Le urne sono un deserto e ai partiti va bene così

Regionali, il centrosinistra non mobilita più l’elettorato e il partito del non voto penalizza anche la destra: una tendenza cominciata nove anni fa in Emilia. Finirà come sempre, i capelli strappati per l’astensione record, ma poi […]

(DI SALVATORE CANNAVÒ – Il Fatto Quotidiano) – Finirà come sempre, i capelli strappati per l’astensione record, ma poi nessuna azione concreta. L’astensione travolge la politica, ma alla politica in fondo non dispiace.

Il dato delle Regionali del 12-13 febbraio arricchisce la tendenza di due nuovi numeri sull’affluenza al voto: il 41,67% della Lombardia e il 37,19% del Lazio, un’astensione record del 60%. Come ricorda il deputato del Pd Federico Fornaro “nelle Regionali 2023 i votanti sono stati 5,1 milioni, mentre erano stati 8,9 milioni nelle precedenti Regionali del 2018”.

Strutturale. Come ricorda uno studio di OpenPolis, tra il 2008 e il 2022 “la quota di elettori che si sono recati alle urne si è ridotta di quasi 17 punti percentuali”. E se fino al 1987 il numero di astenuti si poneva comunque sotto il consenso dei due principali partiti, “nel 1992 per la prima volta il partito del non voto ha superato il secondo partito”. Ma è dal 2013 che “il non voto rappresenta la scelta più comune tra gli elettori”. Il 2013 è anche l’anno dello sconquasso elettorale prodotto dal Movimento 5 Stelle, la delegittimazione conclamata dei vecchi partiti e della vecchia classe politica. Una dimensione fondamentale, come vedremo, per capire il fenomeno, ma che presenta modalità tra loro diverse: la distanza dall’elettorato, la “stanchezza” della partecipazione politica, l’elemento di protesta o di disagio insito nel non recarsi alle urne.

La distanza. Ancora alla vigilia delle elezioni proliferavano gli “spin” dei dirigenti laziali del Pd secondo i quali una bassa affluenza avrebbe avvantaggiato il proprio candidato vista la maggiore fedeltà elettorale dei dem. Il disastroso risultato di Roma, città governata dal Pd e che ha registrato l’affluenza più bassa, 33,11%, dimostra la miopia di quei messaggini. Il coordinatore della campagna di Alessio D’Amato ha dovuto ammetterlo: “L’astensionismo ci ha dato un colpo forte, il centrosinistra non è stato in grado di portare al voto l’intera base elettorale”. La deputata Chiara Gribaudo offre la ricetta più logica, per quanto più difficile: “Ricostruiamo un’alleanza con i nostri elettori”. Ma si tratta di fare i conti con circa quindici anni di rottura con quell’elettorato, sempre più abbandonato e che non ha voglia di consegnare cambiali in bianco.

Ma l’astensionismo riguarda anche chi ieri ha vinto nettamente: la coalizione che fa riferimento a Giorgia Meloni. Vittoria percentuale che però deve misurarsi con il deserto partecipativo che coincide con una latitanza della convinzione e della delega ai nuovi presidenti di Regione. Oltre il 31% dei voti di Fratelli d’Italia nel Lazio, ottenuti con il 62% di astensione, corrisponde solo all’11,5% degli elettori attivi, mentre il successo di Fontana in Lombardia, rivendicato come frutto di buon governo e, udite udite, di buona gestione dell’emergenza Covid, rappresenta poco più del 20% degli elettori, quasi la metà di quello ottenuto nel 2018. Anche in questo caso, quindi, si registra un voto di distacco, di stanchezza e di protesta cumulati, frutto molto probabilmente anche della gestione della pandemia da Covid che non ha trovato altro modo di esternarsi.

La protesta. La situazione non è nuova, per quanto riguarda il Pd una chiara avvisaglia si era avuta nel 2014 alle Regionali dell’Emilia-Romagna, regione storicamente ligia elettoralmente quando si recò alle urne solo il 37,7% degli elettori. Allora, il segretario del Pd, Matteo Renzi, definì “secondario” quel dato e pochi mesi prima, alle elezioni europee di maggio, aveva fatto finta di non vedere che il “mitico” 40% del Pd fu ottenuto grazie a un’affluenza del 58,7% gonfiando a dismisura i voti ottenuti. S’è visto poi come è finita: l’abbaglio di avere il Paese nelle mani si è trasformato nella marginalità elettorale.

Ma i problemi riguardano, sia pure su altri versanti, il Movimento 5 Stelle. Sono lontani i tempi, novembre 2014, in cui Beppe Grillo poteva dire che “l’astensionismo in Emilia è il rigetto del cittadino per la politica” rassicurando che “l’astensionismo non ha colpito il M5S”. Anni dopo, con Giuseppe Conte, la preoccupazione sarebbe stata ben diversa: “È un dato che mi fa molto male – disse a commento del risultato delle Comunali romane del 2022 – quando il 60% dei votanti non va a votare è un dato che deve preoccuparci tutti”.

Quel dato emergeva dopo i cinque anni di governo di Virginia Raggi e interrogava un movimento che era passato molto rapidamente dalla fase “nascente” alla fase istituzionale e quindi interpellava chi si era candidato, con successo, a raccogliere il voto di protesta. Non è quindi un caso che l’astensionismo coincida anche con i cattivi risultati del M5S.

C’è un refrain comune alle diverse forze politiche secondo il quale l’astensionismo costituisce una minaccia per la democrazia. Ma si tratta anche di un fenomeno che rafforza una politica delle élite: quelle più istruite, informate, legate anche materialmente alla politica, lasciando fuori la maggioranza degli elettori spesso quelli a più basso reddito e meno istruiti. Una modalità della politica che non dispiace ai partiti in crisi, che si vedono premiare con uno sforzo molto minore. Per cui a parole tutti se ne lamentano, ma in fondo non dispiace a nessuno.

