(di Milena Gabanelli e Simona Ravizza – corriere.it) – Non serve ribadire che abbiamo un problema di assistenza sanitaria sul territorio. È accertato. Per dare ai cittadini un punto riferimento a cui rivolgersi per le prime necessità senza intasare inutilmente i Pronto Soccorso sono stati messi 2 miliardi di euro del Pnrr nella costruzione di almeno 1.350 Case di Comunità.

Una ogni 40-50 mila abitanti (qui), con il vincolo a ultimarle entro giugno 2026. Sono strutture pubbliche dove ci lavoreranno medici di medicina generale, pediatri, ostetrici, lo psicologo, infermieri di famiglia, un assistente sociale, 5-8 figure sociosanitarie e amministrative (Dm 77 del 23 maggio 2022, pag. 26). A regime il costo annuo previsto per il personale ammonterà a 685,6 milioni, già indicati dalla Legge di bilancio 2022 (art. 93 pag. 208).

Il cronoprogramma

Gli accordi firmati dalle Regioni con il ministero della Salute stabiliscono dove e come verranno realizzate le Case di Comunità. I progetti, approvati in tutte le sedi, sono partiti a tambur battente a giugno 2022

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Il cronoprogramma che accompagna la realizzazione degli obiettivi del Pnrr prevede che entro dicembre 2023 ci sia la firma dei contratti d’appalto per la loro costruzione o, nel caso di edifici già esistenti, per la ristrutturazione. Come sta procedendo la tabella di marcia? Questi sono i dati dell’ultimo rilevamento Agenas-ministero della Salute di luglio 2023: 1.097 gare d’appalto aperte 96 contratti già firmati, 173 vicini alla firma. Il totale fa 1.366 perché i progetti sono un po’ di più delle Case di Comunità previste dal Pnrr in modo tale che, se qualcuno si arena, l’obiettivo delle 1.350 può essere comunque centrato.

Cosa dice la revisione del piano

Lo scorso 27 luglio il ministro Fitto presenta la proposta di revisione del Pnrr: a causa di un aumento dei costi nell’edilizia fra il 24 e il 66% il governo Meloni decide di ridurre il numero di Case di Comunità da realizzare con i fondi Ue da 1.350 a 936 (qui). Alle Regioni non è ancora dato sapere ufficialmente in base a quali criteri il ministro Fitto abbia fatto i calcoli. L’ipotesi più accreditata è che il numero sia stato tarato sulle Case di Comunità per lo più da ristrutturare e non da costruire ex novo. È quanto è possibile intuire leggendo le proposte per la revisione del Pnrr di Fitto dove c’è scritto: «L’impatto sul cronoprogramma dei lavori è maggiore per le nuove costruzioni rispetto agli interventi di ristrutturazione di edifici esistenti. In particolare, i primi richiedono iter approvativi molto più lunghi (permesso a costruire vs. SCIA, ad esempio); richiedono opere propedeutiche, come demolizioni, scavi, spostamento sottoservizi, allacciamento reti, ecc., generalmente assenti negli interventi di ristrutturazione». La rassicurazione del governo Meloni è che le 414 che escono dai finanziamenti del Pnrr saranno realizzate attingendo ai 10 miliardi di euro destinati all’edilizia sanitaria, cioè alla costruzione di nuovi reparti, messa a norma, acquisto di nuove attrezzature. Alla cifra di 10 miliardi si arriva considerando i soldi stanziati dall’88 ad oggi e non ancora spesi. Se poi dai 2 miliardi del Pnrr per le Case di Comunità avanzassero risorse verranno investite per i poliambulatori, intesi come muri e non all’interno di una riforma sanitaria, con la riproposizione di un modello che si è già dimostrato inefficiente. Una virata difficile da comprendere. A questo punto si pongono almeno tre problemi.

