Idee che governano, visioni che dividono

(di Gianvito Pipitone) – Associare i protagonisti della geopolitica contemporanea ai grandi filosofi della storia può sembrare un ozioso gioco da intellettuali in cerca di metafore, una provocazione da seminario universitario o, al peggio, un esercizio sterile. Eppure, è sorprendentemente istruttivo. E, diciamolo, anche piuttosto divertente.
I leader di oggi non si limitano a governare: vogliono incarnare un’idea, diventare il volto di una visione del mondo, il simbolo vivente di un principio filosofico. Non basta più amministrare bilanci o firmare trattati: bisogna rappresentare un destino, recitare una parte, costruire una narrazione forte. In questo, la filosofia — quella che interroga il potere, non quella che lo serve — diventa uno specchio prezioso. A volte deformante, a volte rivelatore.
Non si tratta di caricature né di esercizi scolastici, ma di un viaggio tra idee che oggi governano, dividono, seducono e spaventano. E, troppo spesso, purtroppo uccidono.
Se Machiavelli avesse osservato Donald Trump, avrebbe sorriso con compiacimento. Il “Principe” americano non è un’anomalia, ma la conferma che la politica, svincolata dall’etica, diventa spettacolo, calcolo e istinto di sopravvivenza. Trump parla alla pancia del popolo con slogan essenziali, nemici ben definiti e promesse roboanti. Non cerca coerenza, ma efficacia. Cambia posizione, contraddice se stesso, ma resta sempre al centro del palcoscenico. Machiavelli lo avrebbe definito maestro nell’arte di simulare e dissimulare: paciere in apparenza, bombardiere in pratica; difensore della pace, ma solo dopo averla minacciata. La sua strategia non mira al bene comune, ma alla stabilità del proprio dominio. “È meglio essere temuti che amati”, scriveva Machiavelli. Trump, amato da alcuni, si assicura di essere temuto da tutti. Non per la finezza delle sue analisi, ma per il peso del Paese che rappresenta.
D’altro canto, Vladimir Putin incarna con inquietante precisione la visione hobbesiana dello Stato-leviatano. Ex funzionario del KGB, uomo dai silenzi strategici e dallo sguardo glaciale, Putin non governa: sovrasta. La sua Russia non è una democrazia imperfetta, ma un sistema di controllo assoluto, dove la paura è moneta corrente e la lealtà è il prezzo della sopravvivenza. Hobbes sosteneva che, senza un’autorità forte, l’uomo diventa lupo per l’altro uomo. Putin ha preso alla lettera questa massima, trasformando la sicurezza in giustificazione per la repressione. La sua geopolitica riflette una visione hobbesiana del mondo: l’Occidente non è interlocutore, ma minaccia. NATO, UE e democrazia liberale sono percepite come agenti del caos. Putin non è un’anomalia, ma la risposta autoritaria a un mondo disorientato, il riflesso oscuro di un bisogno di ordine che contagia le democrazie occidentali.
In modo diverso, Xi Jinping agisce come se la storia avesse già deciso e lui ne fosse l’interprete più fedele. Dietro la sua sobrietà si cela una visione hegeliana del potere: la Cina come sintesi di passato imperiale e futuro globale. Non rinnega Mao, non abbandona Confucio, non respinge il capitalismo: li assorbe, li fonde, li governa. Belt and Road Initiative, controllo tecnologico, diplomazia silenziosa: tutto parla di una razionalità che si realizza senza clamore, ma con precisione chirurgica. Xi non ha bisogno di gesti eclatanti: lascia che le strutture storiche parlino per lui. Il suo potere non è nel carisma, ma nel sistema.
Allo stesso modo, Ursula von der Leyen incarna l’Europa kantiana: rigorosa, normativa, etica. L’imperativo categorico in tailleur. La sua visione è quella di una civiltà fondata sulla legge, sulla dignità, sulla pace perpetua — anche se armata. Ma come spesso accade con Kant, la bellezza del sistema è inversamente proporzionale alla sua applicabilità. L’Unione Europea, sotto la sua guida, si muove con la grazia di un elefante in una biblioteca: tutto è regolato, tutto è ponderato, ma nulla vibra davvero. Eppure, non cerca il consenso facile, non cede alla retorica populista, non gioca con le emozioni. Ma l’etica da sola non scalda i cuori: l’Europa ha bisogno anche di anima, di voce, di coraggio.
Allo stesso tempo, accanto ai grandi titolari del potere planetario si affacciano outsider della geopolitica: inquieti, ambiziosi, pronti a cogliere ogni spiraglio che la Storia concede. Non sempre dettano l’agenda globale, ma spesso ne alterano il ritmo. Alcuni si muovono con discrezione, altri con fragore. Tutti aspirano a qualcosa di più: non solo governare, ma incarnare un’idea.
