IL MALTERRITORIO (O MALGOVERNO) – Almeno 14 morti. Migliaia di sfollati, 750 sono bimbi. Lugo allagata. Pichetto attacca gli ambientalisti: “Sanno soltanto dire no”

(DI NATASCIA RONCHETTI – ilfattoquotidiano.it) – Il terzo giorno dopo il terremoto d’acqua, per dirla con il presidente della Regione, Stefano Bonaccini, l’onda lunga delle piene dei corsi d’acqua della Bassa ha continuato a scorrere e ha allagato anche Lugo di Romagna e Cervia. Ed è salito a 13 il numero delle vittime: 5 i morti accertati nel Ravennate ieri. A questi si aggiungono le vittime comunicate mercoledì dalla Regione Emilia-Romagna: otto. Una persona è ancora ufficialmente dispersa. Si muove anche il governo. Martedì 23 maggio il Consiglio dei ministri dichiarerà lo stato di calamità, mentre è stato annunciato il blocco dei mutui e delle riscossioni tributarie nei comuni colpiti dall’alluvione. Il ministro della Protezione civile Musumeci promette altri 20 milioni di euro, mentre Bonaccini chiede un commissario straordinario. Un incarico che potrebbe essere affidato al governatore stesso. Per gli interventi strutturali, di cui si dibatte come sempre accade dopo ogni calamità, si vedrà, ma intanto il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, ha trovato i primi colpevoli: gli ambientalisti, quelli che “vivono nel loft al ventesimo piano del grattacielo”. “Bisogna superare la questione del sempre no – ha detto ai microfoni di Radio 24 –, del non voler nessuna opera, dobbiamo trovare il punto di equilibrio della convivenza dell’uomo con la natura e quindi ci sono delle opere che vanno fatte, vanno fatte le dighe che servono, le grandi vasche di laminazione, gli argini in alcuni luoghi e quindi create le condizioni perché possa vivere anche l’uomo”.
Ma come è potuta accadere una simile tragedia? Percorsa a Nord dal grande Po, attraversata da decine di fiumi, torrenti e da canali di scolo, con una storia alle spalle di grandi bonifiche, l’Emilia-Romagna è altamente ingegnerizzata e altrettanto fragile. Esposta al rischio di alluvioni e dissesti, è però anche una delle regioni più cementificate d’Italia (la terza), con il 9% del suolo impermeabilizzato. Record che evidentemente non è destinata a perdere, dato che nel 2021 si è collocata sempre al terzo posto in Italia per incremento del consumo di suolo, con oltre 658 ettari ricoperti, pari al 10,4% del consumo nazionale dello stesso anno. Eppure, nonostante le dichiarazioni di facciata che si sono susseguite dopo ogni alluvione, la retromarcia per un cambio di passo radicale non sembra essere stata mai innestata. La legge urbanistica voluta dal governatore Stefano Bonaccini – ed entrata in vigore il 1° gennaio del 2018 – è stata presentata come una normativa di svolta. “Consumo di suolo a saldo zero”: fu presentata, all’epoca, così. Le cose – e non solo secondo gli ambientalisti ma anche secondo urbanisti e architetti – sono un po’ diverse. “Basti pensare alle tante opere stradali, dal Passante di Bologna all’Autostrada Cispadana per arrivare alla bretella Campogalliano-Sassuolo che sono state difese e sostenute nonostante siano ad alto impatto ambientale – osserva Francesco Occhipinti, della segreteria regionale di Legambiente –. Parliamo di opere inutili: le risorse avrebbero dovuto essere destinate al miglioramento e al rafforzamento del trasporto pubblico. Nel frattempo vediamo nascere tanti nuovi e grandi poli logistici”. Vanno poi ricordate le tante deroghe che si sono susseguite finora al vincolo previsto dalla stessa legge per le nuove edificazioni, che fissa a un massimo del 3% dell’urbanizzato già esistente il margine per le nuove costruzioni. Deroghe che i Comuni, alle prese con i piani urbanistici generali, hanno ampiamente utilizzato.
