Nelle conclusioni del processo in corso a Milano, l’avvocatessa pubblica Gabriella Vanadia si era allineata alle posizioni dei pm, sottolineando la gravità della corruzione in atti giudiziari contestata all’ex premier. E aveva chiesto ai giudici di condannare lui e gli altri imputati a risarcire la Presidenza del Consiglio con somme milionarie. Ora però il governo Meloni ha cancellato gli sforzi con un tratto di penna, revocando in extremis la costituzione di parte civile

(ilfattoquotidiano.it) – “La vicenda ha fatto il giro del mondo e ha gettato tutto lo Stato, rappresentato da Berlusconi, in un discredito planetario. C’è una lesione alla collettività rappresentata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, che per questo è stata ammessa come parte civile”. Così, durante le conclusioni del processo Ruby ter in corso a Milano, l’avvocatessa dello Stato Gabriella Vanadia chiedeva di condannare Silvio Berlusconi (e in solido gli altri 27 imputati) a risarcire palazzo Chigi con una provvisionale di dieci milioni di euro per la corruzione in atti giudiziari. Il reato di cui l’ex premier deve rispondere per aver comprato le false testimonianze degli ospiti delle cene di Arcore, aveva detto, è “particolarmente grave e offensivo“, perchè “mina una delle funzioni fondamentali del nostro ordinamento, la funzione giurisdizionale”, attraverso un “mercimonio della testimonianza“. Una posizione che ora il governo Meloni ha scelto di rinnegare: il 13 febbraio palazzo Chigi ha revocato la costituzione di parte civile nel processo contro l’ex premier, avanzata nel 2017 dal governo Gentiloni. Una mossa arrivata in extremis, appena due giorni prima della sentenza di primo grado e poche ore dopo che Berlusconi aveva (di nuovo) messo in imbarazzo la maggioranza con un attacco pubblico al presidente ucraino Volodymyr Zelensky, costringendo Meloni e i suoi ministri a rassicurare gli alleati occidentali.
Eppure l’avvocatessa Vanadia, una dipendente pubblica, aveva seguito il processo per cinque anni rappresentando gli interessi dello Stato e associandosi alle posizioni dei pm Tiziana Siciliano e Luca Gaglio, che hanno chiesto di condannare Berlusconi a sei anni di carcere: prendendo la parola per le conclusioni, il 25 maggio scorso, aveva esordito dicendo di condividere “in tutti gli aspetti” la ricostruzione dell’accusa. E aveva anche esposto in aula alcune argomentazioni giuridiche per contestare inoltre l’interpretazione fornita della difesa del Cavaliere sul reato di corruzione in atti giudiziari. Secondo l’avvocato Franco Coppi, quella fattispecie non poteva più essere contestata all’ex premier dopo che i verbali di quasi tutte le Olgettine erano stati dichiarati inutilizzabili in quanto – per il Tribunale – andavano già considerate indagate dal marzo 2012, e perciò sentite in aula con la garanzia dei testimoni assistiti da avvocati. Per Coppi, in sostanza, non essendo valida la deposizione non esiste più nemmeno il reato. L’avvocatessa dello Stato, invece, sosteneva insieme all’accusa una tesi opposta: quello che va “punito e sanzionato”, ha detto in aula, “è semplicemente l’accordo per sviare la giustizia e svenderla, basta questo perchè si configuri reato”. La corruzione in atti giudiziari, concludeva quindi, “si può certamente applicare in questo caso”, perché a essere punito è “l’accordo corruttivo”.
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