Da leader di un partito antisistema come il Movimento 5 stelle al governo con la Lega, dall’alleanza con il Pd all’esecutivo di unità nazionale guidato da Mario Draghi, fino all’abiura del grillismo

(FEDERICO CAPURSO – lastampa.it) – Ancora lui, Luigi Di Maio. Ne era stata decretata la fine politica dopo il disastro elettorale del suo partito “Insieme per il futuro”, lo scorso 25 settembre, accompagnato dai ghigni di chi assaporava la sua uscita di scena, eppure eccolo risorgere in una veste nuova, l’ennesima della sua breve ma folgorante carriera: Inviato speciale dell’Unione europea nel Golfo. La lettera di nomina con cui l’Alto rappresentante della politica estera europea, Josep Borrell, lo definisce «il candidato più adatto», aggiunge una nuova tappa al percorso dell’ex golden boy di Beppe Grillo. Un viaggio fin qui condotto a velocità folle su strade tortuose, da leader di un partito antisistema come il Movimento 5 stelle al governo con la Lega, dall’alleanza con il Pd all’esecutivo di unità nazionale guidato da Mario Draghi, fino all’abiura del grillismo. E lui, Di Maio, sempre al centro di ogni nuovo equilibrio, di ogni manovra di palazzo, della responsabilità e dell’irresponsabilità istituzionale, dell’instabilità e della stabilità.
Chi sia davvero Luigi Di Maio, a dieci anni dalla sua entrata in politica, è ancora difficile dirlo. Se ne può cogliere però una parabola che qualcuno potrebbe chiamare “maturazione”. «Il più giovane della storia repubblicana», si è sentito dire spesso, da vicepresidente della Camera, da vicepremier, da ministro degli Esteri. Dieci anni bruciati in fretta, tra mille acrobazie, come un fuoco d’artificio impazzito. In grado di chiedere l’impeachment di Sergio Mattarella e di diventarne poi un punto di riferimento negli sforzi di stabilizzazione della legislatura. Nato in una forza politica che voleva l’uscita dall’Euro e dalla Nato, ma capace di trascinare quello stesso partito, una volta ottenuta la leadership, nel campo dell’europeismo e dell’atlantismo più saldi. Il giustizialista che per primo, senza imbarazzi, ha chiesto scusa per il suo giustizialismo. L’uomo che ha relegato errori come l’incontro con i gilet gialli in Francia a un passato che oggi sembra lontano anni luce, come appartenuto a un’altra persona. L’anti-élite trasformatosi in un fedelissimo alfiere di Mario Draghi. I suoi detrattori diranno che è stata la sete per il potere, l’anima camaleontica, eppure non può essere tutto qui.
Chi getta ciò che è stato Di Maio, ovvero tutto e il suo contrario, nello stesso calderone, perde di vista la traiettoria. La maturazione, dicevamo. La crescita decisiva avviene alla Farnesina, da ministro degli Esteri, tra i marmi bianchi in cui la diplomazia si muove in punta di piedi. Approdo fondamentale per la possibilità di estendere una rete di relazioni a cui Di Maio aveva iniziato a lavorare fin dal suo primo ingresso in politica. È qui che stringe un rapporto di fiducia e di amicizia con Borrell, lo stesso che oggi lo indica come «il migliore» per curare i rapporti con il Golfo Persico e che resiste alle pressioni dei paesi arabi che avrebbero gradito un altro nome, così come alle proteste del governo Meloni, infuriato per una scelta così lontana dai loro desiderata. Eppure eccolo lì, ancora lui, ancora Luigi Di Maio.
Bonocore bussa, gli apre Lo Turco con la barba finta.
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Ancora tu? Ma non dovevamo vederci più?
Dovremo ancora attendere per il premio che merita…
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La memoria è piuttosto corta, quella di certi giornalisti. Altrimenti avrebbe ricordato che la borderline è a quel posto anche grazie ai voti di Giggino. Bordell restituisce il favore per conto della capa. Tutto qua.
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C’è chi fa l’inviato speciale dell’Unione europea nel Golfo su mandato di Borrel e chi fa l’inviato speciale del Rinascimento per conto dei tagliagole arabi.
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Intelligente ma traditore.
Ha usato le speranze della gente per se stesso.
Niente di nuovo.
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Da parte mia piu’ che nel Golfo arabico….l’ avrei mandato nel “golfo dei nesci”…che noi genovesi conosciamo molto bene….!!!!
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