Mohammed bin Salman, ad esempio, è il Platone del deserto. Vision 2030 crea una Repubblica ideale in cui il filosofo-re recluta i sofisti come consulenti. Ordine, gerarchia, modernizzazione: ma senza libertà la giustizia resta incompleta. La rivoluzione dall’alto è più immagine che sostanza.
Recep Tayyip Erdoğan è invece un Nietzsche anatolico: non si accontenta di governare, ma vuole rifondare il senso stesso della Turchia. L’Impero Ottomano come eterno ritorno, la democrazia come ostacolo, l’opposizione come errore. Non chiede approvazione: impone visioni, crea valori, celebra se stesso come mito vivente.
Narendra Modi appare come un Rousseau rovesciato: dove il ginevrino cercava la volontà generale come bene comune, Modi la trasforma in volontà maggioritaria, nazionale e identitaria, sacrificando le libertà individuali sull’altare del collettivo.
Infine, i populismi sudamericani — da Castro a Maduro, da Lula a Milei — non si impongono tanto per il loro peso strategico, quanto per la sorprendente abilità di tingersi del potere evocativo della filosofia. Marx diventa icona tropicale, brandito come vessillo, mentre la dialettica si fa machete e la rivoluzione ingrassa i capi. Tra sinistre che assomigliano a destre e destre travestite da ribelli, il continente recita il dramma di una rivoluzione incompiuta.
A questo punto, viene naturale chiedersi dove conduca il pensiero quando il potere si traveste da idea. Tutti questi leader non sono solo comparse. Sono filosofi mascherati da statisti, pensatori in uniforme, registi occulti di una sceneggiatura globale. A che serve la filosofia se i padroni del mondo dirigono la scena, ne riscrivono i dialoghi, alterano il copione, cambiano le regole senza attendere il consenso di nessuno?
Chissà. Forse la filosofia non deve opporsi al potere né farsi sua ancella, ma insinuarsi con discrezione, disturbare senza clamore, aprire varchi dove tutto sembra già deciso. Non per offrire risposte, ma per restituire il diritto alla domanda.
E forse, più che nei leader, la filosofia può e deve servire ai cittadini che non cercano verità assolute, ma che accettano il rischio di pensare in maniera critica. Anche soltanto per una domanda che costringe a guardare meglio. A cos’altro, se no?
Associare governanti a filosofi… capiamo possa turbare menti ormai corrose da oltre tre secoli di imperio scientifico… dovrebbe viceversa essere norma in società tesa a reale benessere generale!…!!…https://ilgattomattoquotidiano.wordpress.com/
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Un accenno al fatto che il sistema su cui si fonda il potere di Xi è anche parecchio repressivo però sarebbe opportuno.
Con tutte le lentezze che ha, il sottostare ai “poteri forti” ecc. ecc. mi tengo i sistemi occidentali, nei quali almeno il leader non governa indisturbato per un tempo indefinito. E se ti opponi, non è che passi dei guai, muori proprio all’istante.
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Amico Pipitone,tutto molto simpatico, ma l’ultimo paragrafo l’hai fatto leggere al direttorissimo
Sri Mahraji Marcolino satchitananda Travagliokrishna?
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Era troppo impegnato a rivedere il gol dei greci:
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no era alle prove della FESTA DEL FATTO QUOTIDIANO
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I risultati danni ragione agli autocrati visti i miglioramenti non di poco conto delle condizioni economiche dei propri cittadini . Evidentemente la possibilità di programmare le scelte a lungo termine e imporle autorevolmente comporta vantaggi e assicura risultati positivi se la gestione è nelle mani di raziocinanti e non fanatici. Le democrazie apparenti finiscono in mano ai cultore del profitto che ubbidiscono a logiche della ricerca del consenso quindi diventano schiavi della demagogia e delle lobby con indebitamenti insostenibili
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Ursula von der Leyen incarna l’Europa kantiana: rigorosa, normativa, etica. L’imperativo categorico in tailleur. La sua visione è quella di una civiltà fondata sulla legge, sulla dignità, sulla pace perpetua — anche se armata.
Eeeh? Quella… incarnerebbe… vogliamo scherzare G.P.?
Una che spende 30 miliardi nostri per mettere vaccini nel carrello, ordinati con sms (poi cancellati).
E adesso ci vuole spremere il 5% per armare un esercito che non esiste.
Questa sarebbe rigorosa, normativa, etica… ma questo Pipitone su quale giornale scrive? Forse era un articolo ironico?! (l’ho solo scorso in fretta)…
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quando ho letto la parola etica mi sono fermato.
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