Cantavamo “Tintarella di luna”, pensavamo davvero che Oswald fosse l’assassino di Kennedy e la questione fosse chiusa lì. E che i match di Cassius Clay non fossero spinti dal business… Ma i soldi erano un virus

(DI MASSIMO FINI – ilfattoquotidiano.it) – “Abbronzate tutte chiazze / Pelli rosse, un po’ paonazze / Son le ragazze che prendono il sol / Ma ce n’è una che prende la luna / Tintarella di luna / Tintarella color latte / Tutta notte sopra il tetto / Sopra il tetto come i gatti / E se c’è la luna piena / Tu diventi candida”. Questa canzone, tutt’ora famosa, è del 1960. Mina aveva vent’anni.
Per chi abbia voglia di risentirla, soprattutto nel tono più che nelle parole, oltre che la forza della giovinezza si avverte una sorta di spensieratezza e di candore. Se prendiamo un’altra famosa canzone, di Battisti questa volta, Il tempo di morire, 1970, che insieme all’intera opera di Battisti ha fatto da sottofondo alla vita di molte generazioni, il tono è completamente cambiato, quella spensieratezza e quel candore non ci sono più. Eppure sono passati solo dieci anni.
Nei primissimi anni sessanta eravamo ancora molto ingenui. Non dico che credevamo a Babbo Natale (i bambini sì) però pensavamo che il Natale avesse qualcosa a che fare se non con la religione almeno con la spiritualità. Nel 1958 viene eletto al soglio pontificio Papa Roncalli, il “Papa buono”, originario di un paesino della bergamasca, Sotto il Monte, che parlava agli uomini e alle donne più che fare sottili distinzioni teologiche come avrebbero fatto i suoi successori, Montini, Ratzinger, Bergoglio o addirittura sfacciatamente politica come Karol Wojtyla, un papa che è andato vicino a distruggere quel poco che restava della Chiesa cattolica. Era quella ancora un’Italia ampiamente contadina dove la campagna si inframmezzava alle grandi città.
Eravamo ingenui, credevamo agli Stati Uniti, al sogno americano (“Ti sogno California, un giorno io verrò”, Dik Dik, 1966) pensavamo che gli americani fossero venuti a liberarci da una dittatura certamente feroce e sanguinaria, soprattutto sul coté nazista, e non a mettere un cappello sull’Europa e sostituendola con un’altra dittatura, meno appariscente, ma forse più invasiva, quella “dittatura del consumo” di cui avrebbe parlato nei primi anni Settanta Pier Paolo Pasolini. Pensavamo sinceramente che John Fitzgerald Kennedy (1963) fosse stato ucciso da Oswald e Oswald da Ruby, un tenutario di case chiuse, per riscattare, disse lui, l’onore yankee e pensavamo che tutto ciò fosse lineare. Pensavamo che Sonny Liston “l’Orso” fosse stato battuto regolarmente da Cassius Clay e non per imposizione delle federazioni pugilistiche, WBA and company, che avevano interesse a creare un idolo con una faccia un po’ più presentabile (nel primo incontro Sonny andò al tappeto alla seconda ripresa, sghignazzando, e nel secondo, alla settima ripresa, si slogò una spalla, incidente mai avvenuto in tutta la storia del pugilato mondiale).
I campi politici erano divisi in modo netto, da un parte il cosiddetto “mondo libero” dall’altra il totalitarismo sovietico, ignorando che tutto era stato già deciso a Yalta da Roosevelt, Churchill e Stalin. Al comunismo sovietico i proletari ci credevano veramente ignorando che i loro leader, Togliatti in testa, sapevano benissimo che cosa fosse il “socialismo reale”. La lotta era dura, ma a parte qualche episodio (Scelba), a suo modo leale. Come fatto di rottura c’era il rock ma come canta Guccini “non ho mai detto che a canzoni si fan rivoluzioni” (l’Avvelenata), il sessantotto con la sua ributtante ipocrisia era di là da venire.
Era insomma, quella, un’Italia semplice, dai gusti semplici. Era un’Italia innocente, era un’Italia “candida”.
Eravamo quasi tutti poveri, una Cinquecento ci bastava, era quasi un lusso, ma eravamo solidali. Ci si aiutava a vicenda. Si sa che i ricchi sono tirchi, altrimenti non sarebbero ricchi, e la tirchieria patologica è quasi sempre, per non dir sempre, il segno di una avarizia di sé. E in quell’Italia nessuno si sarebbe permesso di violentare una ragazza nel centro di una città fra l’indifferenza generale. Eravamo ingenui sì, ma vitali.
