Per spiegarne il calvario serve un giudizio storico e culturale come per ogni grande svolta. Ai primi del ’900 l’impotenza di fronte alla guerra determinò una rovinosa sconfitta

(MASSIMO CACCIARI – lastampa.it) – Azzardo un paragone: qualcosa di analogo avvenne a cavallo del secolo, tra Ottocento e Novecento. Il dibattito, lo scontro teorico e politico all’interno delle socialdemocrazie, e in particolare in quella tedesca, tra riformisti e marxismo «ortodosso», non avevano affatto indebolito l’organizzazione e la forza elettorale del partito. Il conflitto non fa male quando è confronto di idee sulla base di quella che non saprei come chiamare se non un’etica comune. Fu l’impotenza di fronte alla Guerra, l’incapacità di contrastare la catastrofe, la conseguente resa alle posizioni nazionalistiche, a determinare la rovinosa sconfitta, che spalancò le porte alla più nera reazione. L’illusione di poterla rimediare, più tardi, «ancorando» la propria strategia agli interessi della rivoluzione di Ottobre, tragica illusione certo, rappresentò in fondo una variante della stessa assenza di visione autonoma, della stessa subalternità politica che si erano già manifestate alla vigilia della Guerra.
Parallelo esagerato? Speriamolo – speriamo che le tragedie alle quali assistiamo non abbiano esiti paragonabili a quelle di oltre un secolo fa. Ma forse che non abbiamo vissuto un radicale mutamento di stato a cavallo tra anni Ottanta e Novanta? Non si è imposta in Occidente, alla fine di quella Guerra a tutti gli effetti che chiamiamo «fredda», una linea egemone, dal piano delle politiche economiche e sociali a quello degli equilibri internazionali, che concepisce come unico Ordine globale realisticamente possibile quello che ha a fondamento, principium inconcussum, la potenza tecnologica, economica e militare americana? Sarebbe stato altrettanto realisticamente possibile, senza per nulla disconoscere la piena vittoria degli Stati Uniti, e quindi il suo ruolo fondamentale in ogni riassetto geo-politico, discuterne le volontà egemoniche, opporre alla strategia che ne derivava una visione propria, autonoma, europea, policentrica e federale dei rapporti internazionali, tessere un gioco politico-diplomatico di mediazione tra i grandi spazi imperiali? Non lo so, nessuno lo sa. Quel che è certo è che le sinistre europee hanno “interiorizzato” la vittoria americana come essa significasse la conclusione della propria storia. Il solo internazionalismo è diventato quello della globalizzazione assunta come destino, e proprio nelle forme in cui essa aveva luogo: quelle del dominio del capitale finanziario, delle grandi multinazionali dei settori strategici, del sistema industriale-militare.
Come già accadde alla vigilia della prima Guerra, inghiottite nella logica amico-nemico che drasticamente essa sembrava imporre, vengono meno le ragioni della lotta politica alle nuove forme di sfruttamento e di disuguaglianza. Come se la mutata composizione sociale le avesse superate o fatte sparire. Come se il contrasto tra lavoro dipendente, escluso da ogni partecipazione ai processi che pure ne decidono il destino, e proprietà dei mezzi di produzione, appartenesse a un leggendario passato. Come se, nei rapporti politici ed economici contemporanei, nulla più esistesse che separa, divide, mutila la persona umana. E il progresso consistesse nel loro naturale sviluppo. Come se i rapporti sociali si fossero «liberati» dall’apparire rapporti tra cose, dominati dal valore di scambio. Certo, tutto andava ripensato: analisi, strategia, organizzazione. E si è pensato invece che la fine della centralità operaia fosse la fine del lavoro dipendente di massa, nelle sue forme anche più servili. Si è pensato a un futuro di generale imborghesimento, che i fatti stanno clamorosamente smentendo. Si è pensato che i processi di globalizzazione in atto non solo non avessero in sé tutti i germi per future possibili guerre, ma anzi ne costituissero il più sicuro antidoto. E perciò andassero seguiti obbedientemente.
