
(MARIO TOZZI – lastampa.it) – Forse è vero che le sentenze non andrebbero commentate, ma è certo che una riflessione, questa prima sulla valanga di Rigopiano, la impone. Non volendo entrare nel dettaglio processuale, il messaggio che ne scaturisce è però molto chiaro, ed è l’assoluta imprevedibilità dell’evento, come se si fosse trattato di un “cigno nero”, uno di quegli avvenimenti completamente imprevedibili e fuori norma che la storia non ci permette nemmeno di ipotizzare, e che non esistono fino a che non si verificano. Il concetto di “cigno nero” viene da David Hume, il quale affermava che il fatto di aver sempre e solo visto cigni bianchi non dimostra in alcun modo l’impossibilità dell’esistenza dello stesso uccello con piume di un colore diverso. Esattamente come i cigni neri, di cui nessuno sospettava a quel tempo l’esistenza, prima che venissero scoperti in Oceania. E questo, invece, si può e si deve commentare: si è trattato di fatalità, oppure gli amministratori della cosa pubblica avevano il dovere di mettere nel conto il peggio e potevano evitare la tragedia?
La risposta sembra essere no, non è stato un evento rarissimo, di grande impatto e impossibile da prevedere. Partiamo dalle condizioni meteorologiche, erano davvero imprevedibili e eccezionali? Probabilmente no: intanto le previsioni erano state accurate per quantità, tipo e ubicazione delle precipitazioni. Nevicava da almeno tre giorni in modo abbondante e l’allarme valanghe era stato diramato due giorni prima dell’evento, anche se inizialmente non si capiva se fosse mai arrivato al comune di Farindola, dove si trova l’Hotel Rigopiano. Nell’allarme era scritto chiaramente che il rischio era elevato “per tutti i pendìi ripidi” e più ripido di quello che si trova sopra l’albergo davvero ce ne sono pochi. Forse solo il vento è stato eccezionale, determinando accumuli oltremisura della neve.
Ma soprattutto lassù valanghe erano già cadute in tempi storici, in una zona che presentava, inoltre, condizioni geomorfologiche decisamente a rischio. L’hotel si trova certamente in una posizione pericolosa: al centro di una valle con forma circolare, un circo glaciale antico che sovrasta la zona. Al margine di quel circo ci sono le condizioni ideali per l’accumulo instabile di copiose quantità di neve. Neve fresca e pesante che si appoggia in maniera instabile su quella ghiacciata delle precedenti precipitazioni di inizio anno. Non esiste una carta di rischio valanghe in Abruzzo (e questa responsabilità resta sempre in capo a chi amministra), ma ciò non toglie che le condizioni di pericolo fossero relativamente chiare. In quei casi basta il passaggio di un animale, un rumore più forte (come una voce), la caduta del fatidico ultimo fiocco. Ma il tutto era, in ultima analisi, prevedibile.
L’albergo era stato edificato ampliando abusivamente un casolare di montagna a 1200 metri di quota. E questo testimonia, ancora una volta, che sono i sapiens a creare o amplificare il rischio naturale. Ma le sue fondamenta appoggiavano su un vecchio detrito di falda, il residuo di antiche frane. E questo significa che l’area non era affatto immune dal rischio idrogeologico, nonostante non fosse inclusa nelle mappe regionali di questo tipo. La valanga, infine, ha trascinato con sé massi, rocce e terra, oltre a fusti, radici e rami di alberi del bosco comunque presente, bosco che mitiga il rischio valanghe solo nell’area di accumulo, impedendone di cospicui, non certo lungo il tragitto dove, anzi, lo aggrava. Il principio di precauzione avrebbe forse dovuto imporre, alla fine, una ridondanza di sicurezza.
Se questa ricostruzione è corretta, si è trattato di un cigno nero? Non sembrerebbe, perché l’albergo non doveva essere lì fin dall’inizio, né essere così ampliato, le previsioni meteo erano corrette ed erano state comunicate. Sarebbe bastato uno spazzaneve e lo sgombero dell’hotel per tempo. Del resto, mutatis mutandis, la sindaca di Genova Marta Vincenzi fu condannata per omicidio colposo per la gestione dell’alluvione del 2011. Nessuna congiuntura di eventi eccezionali, nessuna natura colpevole o montagna killer, nessuna fatalità: solo la nostra incapacità di imparare dalla storia della Terra e pianificare correttamente, tenendo presente che esistono al mondo forze più potenti di noi e che il rischio naturale è la regola nel paese delle frane e delle valanghe.
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