Cosa c’è fra la canzone di Mina, che abbiamo preso come esempio, e ciò che è successo dopo? C’è il boom economico (1960-1964). Dopo l’industrializzazione che c’aveva permesso di ricostruire il Paese, questo sì, almeno all’inizio, grazie agli americani, era arrivata la finanziarizzazione. Seguo con interesse la rubrica Sky Economia dove intervengono i più noti ed autorevoli esperti, una vera banda di mascalzoni in genere con doppi cognomi. Fra Federal Reserve, Bce, Fondo Monetario Internazionale, indici di borsa, derivati di derivati, hedges, knock-out, futures, bitcoin, scommesse su scommesse di scommesse non ci capisco nulla tranne che sono io, il risparmiatore, il fesso istituzionale, santo subito, del gran gioco del denaro che come tutti sanno è un’entità astratta, inesistente ma c’è chi su questa inesistenza fa fortune colossali.
La corruzione dilaga dappertutto, non solo in Italia. Non ti puoi mai fidare di chi ti sta davanti, chiunque egli sia, mentre la pubblicità ti bombarda proponendoti assicurazioni su assicurazioni e assicurazioni sulle assicurazioni.
Negli anni Cinquanta l’onestà era un valore per tutti, per la borghesia imprenditoriale se non altro perché dava credito (oggi è oggetto di discredito, di commiserazione se non di aperta derisione e un impaccio da eliminare), lo era per il mondo contadino dove violare la stretta di mano significava essere emarginati dalla comunità, lo era per l’ambiente proletario che aveva una sua etica, diversa da quella borghese, ma pur sempre un’etica.
In Una vita scrivo: “nel 1960 entrai per la prima volta, col mio amico Giagi, in un Supermarket. Ci sembrò il Paese di Bengodi. Era invece il Cavallo di Troia entrato in città e che ci avrebbe tolto, per sempre, l’innocenza”.
Accidenti che pippone!
Scommetto però che coloro che negli anni ’50 vivevano, ancora in lutto per i morti in guerra, con le orecchie ancora piene del terrore delle bombe e del redde rationem in corso dopo, tanto felici non erano.
Forse sollevati, del pericolo passato, ma a Matera si viveva ancora nei Sassi, e tanti ancora, nei palazzi, avevano un unico gabinetto sulle scale. Per non parlare dei malati, dei mutilati di guerra che tornavano, bisognosi di tutto ma che si “arrangiavano” in qualche modo, come potevano.
Forse sollevati dalla fine di un incubo – molti, di guerre, avevano passato e combattuto anche la Prima – ma erano vedove, orfani…
Una cosa è certa: non c’erano frotte di psicologi che li convincevano che qualche settimana di lockdown li avrebbe segnati per sempre nè i genitori – sempre assenti al lavoro nei campi o nelle fabbriche – andavano a litigare col maestro in caso di brutti voti: per lo più non se ne interessavano, i figli dovevano ringraziare se potevano studiare e non erano certo ingrado di stare ore accanto a loro per aiutarli col compito pomeridiano che il pargolo saprebbe e dovrebbe fare da solo ma… chi glielo fa fare a spremersi appena un po?
Isomma, non c’erano alibi: non vuoi studiare? Lavora. Lo sballo serale da decine di euro a botta era inesistente e il bullismo un incidente di percorso che succedeva a tutti, utile a gestire la frustrazione.
Gestire la frustrazione, esattamente ciò che i nostri figli non sanno. Potrebbero impazzire se non “protetti”!
E nessuno si arrangia più, la solitudine, in cui si cresce e ci si ritrova, diventa una stranezza, una malattia mentale… E il gioco libero, quello della stragrande maggioranza dei bambini degli anni ’50, alla molla in strada tutto il pomeriggio, un continuo “pericolo”: il pedofilo è dietro l’ angolo! Non c’erano forse i pedofili un tempo? Il gruppo aveva imparato a scansarli.
Ragazzi senza più privacy: occhiuti genitori gestiscono, guardano, controllano… Comprano il telefonino a 6 anni ma pretendono che non lo usino ( ce lo hanno tutti!!! Nonci faremo mica òla figura dei miserioni! E compra l’ IPad a rate…) , analizzano ogni chat , esortati da psicologi boomers a esserre “vigili”, come se già a 10 anni i loro figli, scafati, non sapressero ingannarli per benino.
E al primo inciampo, al primo brutto voto spesso dettato da aspettative troppo alte da parte dei genitori, tutti convinti di avere in casa dei geni incompresi che lavorare a 15 anni… giammai, una vergogna sociale, alla prima presa in giro, al primo insulto sui “social”, questi partono col coltello in tasca.
Una generazione che a 13 anni va in coma etilico davanti al pub ma non può portare un vassoio nel ristorante di papà, come volete che cresca?