La sinistra europea ha subito e basta il salto d’epoca. Invece di ritrovare in essa le proprie ragioni di essere, vi ha trovato la ragione per scomparire. Le è rimasta l’invocazione a «diritti umani», alla quale non fa riscontro alcun concreto sforzo per renderli positivi. Un vago giusnaturalismo senza leggi positive in grado di impedire che forze politiche ed economiche ne svuotino di fatto i principi. A questo, a una parvenza di nobile Partito d’Azione, è allora inesorabile ridursi. Un misto di conservatorismo su tutte le questioni istituzionali, per forza incapace di contrastare i processi di svuotamento delle assemblee rappresentative, e di predicazione sui problemi dei diritti, caratterizza oggi l’azione della fu sinistra. Mentre lo stato permanente di eccezione si va trasformando in stato permanente di guerra, eliminando ancora più ogni possibilità di azione e di pensiero critico. Naturalmente nessuna situazione è eterna nel mondo dei casi, e anche questa muterà. Ma è dubitabile che una sinistra possa risorgere dalle ceneri dell’attuale.
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Assunti questi principi come veritieri cosa resta altro da fare se non aspettare altro disfattismo a favore di quello che oggi significa fare ed essere in politica? Se i guadagni materiali, a fronte di posizioni non tanto ideologiche quanto pratiche sui fronti dei diritti e delle possibili alternative al grande mercato dove ogni spinta contraria resta inevitabilmente vana, sono indiscutibilmente preminenti rispetto ad altri contenitori sociali ma culturalmente progressisti, non resta che piangere sul latte versato. Eppure oggi più che mai si sta assistendo a scontri ideologici con una ferocia nuova verso tutto ciò che significa sinistra e nessuno, meno che mai il terzo polo, pone una seria politica di contrasto in quanto sciolto in un internazionalismo privo di ideali che non siano la ricchezza, il potere e il controllo sia generale che particolare, e se azioni altamente repressive hanno oggi ampio respiro lo si deve principalmente alla sinistra tra anni novanta e deumila che ha boicottato il suo mandato culturale per appiattire tutto su logiche perverse pro voto adeguandosi al liberismo economico che ha distrutto il senso dello stato oltre che lo stesso stato , svenduto prima ai privati poi all’Europa dei mercati. Non ci resta che piangere? Cacciari descrive ma non offre soluzioni, restando al limite di un’impotenza verbale dove prendere atto non ha più alcun seguito.
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E adesso, qual’è lo strumento per modificare la storia?
Eliot: “La mezzanotte scuote la memoria come/Un pazzo scuote un geranio appassito”
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La lotta politica come è stata fatta fin qui non basta. Uno strumento, per essere valido, deve conseguire un risultato di qualche entità storica, altrimenti deve essere cambiato. Lo dice il pragmatismo che ha sempre la meglio sulle illusioni. È inutile farsi delle pippe. I microfenomeni su piano collettivo sono niente, non contano un tubo.
In un mondo globalizzato, dove domina l’identità profitto = mercato = multinazionali = imperialismo USA = guerra, se si vuole cambiare la società e dunque la politica e l’economia, occorre escogitare strumenti nuovi.
Insistere con quelli fallimentari può portare solo a delusioni e perditempo.
Non serve a nulla eccitarsi tra pochi adepti in una stanza chiusa e urlare slogan obsoleti sventolando vecchi drappi, quando non si influisce sul fiume che enorme scorre al di fuori di essa.
Il quadro al momento è cupo.
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Siamo persuasi che agire a livello globale è tutt’altro che facile e che è ben difficile agire nel lentissimo vettore tradizionale: comune-regione-governo nazionale-parlamento europeo, essendo fallite le ideologie che si proponevano come universali e che potevano agire dall’alto su larga scala.
È giocoforza partire dal basso e rovesciare in qualche modo la piramide del potere. Ma come?
I no global ci hanno provato ma ora sembrano spariti. I 5 stelle ci hanno provato ma ora hanno rinnegato i loro principi.