Nel 2020, poi, la Regione ha sottoscritto, con le parti sociali, i Comuni e le Province, il Patto per il lavoro e il clima. Intesa che dovrebbe guidare la regione verso uno sviluppo sostenibile e la transizione ecologica. E che prevede una legge regionale sul clima, per la mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici. Una normativa molto attesa, necessaria per fissare paletti, ma della quale ancora non c’è traccia. Come se non fosse più nell’agenda politica che tre anni fa Bonaccini aveva stilato insieme alla allora sua vice Elly Schlein. E che invece è ancora in piedi secondo la Regione. Il mandato istituzionale non è ancora terminato: c’è tempo, rispondono. E poi i margini di manovra sono davvero stretti, “visto che la legislazione sul clima e sull’ambiente è quasi esclusivamente di competenza del ministero. Per ora lavoriamo alle pianificazioni di settore, dai rifiuti alla neutralità carbonica, all’aria, che sono il quadro di riferimento per costruire la legge”. Per ora.
CHI PIANGE E CHI ALLUVIONA- Viviana Vivarelli.
Giorni e giorni di pioggia, anomala dopo un lungo periodo di siccità, per cui il terreno non è riuscito a contenerla mentre esondavano 23 piccoli fiumi e il livello dell’acqua saliva anche di 6 metri. Un disastro gigantesco che non ha colpito un piccolo paese ma una fetta enorme dell’Italia: 13 morti, 10.000 sfollati tra cui 750 bambini, 28.000 senza luce, 400 strade interrotte, voragini e frane. E il bilancio continua a crescere, mentre la pioggia non accenna a placarsi per permettere alle acque esondate di rifluire.
I passati governi avevano preventivato 200 grandi opere di messa in sicurezza dei fiumi ma di queste solo 12 sono state fatte mentre il resto si è perso nei meandri della burocrazia e del malgoverno e le richieste sempre più pressanti dei difensori del suolo sono state irrise da un ministro dell’Ambiente come Pichetto, che ha chiamato gli ambientalisti “quelli che sanno dire solo no” e “quelli che “vivono nel loft al ventesimo piano del grattacielo” (perché lui dove vive? Sulla Luna?). E infatti il Governo dice “Sì” a tutto, ai guerrafondai, agli armaioli, ai corrotti, ai fascisti, ai distruttori della Costituzione, ai colletti bianchi sporchi, ai divisori dell’Unità Nazionale, ai banchieri, ai capitalisti, ai padroni degli stabilimenti balneari, ai pregiudicati… Non avanzano Sì per interessarsi del clima, del territorio, della miseria avanzante, delle leggi civili.
Tra i Governatori che se ne sono infischiati del piano sul clima c’è l’impareggiabile Bonaccini e ovviamente proprio a lui il Governo darà il ruolo di commissario per l’alluvione che ha devastato l’Emilia Romagna, per la serie “se non sono i peggiori, non li vogliamo”.
Intanto ricordiamo che l’Emilia Romagna sarà pure il fiore all’occhiello del Pd ma è una delle regioni più cementificate d’Italia (la terza), con il 9% del suolo impermeabilizzato e batte pure il record per incremento del consumo di suolo, con oltre 658 ettari ricoperti in un anno.
Bonaccini nel 2018 presentò una legge urbanistica che recitava: “Consumo di suolo a saldo zero”, ma poi la mise in un cantone mentre procedeva con passanti, bretelle, strade e autostrade, tutte ad alto impatto ambientale. Secondo la Corte dei Conti, la Regione avrebbe ricevuto i fondi tra il 2021 e il 2022 ma non sarebbe stata in grado di spenderli e li avrebbe persi. “Non erano destinati ai fiumi”, prova a giustificarsi l’amministrazione targata PD.
E qualcuno si ricorda il terremoto del 2007 tra le cui cause c’erano la incaute trivellazioni in una Regione che ha voluto fare anche un gigantesco deposito sotterraneo per lo stoccaggio nel sottosuolo di gas e CO2?