Preghiamo che non venga un’ altra guerra: con questa “pedagogia” come ci si rialzerebbe, dopo??
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Quando l’acqua “toca il qlo” tutti imparano a nuotare 😂
Mia madre 1900-2002.
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Meno male che Fini ha scritto un pippone. Tu invece hai scritto una pippa srnza nè capo nè coda e senza alcuna attinenza con quanto descrive l’articolo.
P.S. una curiosità. Pensi che mettere i tuoi comnenti cone risposta a qualcuno, le poche volte che lo fai, sminuisca le tue capacità intellettuali o per cosa?
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Per l’ottimo Fini tutto era bello, pulito, nel passato. Come no?
Il tentativo di stupro e l’omicidio della dodicenne Santa Maria Goretti sono del 1902, quando le banconote in Lire facevano “aggio” sull’oro, si stava talmente bene che 1 milione di Italiani, ogni anno, partivano come emigranti all’estero. Il livello di civiltà lo descrive bene il libro ” Padre padrone” di Gavino Ledda – ambientato nella Sardegna e nel Continente degli anni ’50/60 – e nel 1966, era talmente diffuso che fece scalpore il caso di Franca Viola che non volle il ” matrimonio riparatore” con il suo aguzzino sequestratore e stupratore . A non parlare del ” delitto d’onore”. Quanto ho posto tra virgolette fu eliminato dal codice penale nel 1981. La verità è che all’epoca eravamo ” gggiovani”, non c’era ancora stato il Vietnam mentre deflagrava il boom economico. Fini continui a ricordare in rosa…
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Io invece condivido in toto il pensiero di Massimo Fini. Sono nato nel 1959, quindi gli anni ’50 non li ho vissuti, e gran parte dei ’60 in versione “bambino”.
Ma non ci vuole molto a ricostruire ( ci sono tanti filmati RAI di quegli anni, con documentari perfettamente riproducenti l’atmosfera, le sensazioni, la tipologia umana di quegli anni) il clima spensierato, fiducioso del futuro e come dice Fini “candido”, pulito di semplicità.
C’erano sicuramente tanti problemi pratici, in un’Italia povera, con quota rilevante di analfabeti, con infrastrutture in divenire, ma il tema affrontato da Fini è sulla natura umana del periodo, la sua percezione interiore del presente, prima ancora che del futuro. L’idea di onestà, di rispetto dei ruoli, di dignità, di solidarietà vera, di, appunto, candore nello scoprire la vita.
La Società occidentale che a partire dagli anni ’80 ( la parentesi oscura ma strafeconda di idee dei ’70, sconfitta nei suoi obiettivi ha aperto la strada alla modernità egoista, speculativa e corrotta nel midollo) si è sviluppata, ha avuto la sua accelerazione con il crollo dei regimi comunisti, e la convinzione che la “fine della Storia” fosse in fondo la fine di qualunque valore altro, al denaro, alla carriera, al successo, al Potere.
Poi nel Terzo millennio il pensiero neoliberale ha fatto il resto. In tutto l’Occidente.
Preferisco la miseria dei ’50 ’60 alla miseria umana di oggi. Pasolini confermerebbe.
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Pasolini era ricco: facilmente confermerebbe. Chi si spaccava la schiena nei campi, sulle impalcature, nelle acciaierie senza protezioni, le donne in attesa per decenni del marito emigrato in Germania molte di loro costrette ad ogni ” visita” a fare un figlio ed arrabattarsi per quella nuova bocca ( il boom delle nascite…) … non so.
Dipende sempre dal portafogli di chi guarda.
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Qui tii sbagli , Pasolini sara’ stato anche abbiente , ma nessuno come lui capiva i poveri , il sottoproletariato , perche’ viveva con loro .
Nelle borgate era amato per questo . Qui sta la grandezza dell’ intellettuale vero , che non frequenta salotti e premiazioni ma si immedesima nel disagio esistenziasleanche frequentandolo .
E lui vero lo era .
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Grazie Massimo, avanti
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Capiva tanto bene il proletariato che alla notte andava a comprarsi le “grazie” di poveri “ragazzi di vita” . soprattutto minori ( ricordo, tra l’ altro, che ai tempi la maggiore era legalmente a 21 anni).
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sei meschina . pensavo di no , invece lo sei , peccato .
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Macché meschina , lo sanno tutti tranne te che Pasolini era pederasta.
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Nulla di male se prostituzione tra adulti consenzienti. Il problema è che pagava i ” ragazzi di vita”. Il titolo del suo libro più famoso ( bisognerebbe leggere ogni tanto).
È strano che si omaggino personaggi dei quali non si sa nulla.
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In quegli anni tanto ” candidi” non eravamo. Almeno non tutti.
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