Appare chiaro che i mezzi usati nell’ultimo settantennio sono stati ininfluenti a frenare il rafforzamento del grosso capitale e il dominio di una ideologia economico-politico-militarista di estrema destra che sta distruggendo il mondo.
Se i governi statunitensi sono stati il 1° strumento nazionale del nuovo imperialismo, è indubbio però che la politica dei maggiori governi europei e dell’UE come entità sovranazionale non è andata nel senso di un allargamento della democrazia e di un rafforzamento della sovranità popolare o di una maggiore difesa dei diritti dei popoli o della pace mondiale, non ha contrastato affatto il neoliberismo USA, producendo una politica economica europea a sé stante e di più alto livello, ma si è allineata alla politica imperialista americana, nel senso di una corrosione dei diritti dell’uomo, del cittadino e del lavoratore, del ripudio dei diritti dei popoli, dell’insulto alle economie degli altri paesi (si veda le imposizioni al commercio africano), mentre i vecchi organismi internazionali come l’ONU aumentano solo le loro macerie.
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Ora, non possiamo aspettare fatalisticamente che la spirale perversa che domina il pianeta (guerre a ripetizione, riduzione dei diritti umani, economie in sfacelo, oligarchie sempre più ristrette, azzeramento dei poteri nazionali, arbitrio del mercato) si disfi da sola o perché crolla il dollaro o perché New York viene distrutta o perché potenze come Cina o India o Sudamerica intervengono cambiando gli equilibri mondiali. L’alternativa è la terza guerra mondiale, una guerra spaventosa che ci distrggerà tutti, lasciando una contaminazione irreversibile al Pianeta.
Non possiamo nemmeno aspettare che finiscano petrolio e uranio, perché il sistema di dominanza si sposterà dalle guerre del petrolio alle guerre per l’acqua o il cibo, conservando gli stessi sistemi e la stessa arroganza. Al potere non importa il mezzo, ma il fine.
In questo sfondo universale apparentemente soverchiante, tuttavia, l’uomo singolo sente l’urgenza di intervenire in proprio, senza restare erba calpestata dagli elefanti.
Il fatto stesso di esistere ci dà il dovere di fare qualcosa. La nostra non è presunzione ma necessità etica. Non possiamo assistere impotenti.
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Avevamo sperato che l’UE si ponesse nello scacchiere mondiale come un fattore nuovo e che in esso la sinistra producesse una qualche azione utile, se non altro nel senso di una diversa politica estera, di un disancoramento dalle strategie anglo-americane, di una maggiore difesa di democrazia e lavoro, di un cambio sostanziale della vecchia e inutile Società delle Nazioni, ma dall’Europa delle banche non è uscito alcun nuovo ordine europeo e, con nostro grave rammarico, la sinistra non ha fatto una opposizione fattiva al trend neoliberista, assumendolo invece come proprio, malgrado i tentativi contrari di alcuni sindacati e di sporadici intellettuali, in una sordità crescente alle richieste della gente e in una totale mancanza di rispetto dei diritti costituzionali, molti dei quali acquisiti in un secolo e mezzo di lotte durissime.
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Al momento, la sinistra europea (e quella italiana non fa eccezione), sembra omologata alle politiche USA, alle tendenze neoliberiste, alle politiche di repressione delle reazioni popolari, dimentica della sua storia, dei valori passati, della sua missione e rifiuta testardamente di riconoscere che persino la sua Costituzione è stata bocciata dai popoli.
Che questo trend europeo sia sconnesso da ogni democrazia e che in UE la sinistra sia controproducente lo prova la scarsa opposizione alla Bolkestein, la privatizzazione dei beni pubblici (acqua, servizi…), la precarizzazione del lavoro, la distruzione dello stato sociale, l’aumento del verticismo partitico, gli inciuci coi reati del capitale, l’ingresso alla mentalità più corrotta del mondo bancario, assicurativo ecc., l’adozione dei peggiori criteri di mercato, l’asservimento ai confessionalismi più retrivi, la regressione nella difesa delle libertà…
Dal punto di vista ideale e ideologico, il fallimento non potrebbe essere maggiore.
