I giornalisti sognano la guerra più dei generali. Se quest’ultimi (vedi il generale Fabio Mini, il generale Marco Bertolini e altri) hanno preferito la cautela, autorevoli colleghi come Paolo Mieli, Gianni Riotta, Ezio Mauro, Aldo Cazzullo sono impegnati pancia a terra […]

(SALVATORE CANNAVÒ – Il Fatto Quotidiano) – I giornalisti sognano la guerra più dei generali. Se quest’ultimi (vedi il generale Fabio Mini, il generale Marco Bertolini e altri) hanno preferito la cautela, autorevoli colleghi come Paolo Mieli, Gianni Riotta, Ezio Mauro, Aldo Cazzullo sono impegnati pancia a terra a redarguire i pacifisti accusati di schierarsi a mezza strada tra l’aggressione russa e la difesa ucraina.
Anche se quelli in realtà si oppongono all’invio di armi dietro cui vedono il coinvolgimento della Nato, la loro posizione viene rappresentata tout court come filo-Putin. Riotta ha affibbiato loro l’appellativo di Putinversteher, quelli che se la intendono con il presidente russo. Il clima è questo.
I pensieri basici. Un punto alto dell’avversione, che rasenta il disprezzo, verso posizioni pacifiste integrali si è raggiunto giovedì sera a Piazzapulita contro la professoressa Donatella Di Cesare e il professore Alessandro Orsini accerchiati dai giornalisti con l’elmetto, Paolo Mieli e Mario Calabresi. “Il cinismo dei pacifisti”, spiega l’ex direttore del Corriere della Sera, che su questo tema aveva già scritto una chiara, ma non dichiarata, polemica con il direttore del Fatto Quotidiano, “è quello di chi dice agli ucraini ‘non vi aiutiamo per il vostro bene’”, una caricatura delle reali posizioni che si accoppia al sarcasmo con cui replica alle pacate analisi del professor Orsini. Mario Calabresi, dopo aver professato il suo fascino per chi vuole “comprendere perché i fenomeni accadono” a una Di Cesare che invita a comprendere tutte le motivazioni della guerra, risponde con un ragionamento che definisce “basico”: “Se uno ti spacca la testa con una mazza da baseball non è che stai lì a chiederti le sue ragioni”. E se la filosofa bolla come “propaganda” il ragionamento a base di mazze da baseball, subito interviene Mieli a redarguirla: “Non offenda, non parli di propaganda”.
Dibattiti da talk show, in cui lo scontro prevale sull’interlocuzione, ma che aiutano a cogliere il tono di fondo che nel migliore dei casi è un fraintendimento e più spesso è un’ipocrisia. Nessun pacifista ha detto, infatti, “né con Putin, né con Zelensky”, nessuno si è messo a metà strada tra i contendenti. Il dubbio sull’invio di armi rimanda al giudizio sulla Nato, all’inutile ruolo politico dell’Unione europea, alla disattivazione decennale di strumenti per la risoluzione delle controversie. E quello che dà fastidio ai giornalisti con l’elmetto è la messa in discussione del sancta sanctorum occidentale, la Nato come atto di fede, il ricorso alla guerra come soluzione sempre e comunque. Fu così nel 1991 in Iraq, nel 1995 in Serbia, nel 1999 in Kosovo, nel 2001 in Afghanistan, nel 2003 ancora in Iraq. Un refrain insistito che ha collezionato sconfitte, fallimenti ma riproposto all’infinito.
Gli insulti di Riotta. Per questo Riotta decide di maltrattare la nostra Barbara Spinelli, sottolineando come il suo saggio per il quotidiano Il Fatto venga rilanciato, con applausi, dai social media dell’Ambasciata russa a Roma, “Putinversteher con bollo diplomatico” (Repubblica). Un modo per infilarla a forza in una lista di filo-putiniani che aggrega no vax, sovranisti e intellettuali di prestigio (Massimo Cacciari, Lucio Caracciolo) e lei stessa, analista e intellettuale impegnata da sempre su limpide posizioni progressiste.
Spinelli, però, è colpevole di aver criticato la strategia di allargamento a Est della Nato, nonostante la tesi sia stata elaborata dal fior fiore del pensiero geopolitico statunitense.
Mauro senza pace Lo stesso atteggiamento viene scaraventato contro il pacifismo sceso in piazza il 5 marzo a Roma. Scrive Ezio Mauro: “La ‘neutralità attiva’ di fronte all’evidenza dell’aggressione di Putin all’Ucraina è una formula non soltanto sterile, ma ingannevole, dunque sbagliata”. E “rifiutando di vederla, noi rimettiamo in cammino l’eterno fantasma d’Europa: il quinto Procuratore della Giudea, il cavaliere Ponzio Pilato”. Pacifisti che se ne lavano le mani, l’accusa più infida.
Posizione ripresa dal Corriere della Sera, che ha schierato nei giorni scorsi un tridente composto da Antonio Polito, Aldo Cazzullo e il già citato Paolo Mieli.
Polito punta il dito Antonio Polito alle posizioni pacifiste risponde: “La frase chiave di questo argomento dice: ‘La pace è più importante di tutto, anche della libertà’. È più o meno ciò che pensava la folla plaudente che accompagnò nel 1938 Neville Chamberlain, premier britannico, alla partenza per la Conferenza di Monaco”. Il paragone con Hitler e i Sudeti è immancabile, come se Putin avesse già scritto un suo Mein Kampf e avesse il piano segreto di conquistare l’intera Europa. Ma c’è anche un altro scioglilingua che in certa stampa rappresenta un evergreen, “la riedizione di un vecchio e famigerato slogan degli anni di piombo, ‘né con lo Stato né con le Br’ (ancora Polito). Calabresi a Piazzapulita lo declina a modo suo: “Mi ricordate quelli che giustificano le Brigate rosse con la strage di piazza Fontana”. Tic e riflessi di un modo di ragionare che è sempre lo stesso, liquida i dissensi schiacciandoli su posizioni mai espresse e rinvia a schemi incistati della storia italiana.
