Anziani fra pandemia e regionalismo differenziato

(Federico Giusti – lafionda.org) – Un antipasto, duro da digerire, prima del banchetto definito autonomia differenziata dovrebbe annoverare, tra i menù, la gestione delle residenze per anziani (RSA).

Al di là dell’ironia, la situazione è tanto grottesca quanto tragica, gli anziani non autosufficienti, ma anche un certo numero con problemi psichici e gravi inabilità fisiche, in assenza di familiari Caregiver, hanno una sola opportunità: accedere alle Residenze per anziani in prevalenza gestite da società private e cooperative con una moltitudine di contratti per i lavoratori concetipi ad arte per abbassare il costo del lacvoro, basti guardare il contratto nazionale Multiservizi e quello delle cooperative sociali; come i molti altri settori alla gestione diretta è stata preferita, permettendo l’accumulo di profitti.

La cosiddetta autonomia differenziata consiste nella richiesta da parte delle Regioni di poteri ulteriori rispetto a quelli normalmente previsti per esse; dietro ad essa si celano interessi economici provenienti dalle regioni economicamente ricche: l’autonomia non viene invocata dalle aree geografiche con basso pil ed elevato tasso di disoccupazione .

Tra i fautori dell’autonomia differenziata si trovano tanto esponenti di destra quanto di centro sinistra; la loro idea dello Stato, al netto delle ideologie e dell’inevitabile corredo retorico (progressiste o conservatrici) , è quasi identica: meno stato e più mercato, tasse leggere e maggiori servizi  solo per gli autoctoni, leggi in materia di lavoro che rinviino alla contrattazione di secondo livello, cioè una contrattazione siglata tra datore di lavoro e organizzazioni sindacali cosiddette rappresentative che permette di derogare ai CCNL con i quali si possono quindi strappare aumento di precarietà, flessibilità e orari di lavoro, che poi sono richieste storiche delle parti datoriali.

Non facciamoci ingannare dall’impegno di stabilire in partenza quali saranno i minimi livelli essenziali delle prestazioni (Lep) da garantire; i diritti civili e quelli sociali da rispettare uniformemente sul territorio nazionale rimangono lettera morta in assenza di indirizzi pubblici e statali e di un corpo legislativo coerente.

Se la destra è da sempre ostile verso i diritti civili, su quelli sociali la pensa allo stesso modo del centro sinistra ed entrambi sono , non casualmente, tra i picconatori della Carta Costituzionale. Se la loro idea è quella della autonomia differenziata,  non sarà pleonastico parlare dei diritti sociali?

 Numerosi diritti costituzionali sono “scomponibili” in prestazioni misurabili a livello regionale; pensare a una forte differenziazione tra Regioni in materia di istruzione, sanità e welfare è ipotesi tutt’altro che remota. E le conseguenze di queste scellerate politiche le misureremo presto a livello sociale.

Il modello federale statunitense presenta Stati nei quali sono stati approvati legislazioni retrive e di marca reazionaria, diritti come l’aborto sono di fatto non esercitabili e , al solo pensare che questi esempi possano rappresentare più di una suggestione per qualche forza politica  dovrebbe spingerci a diffidare almeno della autonomia differenziata e delle conseguenze di cui sarà portatrice.

Se proprio volessimo misurare lo spostamento a sinistra del Partito democratico dovremmo pretendere dallo stesso una profonda revisione di pensiero sulla autonomia differenziata, dubitiamo che una decisione del genere possa essere assunta dalla ex vicepresidente dell’Emilia Romagna, una Regione da sempre in prima fila nel rivendicare la rapida approvazione di questa ennesima controriforma.

E qualcosa dovrebbe anche insegnarci quanto accadde nel Marzo  2022 quando  la relazione del Gruppo di lavoro sull’ autonomia differenziata, nominata dal governo Draghi , non venne resa pubblica perchè critica verso le bozze di intesa già raggiunte dal centro sinistra e dal centro destra.

Quando poi si parla di Lea (Livelli essenziali di assistenza) per la sanità, dovremmo pensare al punto di partenza dei sistemi sanitari regionali, ci sono aree geografiche nelle quali mancano da decenni ospedali e centri di specializzazione da spingere i cittadini al pendolarismo verso le regioni del centro nord  solo per sottoporsi a cure e controlli medici.

Il fatto poi che tante competenze oggi dello Stato possano passare alle Regioni dovrebbe indurre a qualche autocritica perchè in assenza di risorse economiche quei diritti esigibili, e fino ad oggi universali, sarebbero vincolati alle esigenze di bilancio e alle opportunità di spesa che sappiamo essere assai diseguali. 

Alla disuguaglianza già marcata dei nostri giorni si aggiungeranno ulteriori disparità determinando l’arretramento economico e sociale di intere aree del paese.

E qui entra in gioco il complesso dei servizi erogati dalle Regioni per anziani , e non autosufficienti.

Le Rsa hanno già pagato un costo elevato in tempi pandemici quando, con il diffondersi del virus, furono moltissimi gli ospiti a morire per incaute decisioni delle autorità regionali.

La crisi delle Rsa è da tempo risaputa, per farsene una idea si rinvia ad un recente rapporto di studio scaricabile anche dalla rete.

Già oggi il costo delle Rsa presenta insopportabili differenze tra territorio e territorio; in teoria la retta nasce da una sorta di mix tra le risorse riconosciute dai gestori dal Servizio Sanitario Regionale (Ssr) e la quota  richiesta alle famiglie  in base al loro reddito. La somma di queste risorse dovrebbe coprire vitto, alloggio e assistenza dei ricoverati.

Ma se già oggi la tariffa sanitaria riconosciuta ai gestori cambia da regione a regione, immaginiamoci un domani con l’autonomia differenziata, quanto più diventerà complicata la assistenza, anche a seconda della tipologia dei pazienti, tanto più varieranno le tabelle adottate a livello regionale,.

Se comprensibile può essere la differenziazione delle tariffe di alcuni servizi anche in base alle prestazioni erogate e alla professionalità degli operatori (ma in questo caso, specie ove si applica il ccnl delle cooperative sociali, tanta differenza non esiste con l’appiattimento verso il basso dei livelli salariali)  è invece del tutto fuori da ogni logica imbattersi  la scelta di singole Regioni che portano a differenziazioni di tariffe pur in presenza dei medesimi servizi.

Una ragione sufficiente a dubitare della autonomia differenziata e a ritenere gli anziani non autosufficienti le prime vittime sacrificali di questa ennesima disarticolazione dello stato e delle prestazioni universali che dovrebbero, almeno in teoria, garantire il rispetto dei diritti sociali.

1 reply

  1. Degli anziani non importa ad alcuno.
    Prima si tolgono dalle scatole e meglio è. Il ” valore non negoziabile della vita” interessa solo riguardo le morule e i migranti.

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