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Se i partiti ufficiali stanno sempre più rinnegando le motivazioni che potevano renderli propulsori di una palingenesi sociale ed economica e si stanno omologando sempre più al potere di destra, ora in Italia è facile vedere, oltre le facili retoriche, che i movimenti extrapartitici si fanno di giorno in giorno sempre più fiacchi e inconcludenti.
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Non ci raccontiamo delle favole! Negli ultimi 70 anni di storia italiana i partiti sono stati del tutto insufficienti a realizzare alcunché. La partitocrazia ufficiale non è nemmeno citabile come fattore di rinnovamento e propulsione ed è inutile elencarne i difetti che sono noti a tutti, in un discredito crescente, in un generale rigetto che oggi costituisce l’unico fenomeno veramente di massa in Italia, movimento generalista e qualunquista, purtroppo privo di riferimenti, mezzi, modi e capacità di cambiamento, un confuso e disarticolato nebbione di fondo, su cui si muove il solito panorama delle appartenenze, sempre più acritico e servile.
Oggi il problema del mondo non è più la difesa dei diritti umani, del lavoro, della sopravvivenza.. ma è PACE e GUERRA e qui i abbiamo davanti a noi solo il buio.
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Il movimento ha dimostrato tutta la sua inesperienza politica parlando di misure per i poveri e facendone un vessillo, in quanto ha, di fatto, creato un’etica politica a solo vantaggio dei ricchi e dei filo americani guerrafondai parlando di pace ma facendo la guerra; ci sono i poveri e i ricchi ma ci sono anche gli ignoranti, gli analfabeti , i diplomati e i laureati poveri e che non si scrivino più queste fandonie, la guerra si fa anche sui singoli , la guerra politica che il movimento della setta cattolica che si crede eletto da Dio in persona è a misura di stato inoltre ha dimostrato di essere più razzista dello stesso vecchio fascismo, in quanto bigotto e atto a lucrare su vecchie politiche protratte dai gruppi parlamentari che hanno preceduto il suo arrivo. Niente di più cattivo che usare lo Stato di oggi per portare avanti cause elitarie per i poveri come se chi siede su quelle poltrone fosseroi pari d’Inghilterra all’italiana, uno schiaffo all’intelligenza umana, alla legalità e alla cultura in senso ampio, solo Scarpinato, per il poco che ho ascoltato, è un degno rappresentante di quel vecchio apparato che aveva nella misura della legalità un principio universale. Chi lavora sui territori è solo un cacciatore di taglie per makaki, pari all’anti stato e per di più legalizzato dal nuovo assetto parlamentare.
Parlare di politiche a sinistra portando, avanti, in realtà, politiche di destra è il nuovo frutto dell’italietta in marcia.
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Chi aveva dello Stato un’idea di progresso civile entro cui inserire un progresso economico che fosse diffuso e Differenziato in altre molteplici attivita’ pur mantenendo uno stretto regime di controllo sul piccolo e grande malaffare che si è espanso a macchia d’olio in ogni settore tanto da risultare tollerato e normale entro certi parametri, si è visto esautorato e sparato nei cieli come la donna cannone; lo stato etico doveva farsi garante delle molteplici voci e aggregazioni in un clima di rispetto e tolleranza diffuso invece non è stato così e all’interno di un sistema di liberalizzazioni economiche si è inserito un sistema politico di censura e controllo a cui la sinistra ha partecipato senza opporvi nessun tipo di freno; oggi dopo trent’anni Cacciari cosa vorrebbe recuperare? Le discussioni all’interno del congresso del PD sono state di una superficialità disarmante e nessuno ha voluto mai sfiorare i temi caldi che questa sinistra ha ormai ormeggiato in deposito da secoli tanto da osteggiare le stesse sue politiche di appartenenza per avvicinarsi al clima generale sanzionatorio e censorio per non dire convulso verso le voci dissonanti e le sue rappresentazioni, portando tutto su di un unico orizzonte dove si distingue male dalle opposizioni storiche per non dirsi ad esse omologato.
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