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3 replies

  1. La responsabilità potrebbe anche appartenervi per aver contribuito a fare apparire l’unica novità apparsa sulla scena politica nella seconda decade del 2000 come il solito partitella che voleva appropriarsi delle spoglie del vecchio PCI. Non era così e lo dimostra il fatto che ogni qual volta si comporta come organico del sinistrismo viene visto dagli elettori come cespuglietto del PD, come successe in Umbria, in Liguria e ora in Lombardia. Anche nel Lazio sarebbe successa la stessa cosa se Renzi e Calenda non si fossero opposti al suo ingresso nella coalizione di centro sinistra. Tuttavia i romani hanno capito che ormai Conte ha svuotato il movimento grillino dei suoi veri contenuti, anche se si è tenuto le cinque stelle. Ha poi emarginato quei grillini, come Virginia Raggi, che non si sono adeguati al suo credo.

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  2. NOTE SULL’ASTENSIONE- Viviana Vivarelli.

    Alle Regionali del 2018 votarono 8,9 milioni di elettori, a queste 5,1. Quasi 4 milioni di Italiani non sono andati a votare.

    Il fenomeno della massiccia astensione è iniziato 9 anni fa in Emilia (il che la dice lunga sul consenso al Pd e sulle sue scelte sbagliate. Ma continuiamo pure a candidare gente come Napolitano, Draghi, Renzi, Letta, Bonaccini, Casini…! E continuiamo pure a privilegiare capitalisti come De Benedeti!).

    Dal 1992 il partito degli astenuti è diventato il primo partito d’Italia, chiaro segnale della caduta della democrazia e della sfiducia dei cittadini verso tutti i partiti.
    I partiti sull’astensione ci vanno a nozze perché i peggiori saranno sempre votati dai più poveri, dai meno istruiti, da quelli plagiati alle tv o da quelli che difendono pelosi interessi.

    Una ripresa di fiducia si è avuto solo nel 2018 all’apparire del M5S che rompeva con la obsoleta forma-partito e restituiva la sovranità ai cittadini, primo atto di rispetto costituzionale. Con la svolta di Grillo e il partitismo verticistico di Conte, anche questa ripresa è crollata. Bisogna rendersi conto che un partito può identificarsi in una ideologia ma non può identificarsi solo in un leader.

    Astensionismo vuol dire abulia, stanchezza, disillusione, rifiuto.
    Un Governo che si regge sull’astensionismo esce da ogni democrazia e la sua è la vittoria di Pirro.

    Anche se la Meloni vanta effimeri successi, la gente si rende conto benissimo che sono aumentati la miseria, la precarizzazione, la malasanità, la corruzione pubblica, l’iniquità, il pericolo di una guerra terrificante, il malessere economico e non vede nessun partito realmente occupato a migliorare le cose mentre trova repugnanti gli aumenti di privilegi e immunità della Casta.

    Inutile elogiare Conte se continua ad appoggiare l’Agenda Draghi, a cercare il Pd, a proporre candidati del Pd, a dichiararsi atlantista, a ignorare le lesioni fatte continuamente alla Costituzione, a dare voti sbagliati in Parlamento, a non prendersi gli spazi in Rai che gli spettano, a non avere dei media propri, ma soprattutto se procede nel dissestamento del M5S come era alle origini, tagliando via via tutte le forme partecipative di democrazia diretta, che erano proprio quelle che avevano fatto del Movimento il primo partito d’Italia, mentre rende il Movimento sempre più uguale agli altri partiti, che ormai sono disprezzati dalla maggior parte degli Italiani.

    E’ persino inutile parlare del Pd e dei suoi errori fatali, delle sue dirigenze fasulle o delinquenziali o prettamente capitaliste, del suo allontanamento dalla base elettorale, del suo tradimento dei vecchi valori di classe, della sua costante transumanza verso la destra peggiore, della sua cencità e incapacità di proteggere i poveri, i lavoratori, le donne, i giovani… del suo servilismo verso gli USA, le multinazionali, il grande capitale. Credo la rielezione dell’inetto Letta, il perdurante renzismo, il suo forte sostegno a Draghi e candidati come Casini siano stati il colpo di grazia in fondo a tutte le sue manovre suici-e. Praticamente quella del Pd è stata una auto-eutanasia programmata.

    Riguarda alla Meloni, il suo partito ottiene il 31% dei voti nel Lazio, col 62% di astensione, e Fontana prende la metà del 2018, in caloma sempre troppi.

    Giuseppe Conte ha detto: “Quando il 60% dei votanti non va a votare è un dato che deve preoccuparci tutti”.

    Ma dove stavano i 5stelle quando a Roma c’era la Raggi? Qualcuno l’ha difesa? Non mi pare proprio.
    E dove è finita l’utopia di Gianroberto? Morta sotto il revisionismo partitocratico di Conte o sotto i voltagabbana a 5 stelle? Era stata l’unica formula vincente in un decennio di caduta della politica verso il basso. Doveva proprio essere rinnegata dagli stessi che dovevano difenderla?

    Non è quindi un caso che l’astensionismo coincida anche con i cattivi risultati del M5S.
    Ci sarà mai qualcuno che raccoglie l’eredità di Gianroberto e riprende il cammino interrotto della democrazia diretta? O pensate che il futuro sarà un tale aumento dell’astensionismo che alla fine i peggiori si voteranno da soli?

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