e altre 14 province e dal 9 tutta l’Italia, sia pure con modalità meno rigide di quelle del 23 febbraio e senza fermare, all’inizio, le attività produttive.
Quando i pm di Bergamo lo sentirono per la prima volta come persona informata, Conte disse di aver saputo di Alzano e Nembro solo il 5 marzo: “Al termine del Consiglio dei ministri del 5.3.2020, mi è stato riferito che era pervenuta una mail, con allegata una bozza di Dpcm, una proposta di istituzione di zona rossa nei comuni di Alzano e Nembro”. Non sapevano ancora, i pm, dell’appunto di Miozzo, dove però si parlava anche di Cremona. E infatti Conte sostiene che i dati del contagio erano allarmanti anche in altre zone della Lombardia e dunque la situazione era diversa da quella che aveva portato alle prime zone rosse, quando si sperava di contenere focolai limitati. Davanti al collegio presieduto dalla giudice Mariarosa Pipponzi e alla presenza del procuratore di Brescia Francesco Prete, il leader M5S probabilmente dirà anche che chiudere in Val Seriana era più difficile rispetto alle aree pianeggianti del Lodigiano.
La difesa dovrebbe contestare anche la consulenza realizzata da Andrea Crisanti per i pm di Bergamo, cioè il modello matematico che ha stimato fra i 2.569 e i 4.148 i morti che si sarebbero potuti evitare nell’intera provincia orobica (su circa 6.200 morti in eccesso in sei mesi) disponendo la chiusura (totale), rispettivamente, il 3 marzo – primo giorno utile per Conte – o il 27 febbraio, quando il Cts – secondo gli inquirenti bergamaschi – aveva ricevuto i dati sufficienti per proporla. In realtà non fu mai questione di chiudere la provincia, ma per Nembro e Alzano il modello Crisanti ha calcolato 108 e 55 morti in meno. Un processo basato su un modello matematico, però, sembra piuttosto difficile anche da immaginare.
I numeri spiegati a Conte il 2 marzo li aveva anche Fontana, il presidente lombardo, almeno dal 28 febbraio, ma scrisse per due volte che non servivano altre misure e infatti per lui la contestazione è anticipata a quella data. E per i membri del Cts al 26. Erano i giorni in cui il Pd organizzava aperitivi sui Navigli e gli industriali bergamaschi diffondevano lo spot “Bergamo is running”.
Speranza, difeso dall’avvocato Guido Calvi che ha già mandato una corposa memoria a Brescia, risponde della mancata applicazione del Piano pandemico antinfluenzale fin dal 5 gennaio 2020, quando arrivò il primo alert dell’Organizzazione mondiale della sanità sulle polmoniti sconosciute in Cina, che richiamava le misure anti-influenzali. Il Piano non era stato aggiornato dal 2006 (su questo però procede il Tribunale dei ministri di Roma), ma conteneva misure per la sorveglianza (tamponi) e per la ricognizione di posti letto e dispositivi di protezione che, se attivate in gennaio, avrebbero consentito di scoprire il virus un po’ prima e di agire con più ordine, sia pure in una situazione senza precedenti. Speranza ha già spiegato che l’attivazione del Piano spettava al capo della Prevenzione (il coindagato Claudio D’Amario) e che il Covid non era un virus influenzale. Oggi dovrebbe anche sottolineare che l’alert del 5 gennaio era generico, il 23 gennaio l’Oms non aveva ancora proclamato l’emergenza internazionale e lo farà solo il 30, inducendo il governo italiano a bloccare i voli dalla Cina, a dichiarare a sua volta l’emergenza e ad affidare i relativi poteri alla Protezione civile, all’epoca diretta da Angelo Borrelli. Furono poi i tecnici Cts, ai primi di febbraio, a valutare anche implicitamente che il Piano 2006 non fosse applicabile perché privo di misure operative e a disporre l’elaborazione di un piano specifico, mantenuto riservato per non allarmare la popolazione.
Insomma, è un fatto che le misure di prevenzione furono attivate in ritardo, per lo più dopo la scoperta quasi casuale del primo caso italiano (il 21 febbraio) e che la zona rossa ad Alzano e Nembro sarebbe stata utile. I reati però sono un’altra cosa e deciderà il Tribunale dei ministri se qualcuno dev’essere processato. Per tutti, anche per i coindagati di Conte e Speranza. Così ha deciso la Procura generale di Brescia sulla base dei precedenti, ribaltando l’interpretazione dei pm di Bergamo. Il Tribunale potrà archiviare o trasmettere gli atti alla Procura affinché proceda, previa eventuale autorizzazione delle Camere per Conte e Speranza. A Bergamo restano solo i capi d’imputazione relativi all’ospedale di Alzano e alla gestione delle aziende sanitarie locali.
Ma fontanella che governava in quel periodo e governa ancora oggi le terre di giussano ne esce lindo e pinto 🤔
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Chissà se questo passa:
https://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=107301
Sulla Rivista:
https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(22)01585-9/fulltext
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Chissà se questo passa:

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