Gare aperte senza finanziamenti

Le gare d’appalto delle Regioni sono tutte in corso d’opera e l’accesso ai finanziamenti deve essere immediato, mentre quelli per l’edilizia sanitaria hanno tempi lunghi perché passano dagli accordi di programma, e il loro iter burocratico è lungo e complesso. Bisognerebbe fare un emendamento che sposti una fetta di risorse dall’edilizia sanitaria per renderle subito disponibili per le 414 case di comunità, altrimenti rischiano di finire su un binario morto, come si legge nel testo della proposta Fitto («Per gli interventi parzialmente espunti dal Piano si propone la piena realizzazione secondo tempistiche che potranno essere successive a giugno 2026», qui pag. 105).Con il paradosso che rischiano di saltare quelle di nuova costruzione, ossia le più urgenti perché sono da tirar su nelle aree più sguarnite del territorio, soprattutto al Sud. Come, ad esempio, in Campania dove le Case della Comunità potrebbero diventare 55 a fronte delle 172 programmate. E questo incide su uno dei principi cardine del Pnrr, ossia «il riequilibrio tra territori», che potrebbe non essere rispettato.

Ospedali fatiscenti

Il secondo problema è che se togli i fondi destinati a sistemare gli ospedali per metterli chissà quando nelle Case di Comunità non hai migliorato niente. E le strutture ospedaliere carenti e fatiscenti, con cui loro malgrado tutti i pazienti si confrontano, sono destinate a rimanere tali. Per risolvere il problema dell’aumento dei costi qualche Regione propone di rimodulare i progetti delle case di comunità in base ai soldi del Pnrr disponibili, anziché ridurle. Per esempio: invece di fare un edificio a tre piani, al momento completarne due. Proposte inascoltate.

Ospedali di Comunità e Cot

Con le stesse motivazioni dell’aumento dei costi dell’edilizia, il piano di revisione del Pnrr dello scorso luglio taglia anche il numero di Ospedali di Comunità, le strutture pensate per pazienti a bassa intensità di cura, ossia che hanno bisogno di restare ricoverati ma che non sono più acuti e che dunque potrebbero liberare posti letto negli ospedali veri e propri. Per realizzarli entro il giugno 2026 l’Ue ci dà 1 miliardo di euro. Adesso Fitto prevede che il loro numero scenda da 400 a 304, 96 in meno. Con conseguenze paradossali: per esempio in Lazio, per risolvere il problema di dove mettere i pazienti a causa degli ospedali sovraffollati, è appena stato concluso un accordo con i privati accreditati per acquistare disponibilità di posti letto a 500 euro a giornata, quando il costo di gestione giornaliero effettivo per un Ospedale di Comunità pubblico è di 150 euro. Ci sono poi le Centrali operative territoriali (Cot). La loro funzione è di coordinamento e collegamento dei vari servizi sanitari territoriali, agevolando lo scambio di informazioni tra gli operatori sanitari. Il finanziamento previsto dal Pnrr è di 103,85 milioni di euro, per la realizzazione di almeno 600 Centrali, ma adesso Fitto le riduce a 524 (76 in meno), facendo slittare anche i tempi di entrata in funzionamento: non più giugno, ma dicembre 2024. Anche per gli Ospedali di Comunità e le Cot escluse dai finanziamenti del Pnrr è previsto l’utilizzo dei fondi destinati all’edilizia sanitaria.

I medici di famiglia

C’è poi il terzo nonché eterno problema: a tenere in piedi le Case di Comunità dovrebbero essere i 42 mila medici di famiglia, che però di uscire dai loro ambulatori sembrano non volerne sapere, neppure per le sole due ore al mese a testa come previsto dalla Legge di bilancio 2022. Se non si trova un accordo i medici possono rifiutarsi perché sono liberi professionisti convenzionati con il sistema sanitario a cui dunque nessuno può dire cosa fare. Dopo i mesi più drammatici dell’epidemia di Covid sul tavolo dell’allora ministro Roberto Speranza c’era l’ipotesi di farli passare da liberi professionisti a dipendenti: una soluzione che poteva trovare la disponibilità dei giovani medici almeno per i nuovi ingressi. Ma è mancata la forza politica per varare la riforma. In autunno dovrà essere rinnovato il loro contratto triennale e sarà dirimente quello che verrà stabilito in quella sede. Altrimenti il piano per potenziare le cure sul territorio, di cui l’Italia ha gran bisogno, ma che il governo Meloni non ha mai mostrato di amare, finirà di fatto smantellato in culla.

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