I vari Governi italiani hanno sempre avuto nel cuore le Grandi Opere Inutili (vd ora il Ponte di Messina), molto fruttuose sul piano delle sottrazioni finanziarie, che hanno prodotto vere devastazioni del territorio, vedi in Emilia il Passante di Bologna o l’Autostrada Cispadana o la bretella Campogalliano-Sassuolo. Il fatto è che le grandi Opere permettono grandi furti. Le piccole e costanti opere di cura del territorio, no.
Ci aggiungiamo permessi a go go per l’edilizia comune su cui si chiude sempre un occhio con continui condoni sempre ripresentati in campagna elettorale, mentre col satellite si può leggere anche la targa di un’auto ma non si riesce e vedere le costruzioni abusive.
Tre anni fa Bonaccini e la Schlein sottoscrissero con Comuni e Province un Patto per il lavoro e il clima per uno sviluppo sostenibile e una transizione ecologica. Subito dopo si doveva fare una legge regionale di applicazione, peccato che in tre anni non si sia mai vista, mentre entrambi promettevano in campagna elettorale qusto e quello e i vari Ministeri dell’Ambiente si beffavano di clima e di territorio, distinguendosi solo per battute di pessimo gusto e il Piano Finanziario è rimasto chiuso in un cassetto del Ministero.
Tomaso Montanari: “Sono decenni che lo diciamo, che l’unica grande opera utile sarebbe prendersi cura del territorio. E invece anche il Pnrr dei Migliori ha fatto tutto il contrario…”
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Alluvioni del fiume Arno
Firenze: 1177, 1269, 1333, 1547, 1557, 1589, 1740, 1758, 1849, 1966.
Pisa: 1167, 1680, 1777, 1869, 1913, 1920, 1937, 1944, 1966.
Quella del 1547 addirittura a Ferragosto.
Nessuna alluvione significativa DOPO il 1966, dopo aver fatto i BACINI.
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E’ facile amministrare la regione più ricca e organizzata d’Italia quando fila tutto liscio
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La grande beffa della prevenzione del rischio: in 20 anni 11mila progetti finanziati e meno della metà realizzati. E non è colpa del clima. IFQ- di Thomas Mackinson
Eppure i soldi per mettere mano all’Italia che si allaga, frana e uccide ci sono. E ci sono pure piani straordinari per usarli. Hanno nomi trionfali e rassicuranti, da “ItaliaSicura” a “ProteggItalia“, per citare i più recenti. La verità dei numeri è però un’altra: dal 1999 a oggi sono stati finanziati 11mila progetti per la riduzione del rischio idrogeologico, ma quelli ultimati sono meno della metà. Un dato che dimostra che il cambiamento climatico non può esser l’ombrello con cui i politici e gli amministratori di questo Paese riparano se stessi da ogni responsabilità, attuale e storica, dal governo Renzi e prima ancora fino al governo Meloni di oggi. Lo abbiamo scritto ieri: nell’arco di 20 anni e 14 governi, a fronte di 6 milioni di persone che vivono in aree a rischio alluvionale, la spesa effettiva per opere di prevenzione del rischio idrogeologico si è fermata a 7 miliardi, un quarto dei 26 miliardi certi e (certificati) necessari a rinforzare argini, costruire scolmatori e casse di espansione per le piene, allargare i canali tombati, tirar su muri di contenimento. Per fare, dunque, ciò che avrebbe evitato le stragi da nubifragio di ieri e di oggi.
Negli specchi di palude dell’Emilia Romagna si riflette in queste ore un Paese che convive con il rischio e piange l’ennesima tragedia evitabile. Se volete farvi davvero del male potete navigare le banche dati sulle zone a rischio e sulla spesa effettiva per evitarlo realizzate dall’Ispra. Tolgono ogni alibi ai decisori pubblici quelli sulle aree esposte a eventi alluvionali e franosi raccolti nella piattaforma IdroGeo: con il 70% della popolazione e del territorio esposti, l’Emilia-Romagna svetta nella classifica nazionale dei territori potenzialmente allagabili (45,6%), seguita dalla Calabria (17,2%), Marche, Abruzzo e tutte le altre. Quella di oggi, insomma, è ancora un’Italia da bollino rosso per un milione di famiglie, 2,4 milioni di persone, che vivono in aree alluvionali a pericolosità “elevata”. L’Italia, Repubblica fondata sul rischio.
