(Bartolomeo Prinzivalli) – Ve lo ricordate quando la ministra Cartabia, incalzata (si fa per dire) dai giornalisti, disse che non era il momento di modificare la riforma vigente? Io sì, ma soprattutto ricordo le urla di gioia scaturite da tale dichiarazione, la convinzione che l’accettazione di far parte di quella cloaca a cielo aperto fosse stata una mossa geniale, gli “urrà”, i “la spazzacorrotti è salva”, i “ve l’avevamo detto”, i “menomale che abbiamo stato noi che di politica ci capiamo assaissimo”, i “rosicate malpancisti”. D’altro canto era il periodo del Draghi grillino, del Cingolani iperecologico transizionato con scappellamento a destra, dei vigilantes che avevano ogni cosa sotto controllo. Ma nella lingua italiana quanto si dice “non è il momento” significa solo rimandare una decisione, non metterci una pietra sopra, perché ad un certo punto poi quel momento arriva. È successo anni fa col TAV, non è una novità. Ed eccoci qui. Oggi questa porcata, osteggiata da chiunque capisca un minimo di giurisprudenza senza trarne possibili benefici personali, è pronta a divenire legge dello stato ricorrendo all’espediente della fiducia. Ma bisogna fare attenzione, non è apparsa all’improvviso dal nulla, trovata sotto un cavolo o portata dalla cicogna, è arrivata così com’è dopo l’iter di passaggio nella commissione preposta dov’è stata emendata, limata, modificata e plasmata fino a diventare la porcheria che è stata accettata da tutti al CdM, con buona pace dei vigilantes che nel frattempo erano intenti a grattarsi le chiappe comode o assorti a sognare il 2050.Oggi l’ennesima presa per il culo con la fiducia in bianco salvo futuri aggiustamenti, a posteriori o per meglio dire postumi, come quando al bimbo che piange davanti alla gelateria perché vuole un cono si dice “per ora no, al ritorno ci passiamo”.

E pensare che anche nel fiabesco quesito pro ammucchiata questo, al pari della chimera ecologica, fosse un punto non trattabile, imprescindibile.

Ma forse era anche quello un momento differente…