Il ministro dell’Interno reagisce con un comunicato da Malta alle indiscrezioni insistenti che lo danno in uscita dal Viminale. Il silenzio di Meloni e il gelo di parte del governo potrebbero segnare il destino del prefetto entrato in politica a colpi di gaffe

(di Alessandra Ziniti – repubblica.it) – ROMA – Fa finta di niente, continua a girare come una trottola per l’Europa, grandi manifestazioni di sicurezza sul quadrato che il governo è pronto a fare attorno a lui. Ma Matteo Piantedosi è un ministro sulla graticola. E sta cuocendo a fuoco lento, l’occhio vigile a ogni sguardo che intercetta, l’orecchio attento alle voci di dimissioni che galoppano da quando la neosegretaria del Pd Elly Schlein ha messo il carico da novanta alla richiesta già avanzata da altri nell’opposizione. Il silenzio di Giorgia Meloni lo inquieta, così come le sortite di colleghi come Lollobrigida, Balboni, voci inattese nella richiesta di chiarimenti sulla tragedia di Cutro. E così, mentre i boatos che lo danno in uscita dal governo, sostituito magari dallo stesso Lollobrigida, si moltiplicano, da Malta (dov’è volato per una riunione Med 5), Matteo Piantedosi sente la necessità di mandare un messaggio a tutti: opinione pubblica e soprattutto tiratori di fuoco amico. “Le voci di dimissioni messe in giro in queste ore sono completamente infondate”.
Una crepa nella maschera di sicumera che lo ha reso protagonista di episodi indimenticabili. Come quando, davanti agli allibiti giudici del tribunale dei ministri di Catania che chiedevano di mandare a giudizio per il caso Gregoretti Matteo Salvini (di cui in quel momento era il capo di gabinetto) disse: “Il Ministero dell’Interno non ha nessuna funzione di autorizzare gli sbarchi”. In quelle parole che negavano ogni evidenza c’è tutto Matteo Piantedosi: il tecnico preparatissimo, l’uomo furbo e cinico quanto basta che ha partorito l’idea di sequestrare centinaia di migranti su navi militari italiane in porti italiani, ma anche quello che oggi, all’angolo, difeso solo da Matteo Salvini, è finito sulla graticola come ministro, ambizioso ma assai meno accorto, frettoloso e fumantino tanto da non riuscire a tenere a freno la lingua e imbarazzare il suo governo.
A Piantedosi l’etichetta di ministro tecnico è sempre andata stretta. “Non può esistere un ministro non politico”, ripete a ogni intervista. Alle posizioni securitarie del centrodestra ha voluto mettere il suo sigillo con i due decreti partoriti nei cinque mesi del suo ministero: quello sui rave e quello sulle Ong, proposti come se i due temi fossero in cima alle emergenze del Paese. Un grossolano pasticcio il primo, che rischiava di punire come adunate sediziose persino le autogestioni nei licei (poi rivoltato in sede di approvazione in legge); messo all’indice dalle Nazioni Unite il secondo per il suo carattere vessatorio nei confronti della flotta umanitaria e ostacolo per i soccorsi dei migranti.
La sua storia di prefetto gli ha consegnato strumenti e abilità di gestire situazioni complesse, a cui aggiunge maestria nel tirarsi fuori dai guai in vicende di cui pure è il gran regista. Come il caso Diciotti, la nave della Guardia costiera bloccata dal Viminale al porto di Catania con 177 migranti a bordo, seguito dalle analoghe vicende della Gregoretti e della Open Arms. Scelte politiche rivendicate da Salvini e tradotte in strategia tecnica da Piantedosi che, indagato per gli stessi reati, si è visto sempre archiviare le accuse. Capace di dichiarare davanti a un tribunale che no, non era il Viminale il titolare della scelta di assegnare un porto sicuro alle navi di soccorso. Chissà se lo ripeterebbe ancora oggi Piantedosi che alla storia dei governi di questo Paese (fallita la strategia degli sbarchi selettivi) passerà anche per la cinica decisione di mandare le navi umanitarie nei porti italiani più lontani per costringere le odiate Ong a sostenere costi enormi delle missioni e mantenerle il piu lontano possibile dalla scena dei soccorsi nel Mediterraneo.
Qualunque sarà il futuro politico di Matteo Piantedosi, la grevità di fin troppe affermazioni ha fatto venire l’orticaria persino dentro la maggioranza di centrodestra alle prese con grossi problemi di comunicazione: i migranti in buona salute sulle navi umanitarie indicati come “carico residuale”, la “vocazione alle partenze”, l’irresponsabilità di “quei genitori che mettono in pericolo la vita dei loro figli” fino a quel “in queste condizioni non si parte” cambiato in corsa nell’improbabile appello ai profughi: “Fermatevi, veniamo a prendervi noi”, per non parlare dell’immaginifico obiettivo di “svuotare i centri di detenzione in Libia”.
Quel che ha fatto finora Piantedosi in Libia, come i suoi ultimi predecessori, è stato solo provare a stringere ancor di più i patti con il governo di Tripoli per finanziare la guardia costiera nelle cui fila si annidano noti trafficanti e travestire da soccorsi quelli che altro non sono che respingimenti all’inferno. Stringendo mani equivoche come quella del ministro dell’Interno libico Emad al-Trabulsi, già capo di una milizia, ospitato al Viminale una decina di giorni fa per l’organizzazione di una task force italo-libica, e fermato ieri all’aeroporto di Parigi con una grossa somma di denaro in valuta straniera.
se dimissioni avveranno, saranno per salvare il qulo al CAZZARO VERDE
non perchè il prefetto alias ministro sia indifendibile/incompetente,
lui obbedirà e gli daranno altri incarichi.
La pantomima del poliziotto cattivo e melona buona è una caxxata.
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