
(di Toni Capuozzo) – Nessuno dirà mai di no a un giorno di festa. Ma se guardiamo a un recente sondaggio, la Festa del Lavoro, il Primo maggio, non ha più ragione di esistere.
Secondo il 30,2% degli intervistati, è una festività priva di significato. Oppure – il 19,8% – un appuntamento solamente politico, e dal sapore sorpassato, vecchio: il 16,5%. Solo per un italiano su tre è una data che conserva il suo valore. Una specie di Quarto Stato, il dipinto che rappresenta operai e braccianti in marcia, che si rinnova ogni anno.
Non è difficile intuire i motivi di questo disamore: il lavoro non è più un diritto, nonostante la bella Costituzione italiana che lo afferma. È, spesso, specie per i giovani, sottopagato e svolto in condizioni non dignitose. E poiché si parla di giovani, si parla anche del futuro della nostra società: senza un lavoro sicuro, è difficile metter su famiglia, contrarre un mutuo per la casa, diventare pienamente adulti e indipendenti (e così contribuire al pagamento delle pensioni in un Paese sempre più anziano).
La realtà ci dice che tanti lavori sono cosa da immigrati, che si accontentano di salari più bassi e condizioni di lavoro più dure. E che la scolarizzazione di massa ha aumentato le aspettative di tanti diplomati, usciti da una scuola molto slegata dal mercato del lavoro. Eppure esiste un futuro a portata di mano, anche per il lavoro: la transizione energetica, la conservazione ambientale, la digitalizzazione del sapere, il turismo consapevole e cento altre sfide. Ma se si vuole salvare la Festa, bisogna salvare gli invitati, altrimenti è una Festa in cui non c’è più niente da mangiare, niente da bere, musica vecchia e facce annoiate.
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Vivo e lavoro negli USA. Non c’è paragone: se i nostri giovani sapessero le opportunità per lavorare qui, per un laureato, non ci sarebbe storia: ci sarebbe una emigrazione inarrestabile.
Certamente lo stile di vita è diverso, tuttavia ognuno ha una o più possibilità. Il nostro Paese è capace di generare solamente una gerontocrazia attaccata ai suoi privilegi, senza nessuna prospettiva. Un Paese governato da chi permette di mostrare striscioni con la parola DVX (in Friuli Venezia Giulia) , che permette ad un Presidente del Senato di dire sciocchezze su una pagina dura e difficile della ns storia ma che ci ha donato un afflato di speranza. Un presidente del consiglio che invece di essere inclusivo e curare il nostro futuro, è ammanettato ad un potere a cui non interessa dei nostri figli.
Che la Pietà e la Misericordia abbiano cura delle loro misere anime.
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Per quello che conosco degli US ( ho parenti ed amici lì), dipende da quale Stato si parla. Ma a quanto mi consta c’è molta più libertà di parola e di pensiero di quanta ci sia qui. Anche se mi dicono che con la scusa del politicamente corretto e dei media che contano tutti in mano Dem, le cose stanno cambiando da un bel po’. E mi dicono che il “razzismo” nei confronti dei Cinesi, ad esempio, stia montando.
Sicuro di vivere e lavorare negli US (dove?) gentile Andrea? Di solito chi vive laggiù ( o lassù) dice “Vivo in Calofornia” oppure “Vivo in Florida, in Texas, in Ohaio…”,. Sarebbe come dire “Vivo in Europa” e non in Italia, in Svezia,…ecc… Le diversità sono enormi.
D’ accordo sulle opportunità, ma per quanto riguarda i “nuovi” lavoratori a basso valore aggiunto – i più – con tutte le produzioni ormai trasferite all’ estero…
Le suggerisco una buona lettura: “The next shift” , Gabriel Vinant, Harvard University press, 2021). Poi mi dica cosa ne pensa.
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Vivo in Illinois e quello che scrivo , lo vedo dal vivo, non da qualcun altro, come mi pare lei faccia.
I lavori disponibili sono i piu’ disparati, dal top manager al saldatore, operaio.
Semplicemente non ci sono persone qualificate e disponibili; le remunerazioni sono incomparabili con l’Italia anche tenendo conto che bisogna pagarsi la pensione e l’assistenza sanitaria. Ci sono molti immigrati e lo spagnolo e’ oramai la seconda lingua.
Il vero problema e’ che negli USA le persone cambiamo lavoro continuamente verso remunerazioni piu’ alte e tutto cio’ e’ favorito dalle tante opportunita’ disponibili in tutto il Paese.
E’ anche vero che ci sono molti lavori sottopagati.
Non mi interessa dipingere gli USA come l’Eldorado, tuttavia mi affranta vedere l’Italia nelle condizioni in cui e’.
Saluti
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Ha ragione, Andrea, certamente dal punto di vista della classe medio-alta istruita le opportunità sono migliori e diversissime.
Ma ho una amica che lavora in una Charity in Pennsylvania, e mi descrive una situazione molto preoccupante ( mi ha consigliato il libro che le ho indicato). Dismesse le fabbriche ( le acciaierie soprattutto) e spostata la produzione all’ estero si campa di servizi, con i lavoratori precari, per lo più donne latine, sotto pagati, per nulla organizzati, lasciati allo sbando ed in balia del mercato. Che non ti lascia disoccupato, ma a che prezzo?
Ho anche un parente all’ Università della California che mi dice quello che indica lei, ed amici in Florida ( un discorso ancora diverso)…
Insomma, il bicchiere dipende sempre se lo si guarda dall’ alto o dal basso.
Anche da noi è così: c’è tanta gente piena di soldi le assicuro. Ancora di più dopo questa pandemia, in cui più che il virus ha fatto la speculazione (guerra compresa).
Il problema è che chi è pieno di soldi generalmente non si sa bene come li abbia fatti, mentre chi ha studiato e si impegna, se non “nato bene”, resta al palo o se ne va. Ascensore sociale pari a zero e si “accolgono” migranti per deprimere maggiormente gli stipendi e guadagnare in nero.
Ma andarsene è solo un alibi che dovrebbe zittire ogni commento: che hai fatto? Hai preso ( istruzione, welfare…) e te ne sei andato, regalando ciò che sei diventato ad arricchire un altro Paese. Insomma, un contributo non piccolo all’ impoverimento dell’ Italia.
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