Ma è dal censimento delle spesa effettiva e delle opere realizzate/incompiute che saltano fuori i numeri impressionanti, definitivi e vergognosi che inchiodano tutto il ceto politico dell’Italia lungo due lustri e 14 governi. Sono monitorati da Ispra nel suo Repertorio Nazionale degli interventi per la difesa del suolo (RenDis): negli ultimi 20 anni in Italia sono stati finanziati 11.204 progetti impegnando 10,5 miliardi (e poi diremo perché 10 e non 7) ma ad oggi soltanto 4.800 interventi sono stati ultimati, con una spesa effettiva di 3,6 miliardi. Dal totale van tolti 1.800 ancora in fase di progettazione, 1.434 in fase di esecuzione, 208 revocati. Di ben 2.607 interventi poi non si hanno proprio notizie, i relativi dati “non sono disponibili” anche se cubano 2 miliardi di risorse. Guardando alla sola Emilia-Romagna, dal 1999 al 2023 sono stati finanziati 529 progetti di messa in sicurezza con un impegno spesa di 561 milioni di euro, ma solo 368 sono stati ultimati spendendo: all’appello mancano 161 interventi che valgono 258 milioni, oltre la metà dei soldi destinati alla regione.
Soldi che nel quadro nazionale, tolte le opere consegnate e in corso di progettazione/esecuzione, totalizzano 2,6 miliardi di euro bloccati su progetti strozzati da procedure burocratiche o incagli sulle competenze, criticità puntualmente segnalate dalla Corte dei Conti negli anni. La durata media complessiva degli interventi finanziati non mostra sostanziali progressi né differenze tra le diverse aree geografiche del Paese: gli interventi finanziati nel Centro hanno tempi di attuazione medi di 4,6 anni. Più aumenta il tempo di realizzazione, più sale il costo.
Venendo ai giorni nostri, l’intervento più radicale in materia è stato il “ProteggItalia”. Un Piano nazionale per la “mitigazione del rischio idrogeologico, il ripristino e la tutela della risorsa ambientale” da 14,3 miliardi di euro in 12 anni fino al 2030. Una svolta nelle intenzioni del primo governo Conte che il M5S annunciava come una “misura storica” e non a torto, visti i precedenti e lo stato delle cose. Il 20 febbraio 2019 arriva dunque il decreto che promette una svolta radicale sugli investimenti per la mitigazione del rischio idrogeologico, agendo sul fronte dei fondi, delle competenze e delle procedure che dovevano essere finalmente improntate non a rincorrere l’emergenza ma a una programmazione pluriennale con un ottica sistemica e funzionale. In parte ha funzionato. Negli ultimi 5 anni, dal 2019 al 2023, gli interventi ultimati in tutta Italia sono stati solo 597 con una spesa effettiva di 308 milioni, pari a una media di 61 milioni l’anno anziché 1,1 miliardi come prevedeva il ProteggItalia.
Parimenti lontano dall’obbiettivo era arrivato il tentativo di centralizzare la gestione della materia con una cabina di regia a Palazzo Chigi. Ci provò Matteo Renzi nel maggio del 2014 istituendo una specifica unità di missione “contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche” in seno alla Presidenza del Consiglio chiamata ItaliaSicura. La struttura è stata operativa fino a luglio 2018 e poteva contare su 7,7 miliardi di euro. Fino a quando il governo Lega-M5S la chiuse (con il decreto-legge n.86 del 2018) e trasferì le sue competenze al Ministero dell’Ambiente. Oggi si assiste al rimpallo di responsabilità, ma i numeri dicono che né prima né dopo l’accelerazione promessa è arrivata: nel periodo di ItaliaSicura (2014-2018) sono stati ultimati 163 progetti su 405 finanziati.
