
(Paolo Di Stefano – il Corriere della Sera) – Se si dovesse indicare una figura retorica trionfante del Festival di Sanremo, questa sarebbe l’iperbole. La retorica dell’eccesso. Gli aggettivi non conoscono più il grado positivo («bravo») né il comparativo («più bravo di…»), ma solo il superlativo: assoluto («bravissimo», «magnifico», «splendido», straordinario» eccetera) e relativo («il migliore»). Non un tatuaggio (sulla mano, sul collo, sulla caviglia) ma mille tatuaggi (ovunque). Non un piercing, ma cento (ovunque). L’importante è che siano ben visibili, altrimenti dove sarebbe l’esagerazione? Il festival della canzone è diventato il festival dell’enfasi e dell’outfit purché esagerato.
Per avvalorare un ospite straniero a rischio di «e questo chi lo conosce!?», bisogna sventagliare i milioni di dischi venduti e i bilioni di followers. E tanto basta. Il record di audience di ieri deve essere superato oggi da un nuovo record, quello di oggi domani. Se ieri le serate erano tre oggi sono cinque e domani (statene certi) saranno sette e dopodomani (state certi) dodici. Le canzoni si sono moltiplicate e si sono moltiplicate le ore di diretta televisiva, per non dire delle rubriche di contorno.
Perché con la retorica dell’eccesso c’è quella dell’accumulo. Se gli ospiti erano cinque adesso sono cinquanta o giù di lì, tutti con il loro messaggio all’umanità, tutti pazzeschi, stupendi, meravigliosi, eccezionali, straordinari, tutti sono i più straordinari di tutti. Nei suoi primi studi semiologici sulla comunicazione di massa Umberto Eco distingueva tra luogo della qualità e luogo della quantità come strategie della politica e della pubblicità per accalappiare l’elettore e il fruitore.
Non sapeva ancora che il luogo della quantità avrebbe surclassato quello della qualità. Dopo la stagione del superlativo, arriverà la stagione del super-superlativo assoluto-relativo: l’anno prossimo avremo l’edizione di Sanremo più straordinaria delle stra-stra-straordinarie edizioni che si siano mai viste (e mai ascoltate?). Intanto accontentiamoci della più pazzesca delle pazzesche, che è questa.
Ne chattavo proprio ora con una amica: da quel po’ che ho visto in TV( sempre e solo di Sanremo si parla, anche da parte della concorrenza- meditate gente…) mi pare che per noi Signore etero non ci sia più spazio: tutti ventenni piccolotti, mingherlini e coatti. E quando va bene, gender fluid…
Insomma, maschi bellocci esistono ancora o dobbiamo risalire ad Al Bano (per il maschio, intendo…)?
Propongo quote rosa. Nel senso di un Festival in cui a signore rifatte e scollacciate- ma sempre in qualche modo piacenti e ” mostranti”- sempre si sostituiscano signori ancora giovani e prestanti. E per favore, almeno una volta, senza anelli al naso e non gender fluid.
Un festival in cui una presentatrice brutta ( il ” femminile” di Amadeus) e non rifatta ( esistono?) sia affiancata da uomini prestanti del tipo Kan Jaman, egualmente ” scollati”. E se proprio si vuole invitare un pallavolista direi che un Ranghieri e un Mastrangelo potrebbero andare bene.
A una condizione: come comica la Mannino a rispondere a par suo all’elogio dei puttanieri e che ci venga risparmiata l’operazione nostalgia con le immancabili Zanicchi Berti e Vanoni: hanno già dato. Magari una Bertè, una Pravo e una Nannini si potrebbero ancora sopportare, se proprio si deve.
E niente pistolotti ” etici”: tra figli, mariti e compagni , l”” etica” della sopportazione e della comprensione la mettiamo già alla prova tutto il giorno. E che finisca a mezzanotte, altrimenti chi la sente la sveglia?
Si potrà? Si farà? Certamente no: a parole tutto ” per le donne”, nei fatti se non sono ” liquide” non possono neppure più…sognare…
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