Deinde filosofare Aldo Cazzullo, ancora sul Corriere, la liquida in modo “basico”, come direbbe Calabresi: “La guerra di Putin uccide ogni giorno decine se non centinaia di vecchi, donne, bambini; ma noi filosofeggiamo, poiché non esistono il bene e il male, il torto e la ragione, il bianco e il nero; esiste solo il grigio, in cui tutto può essere giustificato”. Nessuno in realtà giustifica la guerra, solo chiede di affrontarla in altro modo che non sia l’escalation della guerra stessa. Poi si passa a una retorica da vecchia sinistra che dovrebbe convincere gli attuali ‘compagni che sbagliano’, vedi la Cgil o l’Anpi.
W la Resistenza Per Luigi Manconi, ancora Repubblica, i ragionamenti che rifiutano di fornire armi mostrano una logica per la quale “si sarebbe dovuto rinunciare a gran parte delle azioni armate della Resistenza”. Ragionamento simile a quello di Adriano Sofri (Il Foglio) che paragona l’invio delle armi all’Ucraina alla sottoscrizione organizzata da Lotta Continua nel 1973 per inviare armi al Mir cileno contro il golpe di Augusto Pinochet.
Ma Pinochet rappresentava un colpo di Stato interno, che apriva una fase di guerra civile (in realtà rapidamente soffocata) mentre sulla Resistenza Alessandro Portelli (il manifesto) ricorda molto chiaramente che gli Alleati che fornivano armi ai partigiani “erano già in guerra con la Germania, la guerra la stavano vincendo e, particolare non secondario, avevano già ‘gli stivali sul terreno’”. La Nato i “boots on the grounds” non li ha ancora, ma in realtà il desiderio inconfessabile dei giornalisti con l’elmetto è questo. Più oltranzisti dei generali.
Troppo comodo accusare chi non la pensa come te di essere colluso con il nemico. Intanto il nemico è colui che ci sta di fronte con il fucile puntato e questo non mi sembra sia il caso nostro. Semmai la questione è sorta anni orsono quando Mieli e company se ne fottevano delle inclusioni nella Nato dei paesi dell’ex patto di varsivia e delle tre repubbliche baltiche ex sovietiche come non gli interessava affatto delle persecuzione dei russi nel Donbass. Tutte le nostre guerre con bombardamenti ,invasioni,repressioni non erano conflitti armati ma operazioni di pace per Mieli che oggi soffre per i morti ucraini ma non andrà a combattere lui sul fronte in caso si arrivasse a una guerra mondiale.
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Per chi ha solo certezze.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/03/09/rispetto-alla-russia-lunica-vera-certezza-sono-i-troppi-dubbi/6519932/
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aggiungo questo, per riflettere
https://www.libreidee.org/2022/03/mini-ucraina-e-nazisti-russia-sotto-attacco-nato-dal-1997/
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Molto interessante, lettura consigliata. Grazie
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Mi hai preceduto, Adri
👏🏻👏🏻👏🏻
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‘I giornalisti sognano la guerra più dei generali.’
esatto
altrimenti Cannavò dovrebbe scrive di ricette o di cucito, e invece…
pontifica di guerra o di pace
l’ho scritto più volte che i giornalisti, a Putin, dovrebbero accendergli delle candele votive
una mattina si e l’altra pure
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Ma Janukovyč rappresenta un colpo di Stato interno,
che ha aperto una fase di guerra civile (poi sfociata in guerra di posizione regionale)
ti piace riscritta così, Cannavò?
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“Dibattiti da talk show” a me sembrano più dibattti da Bar Sport dopo il quinto cognacchiono…
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Fake shows, infatti
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ma noooh…!
ai giornalisti con l’elemtto e al guinzaglio dei potenti, guerrafondai col cu… degli altri, di cognacchini ne bastano al massimo, massimo un paio…!!!
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“Ministro ucraino Kuleba: “1.582 le vittime civili ucraine in 12 giorni di guerra”
Sono 1.582 le vittime civili ucraine in 12 giorni di guerra. Lo scrive su twitter Dmytro Kuleba, ministro degli Esteri di Kiev. “Incapace di sconfiggere i nostri soldati Putin attacca le persone disarmate. Abbiamo bisogno di aerei per bloccare i crimini di guerra russi”, aggiunge.”
a parte che, viste le forze in campo, sarebbero anche poche, a sentire moltissimi militari;
secondo la lettura del governo ucraino
Noi “NATO” dobbiamo soccorrere loro, scatenando una probabile guerra anche nucleare, perchè stanno sacrificando la loro popolazione per le loro manovre politiche.
Insomma spegnere il fuoco con l’alcool.
Invece di fermarsi, anche uniteralmente, per poi chiedere il soccorso diplomatico dell’occidente, vogliono più guerra, più sangue, più distruzione.
Che la loro mente sia confusa e devastata lo posso anche capire, ma che lo sia anche quasi tutta l’informazione, è desolante e sconfortante.
Anche la radio non si può più sentire, è solo un megafono.
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MENTANA
“Il Battaglione Azov non è un battaglione neonazista”
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Oggi non riesco a mettere i like, se non ogni tanto. Che succede?
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Ecco, adesso si è sbloccato… se dura.
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