Ecco dunque le cifre che raccontano di un Paese che non vuol imparare da se stesso e dal suo passato. Le ragioni non politiche ma tecnico-procedurali le racconta ancora una volta la Corte dei Conti. L’ultima analisi su progressi e criticità in materia risale all’autunno 2021, con un giudizio grave e preoccupato. Per i magistrati contabili il “ProteggItalia“ ha certo avuto il pregio di “unificare il quadro generale dei finanziamenti, ma non ha risolto i problemi dell’unificazione dei criteri e delle procedure di spesa, dell’unicità del monitoraggio e dell’accelerazione della spesa”. Qualche dato. Quando si tira una linea su 3,1 miliardi per la voce “misure di emergenza”, che sono di competenza della Protezione Civile e dei 18 commissari delegati per il triennio 2019-2021, il differenziale tra le risorse stanziate per progetti approvati e i pagamenti effettuati (rilevati dal numero di gare avviate e dai relativi importi finanziati che entrano nel ciclo di realizzazione delle opere) è inferiore alla metà: 1 miliardo su 2,2. Alla voce “misure di prevenzione”, di competenza stavolta del ministero dell’Ambiente, si registrano altri ritardi, ad esempio per quelle a valere sui fondi del “Programma di Sviluppo Rurale Nazionale”: su 356 milioni di progetti finanziati il totale nel biennio 2019-2020 pagato è di 77,3 milioni, in pratica dei 35 progetti finanziati ancora nel 2019 solo 23 hanno concluso l’iter con il pagamento, pari al pari al 21,7 per cento della “dote”.
Per questo l’indagine mette ancora una volta sotto la lente le “inefficienze del sistema”: l’incapacità delle Regioni di definire a monte gli interventi prioritari, distinguendo emergenza e prevenzione, i lunghi iter concertativi tra amministrazioni, i tempi biblici che passano dalla progettazione al collaudo (in media oltre 4 anni ma con punte di 7-10), la governance spaccata tra commissari regionali, ente locale e amministrazione centrale che eroga i fondi, la carenza di strutture tecniche e personale e via dicendo. E qui veniamo a governanti più recenti. Proprio ieri si ricordava come alcuni temi, quando fa bel tempo, scivolino fatalmente via dall’agenda politica, la stessa che poi tenta il riscatto a suon di proclami. Ecco due esempi. Attende ancora un decreto la legge 233/2021 del governo Draghi che prevedeva (all’art. 16, comma 3) “l’individuazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico nelle regioni del centro-nord”. Non è stato ancora dottato il decreto attuativo della legge che converte la 186/2022 del governo Meloni che stanziava 2,5 milioni per formare e reclutare personale a tempo indeterminato “per potenziare le attività finalizzate a mitigare il rischio idrogeologico e rafforzare il contingente dell’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino meridionale”. Come sempre, meglio dare la colpa al clima. Peggio di sempre, darla agli ambientalisti come ha fatto il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin, il primo a doversi preoccupare di tutto questo anziché provocare l’unica risata in un fiume di lacrime.
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Tutte medaglie al valore che permetteranno la riconferma di questo politico e dei precedenti….. che popolo!
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Quindi, se non ci fossero gli ambientalisti, avrebbero fatto tutte queste cose? Uahahahahahah
Quindi, se piove dentro le scuole… gli ambientalisti!
La sanità che non funziona… gli ambientalisti!
….
Finalmente, sappiamo chi dovrà essere internato nei prossimi campi di sterminio.
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La schlein vicepresidente aveva le deleghe sulla protezione del territorio per cambio climatico. La regione non ha varato il piano. Ma ai fratelli romagnoli che continuano a votare piddì va bene così. Infatti Salvini suonava i campanelli (degli spacciatori) e la Borgonzoni “non sapeva neanche dove stava di casa”. Bene romagnoli, ora ciucciatevi bonaccini, la schlein, gli LGBT, gli immigrati e spalate il fango cantando Romagna mia.. Ciapa lì.
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E ti meravigli? In Lombardia, regione con il record mondiale di morti x covid ,hanno rivotato Fontana!
Occhio che a settembre nelle Marche è stata la stessa cosa ,ma lì ci sta un patriota eh
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